La scena è semplice quanto straniante: Lorde, a piedi nudi, si dimena tra cumuli di terra distribuiti con precisione in uno spazio bianco e silenzioso.
Chi ha familiarità con l’arte minimalista degli anni ’70 riconosce subito, nel video del nuovo brano “Man of the Year”, l’iconica atmosfera sospesa della New York Earth Room (1977), storica installazione permanente dell’artista minimalista Walter De Maria. Custodita e mantenuta dalla Dia Art Foundation da quasi mezzo secolo, l’opera ricopre con 250 metri cubi di terra il pavimento del secondo piano al 141 di Wooster Street, nel quartiere SoHo di New York.
Ma niente paura: l’opera è al sicuro. Quella nel videoclip è una riproduzione – un’eco visiva che gioca sul confine tra omaggio e pastiche, ambientando il ritorno della popstar neozelandese in una delle stanze più enigmatiche dell’arte contemporanea.
Il video accompagna quello che Lorde ha definito come il pezzo di cui si sente “più fiera” all’interno del nuovo album. Una ballata intensa, che racconta con vulnerabilità il percorso complesso verso l’accettazione di sé, accompagnata dall'immagine della cantante mentre si sfila la maglietta e si fascia simbolicamente il petto con del nastro adesivo.
“Man of the Year” nasce il giorno dopo la celebre festa di fine anno organizzata dal magazine GQ, che si chiama appunto “Man of the Year”, racconta l'artista.
Una canzone scritta ancora con i postumi della sbornia, che ben si presta ad essere accompagnata da un videoclip sospeso tra la vertigine del vuoto e la consistenza del suolo. Un’allucinazione post-party anticipata in un post criptico, pubblicato sul sito della cantante prima dell’uscita del video, che recita:
“Andare in bicicletta. Fumare. Nuotare. Una nuova forza nelle spalle. Sentire qualcosa risvegliarsi. Per la prima volta il mio petto fasciato. Ho così paura di essere lui. La festa di GQ. Sdraiata sul divano bianco con il microfono in mano e lasciare che accada. Sole. Cachi e noci. Voci con amplificatori. Cercando di farlo suonare come una fontana, come un dipinto morso da un uomo, come la New York Earth Room. Il suono della mia rinascita.”
Un flusso di pensieri in caps lock, che intreccia immagini corporee, sensazioni fisiche e riferimenti naturali e artistici, concludendosi con un richiamo diretto all’installazione.

Per un’artista come Lorde, che ha sempre lavorato sull’essenzialità – nei testi come nelle immagini, tra liriche scarne ma intense e scelte estetiche pulite e significative – il riferimento al minimalismo di De Maria non sembra affatto casuale. Con il suo silenzio, la sua tensione tra presenza e assenza, il minimalismo entra in risonanza con la sua capacità di esporre l’intimità senza filtri né orpelli.
Oppure, più semplicemente, potrebbe trattarsi del modo in cui l’artista ha scelto di appropriarsi simbolicamente di uno spazio iconico dell’arte concettuale, trasformandolo in un set personale e vulnerabile. Un gesto che incrina il rigore di un minimalismo storicamente maschile e dominante con la fragilità di un corpo che danza. Una scelta che rimanda – forse non a caso – alle recenti riflessioni della cantante sulla nostra persistente necessità di incasellare le identità di genere, espresse nell’intervista rilasciata a Brittany Spanos per Rolling Stone.