Questo articolo è stato precedentemente pubblicato su Domus 1106, novembre 2025.
Il sound design secondo Zimoun
Attraverso sistemi meccanici in movimento, l’artista svizzero costruisce architetture sonore che trasformano l’immateriale in esperienza spaziale e visiva. Ce lo racconta su Domus.
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- Zimoun
- 10 novembre 2025
Per questo breve testo mi è stato chiesto di riflettere sul mio lavoro – in cui metto in movimento materiali quotidiani e industriali attraverso semplici sistemi meccanici, facendoli suonare e attivando acusticamente interi ambienti – dal punto di vista dell’immateriale e del digitale.
A prima vista, questo può sembrare contraddittorio: le mie opere, infatti, non sono né programmate né controllate digitalmente, e le installazioni che ne risultano sono composte da materiali fisici concepiti e presentati in spazi architettonici come i musei d’arte contemporanea. Nonostante queste apparenti incoerenze, le mie opere vengono regolarmente presentate anche nel contesto dell’arte digitale. Sebbene si basino su sistemi meccanici, e quindi ‘cinetici’, non le considero collegate all’arte cinetica.
Il motivo per cui sperimento con essi e con il movimento risiede nell’intenzione di generare campi sonori tridimensionali in tempo reale – spazi sonori accessibili – attraverso principi semplici. Quello che mi interessa è costruire sistemi che, nonostante di fondo siano elementari e talvolta persino primitivi, sviluppino una grande complessità nel loro comportamento sonoro e spaziale.
In questo modo, indago la complessità attraverso la semplicità, il che solleva anche interrogativi sulla percezione come pure sulla realtà. Tendiamo a percepire il suono come qualcosa d’immateriale, pur sperimentandolo fisicamente e anche se per produrlo sono necessari sistemi basati sulla materia che, da parte loro, devono mettere in moto le molecole d’aria, a loro volta materia. Queste particelle in movimento vengono poi registrate dal nostro orecchio, che è a sua volta un sistema fisico, e i dati vengono trasferiti al cervello. Da questo punto di vista, sembra che non ci sia suono senza materia.
Lasciamo da parte per ora l’esistenza di approcci, pur molto interessanti e stimolanti, che mettono seriamente in discussione l’esistenza fondamentale della massa, come l’idealismo analitico e vari esperimenti scientifici. L’immaterialità nel mio lavoro non risiede nell’assenza di materia, ma nel modo in cui essa viene utilizzata per rendere tangibile qualcosa di invisibile ed effimero come il suono. Quest’ultimo non è un oggetto, è un processo. Nasce in un istante, si diffonde nello spazio, cambia con il movimento, l’architettura e la posizione. Da questo punto di vista, il mio apporto non è scultoreo, ma riguarda piuttosto una situazione e uno stato.
Mentre i processi digitali spesso si basano sull’astrazione e la simulazione, le mie opere nascono dall’interazione fisica diretta tra motori, materiali e spazi. Eppure, ci sono dei parallelismi: i processi generativi, le strutture seriali, la modularità e i modelli emergenti possono richiamare alla mente loop o sistemi algoritmici.
La complessità nasce senza programmazione digitale, ma attraverso il comportamento fisico e dinamico della materia, che di per sé può essere inteso come una forma di progettazione e composizione. I processi digitali si svolgono solitamente in modo invisibile, quelli del mio lavoro invece rimangono osservabili. Sentiamo ciò che vediamo e vediamo ciò che sentiamo: il legno che vibra, le collisioni del filo d’acciaio e la carta che crepita, o le fonti sonore orchestrate spazialmente, i riflessi acustici e le risonanze all’interno dell’architettura.