L'estate di Munch

La bella stagione raccontata dal grande pittore norvegese, tra atmosfere inquietanti e allegorie della morte.

“Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò. Il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai”. Una vita ossessionata da drammatici stati emotivi, distruzione, sfacelo, così Edvard Much descrive i suoi cieli. L’estate ormai è vicina e Munch, in alcune delle sue opere, ce la racconta attraverso momenti ordinari che ritraggono la stagione calda. La socialità, l’isolamento, il paesaggio, le condizioni e le circostanze che l’estate offre e che il pittore vede e rappresenta. Munch dipinge appunto ciò che vede, contesti che vanno oltre le sue paure e che diventano pura avanguardia. Immaginazioni contorte, ossessioni funebri ed erotiche, intricate fantasie trovano, nella pittura di Munch, un’espressione positiva, spesso affidata al disegno e al colore. Immagini autentiche e persistenti ricreano il clima estivo, matrici di emozioni diverse.

Nell’opera Alta Estate, il pittore norvegese ricrea un momento di estrema spensieratezza, dove l’uso di linee ondulate, armonicamente fluide e mobili, contrastate da altre più rigide, si mescolano con colori accesi e tenui. Figure senza volti si offrono allo spettatore, serene, spensierate, in un momento di gioiosa quotidianità estiva. Nell’estate del 1889 Munch prese in affitto una modesta abitazione ad Åsgårdstrand, piccola città turistica della Norvegia, che molto spesso ricorre nelle sue opere. Il dipinto Inger sulla spiaggia narra ancora la stagione estiva. Una sera di luglio. Un ritratto all’apparenza, quello della sorella, in un momento privato, semplice e solito delle vacanze. Una donna seduta sugli scogli ascolta il mare, godendo della fresca brezza serale. L’opera però non racconta di Inger, non si limita al paesaggio, ma attraverso i due soggetti racconta uno stato d’animo. 

Alta Estate, Edvard Munch. 1915

“Sul fiordo nero azzurro e sulla città, c'erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo, infinito, pervadeva la Natura.” Questo scriveva l’artista nel suo diario personale. Qui la rappresentazione non è diretta ma il disagio e la paura si percepiscono dai dettagli. Le acque del mare sono calme, ferme, immobili, nessuna onda s’infrange contro gli scogli. I colori scelti sulla scala del grigio, o comunque tutti cupi, rendono l’atmosfera crepuscolare ancor più vera. La donna ha lo sguardo fisso e smarrito verso il nulla, Munch volontariamente non inserisce nell’opera il resto del paesaggio, non è importante quanto il disorientamento della sorella. Un’opera che descrive non solo il turbamento dell’artista, che dipinge la sorella per parlare di sé, della sua intimità, della sua vita, ma che racconta i pensieri stessi degli spettatori al tramonto, emblema della fine della vita dell’uomo.

Una ferita che annienta un’apparente tranquillità di una sera d’estate. Una lingua di sangue che distrugge l’apparenza calma delle acque.

Potremmo chiudere il racconto con un’altra opera, costruendo una sorta di trittico immaginario che parte dalle ore più calde del giorno a quelle della notte. Ci soffermiamo così su un dipinto ancor più emblematico: Mistero di una notte d’estate. Le figure questa volta sono completamente assenti. Il soggetto è il mare, che Munch utilizza anche per dare misura dell’evoluzione del suo lavoro, dove però esprime i suoi tormenti formali, sia nella composizione che nel colore. Un paesaggio ancora una volta narrato da colori cupi, con tratti delineati, dove il mare crea uno spazio marcato, teso, impregnato di malinconia e solitudine. Un’atmosfera inquietante resa da una pennellata energica animata da violenti contrasti di colore dovuti alla contrapposizione dei toni freddi e da quelli caldi del tramonto. Una ferita che annienta un’apparente tranquillità di una sera d’estate. Una lingua di sangue che distrugge l’apparenza calma delle acque.

Mistero di una notte d'estate, Edvard Munch. 1892

L'opera di Munch cattura l'attenzione dei futuri Fauves: Matisse, Derain, Marquet, Dufy e Friesz, che ammirano la “precisione selvaggia e la colorazione spirituale” dell’artista, precursore delle ricerche cromatiche condotte in seguito da questi artisti, un’opera che prepara poi l’artista al suo più grande capolavoro, l’Urlo, sintesi estrema di tutto il suo lavoro e dei suoi turbamenti.

Immagine di apertura: Inger sulla spiaggia, Edvard Munch. 1889

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