“Allor fu la paura un poco queta”

La pittura traduce ed interpreta gli stati d’animo dell’uomo: angoscia, dolore, paura. Dal passato al presente. Cos’è la paura? E come è stata interpretata nella pittura?

“Stato emotivo consistente in un senso di insicurezza, smarrimento e ansia di fronte a un pericolo reale o immaginario o dinanzi a cosa o a fatto che sia o si creda dannoso: più o meno intenso secondo le persone e le circostanze, assume il carattere di un turbamento forte e improvviso, che si manifesta anche con reazioni fisiche, quando il pericolo si presenti inaspettato, colga di sorpresa o comunque appaia imminente”: così la Treccani definisce la parola paura.

Un sentimento che unisce il mondo, una sensazione di apprensione che ormai da mesi ci trasciniamo per via di questa assurda e devastante pandemia.

Paura del domani, paura di non farcela, paura per tutto ciò che sarà o potrà essere.

Nell’arte le paure dei nostri antenati erano rappresentati da Grifi, Chimere, Gorgoni, Centauri, Sirene, Satiri, Arpie, Sfinge, Minotauro e molte altre figure della tradizione classica. Le radici della rappresentazioni del male emersero con una straordinaria varietà, figure fisse della psiche, che hanno influenzato varie rappresentazioni artistiche: sculture, terrecotte, vasellame, affreschi e mosaici medievali o le stesse cattedrali gotiche, dipinti del periodo classico, come la Testa di Medusa di Caravaggio, o tele più contemporanee come L’Urlo di Munch.

Il filosofo Umberto Galimberti, in una delle sue riflessioni, dice: “La paura è un bel meccanismo di difesa di fronte ad un oggetto determinato. La paura non è soltanto negativa nel senso che noi stiamo al mondo e possiamo vivere grazie alle paure che abbiamo.” e continua “La paura è razionale, l’angoscia no”. Opere di straordinaria bellezza, magnificenti tecnicismi pittorici, hanno tradotto questo sentimento nel corso dei vari secoli attraverso molteplici soggetti o diverse narrazioni, un modo, forse, per esorcizzare la paura, combatterla.

L’urlo, Edvard Munch, 1893 - 1910, Galleria Nazionale, Oslo, Norvegia

Un mostro con il volto di donna, capelli che si trasformano in serpenti che tramutavano in pietra chiunque la guardasse: Medusa. Quella descritta da Caravaggio è forse la più nota delle rappresentazioni.

Realizzata nel 1596 e commissionata dal Cardinal del Monte per omaggiare Ferdinando primo de Medici, poiché il mito era caro alla famiglia de Medici che lo considerava di buon auspicio, oltre che per il suo valore apotropaico, è stata ritratta dall’artista nel momento in cui Perseo le ha tagliato di netto la testa con la spada. Gli occhi spalancati e pieni di terrore, la bocca tenuta aperta dall’urlo di dolore, un realismo tipico di questo grande artista che decide, attraverso il mito, di affrontare il tema della paura e del dolore, stigmatizzando così questi due sentimenti. Medusa è stata dipinta su di uno scudo, strumento bellico di difesa per eccellenza, che glorifica la famiglia dei Medici, per la forza e la potenza che hanno dimostrato nel governare la città, nel giusto e nella democrazia.

All’esposizione della Secessione berlinese del 1902, Munch dispose i suoi lavori sulle quattro pareti della sala d’ingresso così da poter formare il Fregio della vita, appese altre due opere sulla parete dedicata al Terrore della vita: Angoscia e Il grido.“Passeggiavo lungo la strada con due amici, il sole stava tramontando e d’improvviso il cielo si tinse di rosso sangue mi fermai, stanco morto, e mi appoggiai al parapetto c’erano sangue e lingue di fuoco sul fiordo nero-azzurro e sulla città. I miei amici continuarono a camminare, e io rimasi lì tremando di angoscia e sentii un urlo infinito attraversare la natura.” La sua opera più nota, la più emozionale, una sintesi di quello che l’artista era, provava, sentiva, un’opera con una forte penetrazione psicologica, un riassunto esatto, non solo della vita di questo pittore, ma della vita dell’uomo, di ogni uomo. Munch diede spazio, in tutta la sua produzione, alle proprie emozioni, dando priorità al soggettivo, dimenticandosi completamente dell’oggettivo, affrontò temi esistenziali come l’angoscia, la paura, la melanconia, che egli visse direttamente. Un’astrazione emblematica la sua, resa attraverso veloci e grosse pennellate che mantenevano un monocromia sia di colori freddi che di colori caldi, che sceglieva a seconda delle emozioni che voleva rappresentare. “Non mi riconoscete, ma quell’uomo sono io. […] L’intera scena sembra irreale, ma vorrei farvi capire come ho vissuto quei momenti. […] Attraverso l’arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro”.

Immagine di apertura: Scudo con testa di Medusa, Michelangelo Merisi da Caravaggio, 1598, Galleria degli Uffizi, Firenze, Italia

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