I sensi nell’epoca pandemica

Quanta e quale importanza hanno avuto, nel corso dei secoli, i nostri sensi? Filosofia, religione e arte ne son state grandi divulgatrici, mentre la pandemia, con il suo arrivo improvviso, ce li ha sottratti.

La seconda ondata della pandemia da Coronavirus travolge non solo l’Europa, ma l’intero globo terrestre, Cina esclusa. La curva dei contagi e dei ricoveri preoccupa e chi sperava che il peggio fosse ormai alle spalle dovrà ricredersi. I sintomi ormai sono noti: febbre, tosse, mal di testa, congiuntivite, ma l’allarme più noto e palese è la perdita del gusto e dell’olfatto.

Per il filosofo greco Aristotele i sensi sono “le porte della conoscenza”, poiché forniscono alla ragione dei dati essenziali per il processo di apprendimento.

Nei primi secoli dell’epoca cristiana si comincia ad operare una sorta di svalutazione dei sensi, poiché considerati pericolosi, veicoli delle tentazioni, stimoli per il piacere. Durante l’epoca medievale però l’iconografia dei cinque sensi torna a suscitare interesse, arrivando poi tra il XVI e XVII secolo, contestualmente alla diffusione delle nuove teorie scientifiche, ad avere sempre più rilevanza. Tra scene di genere, nature morte, animali simbolici e personificazioni, i cinque sensi appaiono su numerose tele e altrettante sculture, prendendo forma di oggetti, animali o personificazioni dell’apparato umano in una complessa descrizione sentenziosa, quasi aristotelica o con riferimenti alla filosofia di Sant’Agostino. 

La dama e l'unicorno, Il gusto, XV secolo

Jan Bruegel il Vecchio, tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, dipinge l’allegoria della vista e dell’olfatto, opera oggi conservata al Museo del Prado di Madrid, In una ricca galleria di opere troviamo due donne, accompagnate da due puttini, la prima, sulla sinistra, viene estasiata dall’odore dei fiori, che il suo puttino le porge, mentre l’altra, seduta, ammira la sua bellezza allo specchio, strumento anch’esso sorretto da un altro puttino. Il senso dell’olfatto lega lo spazio e il tempo alla memoria, quella della bellezza che svanisce appunto, ma che viene resa immortale dalla mano dell’artista attraverso la raffigurazione delle numerose opere esposte.

Giovan Battista Cartei (Firenze, documentato dal 1630 al 1653), Il Gusto e l'Olfatto. Immagini gentilmente concesse dalla Galleria Studiolo Milano

Al Museo del Medioevo di Parigi è conservato un ciclo di arazzi fiamminghi della fine del  XV secolo, che furono commissionati dal Presidente della Cour des Aides, Jean Le Viste, ricco notabile lionese, che raffigurano, ognuno, una serie di complesse allegorie dei sensi, che elevano l’anima attraverso l’esercizio della conoscenza sensibile: La Dama e L’unicorno. La vista viene narrata attraverso l’immagine dell’unicorno che si specchia, tenendo le zampe sul grembo della Dama. Il tatto viene rappresentato nell’atto della giovane donna che accarezza il corno dell’animale. L’udito viene articolato attraverso uno strumento musicale che la Dama sembra stia suonando. L’olfatto vede come protagonista, assieme alla Dama, una scimmietta, intenta ad annusare una rosa. Il gusto, senso che in questa narrazione più c’interessa, nasconde tante e diverse allusioni e simbologie. Al centro dell’arazzo una donna porge alla Dama una ciotola ricolma di confetti, il gusto appunto, la Dama però viene rappresentata accanto ad una capra, simbolo di libertà e tiene in mano un pappagallo che stringe tra gli artigli una briciola. Ai piedi delle due donne sono rappresentati due animali: una scimmia ed una cane. La prima porta in bocca una bacca, ricalcando il gesto della dama. Simbolo di stupidità l’animale viene messo a paragone con il cane che compare più a sinistra, poiché emblema della fedeltà coniugale. I due animali a confronto alludono alla capacità di arginare, attraverso l’obbedienza, gli istinti passionali che vengono messi in risalto anche dai due conigli raffigurati all’estrema sinistra dell’arazzo, le cui abitudini riproduttive sono proverbiali, alludendo così alle pulsioni erotiche incontrollate, di cui il gusto, probabilmente, ne è simbolo più audace.

Aristotele, Lucrezio, Ovidio e persino Sant’Agostino hanno raccontato e illustrato i cinque sensi, divenendo poi, anche attraverso Lo Speculum naturale di Vincenzo di Beauvais o gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, una delle cifre distintive della pittura barocca.

Sosteneva Plutarco: “Se non si attengono a una norma naturale, gli organi di senso si ammalano contagiandosi a vicenda, si lasciano traviare e si abbandonano alla dissolutezza.”

Immagine di apertura: Jan Brueghel the Elder, Allegoria della vista e dell’olfatto 1620

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