Affogare in un mare di dati

La Casa Encendida di Madrid presenta “Drowing in a Sea of Data”, un progetto che riflette sulla dimensione linguistica attuale mettendo in scena il disorientamento e la perdita di qualsiasi punto di riferimento.  

Korakrit Arunanondchai, With history in a room filled with people with funny names

Già dal titolo, il progetto “Affogare in un mare di dati” sembra presentare una situazione di empatia con qualsiasi individuo sociale partecipe della condizione esistenziale in cui siamo immersi. L’inarrestabile soccombere a un’entità che ci sovrasta è un suggerimento ripetuto all’interno del progetto che si compone di una mostra, alcune performance e un catalogo.

Tre diverse metodologie di presentazione a la Casa Encendida (effimera, estesa ma limitata nel tempo, lunga durata) mettono in atto un ripensamento della dimensione temporale e, se guardiamo nello specifico alla mostra, anche una riconsiderazione delle coordinate spaziali. Il visitatore si trova in un luogo che enfatizza la sua presenza sia come osservatore sia come produttore di spazio.

È facile mettere questo tipo di ambivalenza in relazione all’esperienza di colui che naviga nella rete dei dati. La condizione di “affogare nel mare” si trasforma, quindi, in una navigazione capovolta sulla superficie dell’oceano, dove la barca continua a galleggiare, anche se è totalmente sommersa.

Un traghettatore ci conduce all’entrata dell’abisso, si tratta del video Opening Monologue di Pedro Barateiro posizionato nel corridoio antistante le due sale espositive. Qui una voce artificiale propone una narrazione teatrale (monologo) di stampo situazionista e si rivolge direttamente all’osservatore mentre guarda una moltitudine d’immagini prese dal web. Imponendosi come presenza meta-lingusitica, la voce del video cerca di azzerare la distanza tra soggetto e oggetto della rappresentazione attraverso una ridefinizione del concetto di spazio.

Non a caso ascoltiamo che in Cina esistono cinque coordinate spaziali (Nord, Sud, Ovest, Est e il centro), ma per noi esseri umani la libertà di muoversi esiste solo come immagine riprodotta e l’unico modo per orientarsi sembra quello di cedere al disorientamento. La voce del video cita una frase dello psichiatra e antropologo francese Frantz Fanon, figura centrale del movimento per la decolonizzazione: “Every spectator is either a coward or a traitor” (Ogni spettatore è un codardo o un traditore). Queste parole nel 1968 divennero uno dei motti del cinema militante che criticava la distanza tra chi osserva e le immagini che dovrebbero riprodurre la realtà.

Nelle grandi sale espositive le pareti sono distorte e moltiplicate da una serie di curve di tessuto, che divide – ma allo stesso tempo collega – lo spazio. Queste forme sospese sembrano onde che portano verso una navigazione complessa e destrutturata. Tuttavia, la libertà di poter scegliere come muoversi nello spazio fisico o virtuale è un tipo di narrazione a cui non siamo abituati.

Nella società contemporanea l’orientamento non risulta essere il frutto di una scelta personale, ma un’imposizione determinata da fattori esterni, tra cui primeggiano le componenti socio-culturali in cui ci troviamo immersi. L’opera di Clemens von Wedemeyer mostra come nella rappresentazione cinematografica il singolo sia più facilmente concepibile come parte di una moltitudine che procede seguendo un flusso. Similmente, il percorso dello spettatore all’interno della mostra è influenzato da tematiche ben precise, ma allo stesso tempo si apre verso derive imprevedibili.

Clemens von Wedemeyer, Transformation Scenario
Clemens von Wedemeyer, Transformation Scenario

Arrivando sotto l’installazione di Evan Ifekoya, il visitatore si trova sotto una massa di palloncini che simula l’immersione nell’onda. Qui è possibile ascoltare una polifonia di suoni e rispecchiarsi nella postura di un corpo ritratto di spalle in una foto che ricorda le immagini di Robert Mapplethorpe.

Successivamente, ci imbattiamo nell’opera di Nicolás Lamas, dove alcuni oggetti sono appoggiati su pannelli solari posizionati sul pavimento, come zattere che trasportano i residui di una civiltà perduta suggerendo uno scenario dove la tecnologia del reale si mischia a visione apocalittiche. Ritroviamo una narrazione simile nella videointervista di Emma Charles con Albert France-Lanord, architetto del Pionen, un bunker antiatomico convertito in uno dei più grandi data center attualmente esistenti nel nostro pianeta.

Nicolás Lamas, Sin Título, osso, sacchetto di plastica, minerale, radiatore elettrico, 2018
Nicolás Lamas, Sin Título, osso, sacchetto di plastica, minerale, radiatore elettrico, 2018

Il viaggio verso l’incognito continua e i video di Sofia Reyes ritraggono persone in preda a ossessive ansie sul futuro. La trasformazione dall’umano al post-umano è inarrestabile come dimostrano le sculture a terra di M Reme Silvestre e di June Crespo o gli elementi sospesi di Pakui Hardware, residui materici di un passaggio non ben identificabile.

La figurazione del corpo si dissolve nei dipinti surreali di Tomasz Kowaksi e il linguaggio, attraverso cui la specie umana si arroga una determinata supremazia, ci porta verso il confine a noi più prossimo, l’animale. Gabbie vuote vengono ritratte nelle fotografie di Joanna Piotrowska. Usando il video, James Richards e Leslie Thornton mostrano movimenti di animali accompagnati da suoni non decifrabili.

Infine, nel lavoro di Korakrit Arunanondchai un grande topo abbraccia un giubbotto di jeans vuoto. Qui il corpo umano scompare e si sostituisce a quello dell’animale con il DNA più simile alla specie umana. Il rumore lontano del mare sembra dirci che, solo attraverso la morte e la sparizione, possiamo percepire i limiti del linguaggio che ci permette di navigare, ma ci sovrasta dall’alto come un’onda impossibile da domare. Non resta quindi che lasciarsi andare.

Monika Janulevičiūtė e Antanas Lučiūnas GIRLSONFIRE. Foto Katarzyna Perlak
Monika Janulevičiūtė e Antanas Lučiūnas GIRLSONFIRE. Foto Katarzyna Perlak

In apertura: Korakrit Arunanondchai, With history in a room filled with people with funny names 4, Video, 23’ 32’’ (2017)

Titolo:
Drowing in a Sea of Data
A cura di:
João Laia
Galleria:
La Casa Encendida
Date di apertura:
1 febbraio – 19 maggio 2019
Indirizzo:
Ronda de Valencia 2, Madrid

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