Centrale Fies: lunga vita alla performance!

In un’ex centrale idroelettrica, tra le montagne della Valle del Sarca, la sesta edizione di “Live Works” a cura di Barbara Boninsegna, Simone Frangi e Daniel Blanga-Gubbay ha presentato 12 progetti di artisti internazionali.

Centrale Fies Live Works Vol.6

Gli spazi della ex centrale idroelettrica di Fies, a Dro in provincia di Trento, tra le montagne che circondano la Valle del Sarca, sono stati abitati da un consistente gruppo di artisti provenienti da geografie lontane. E proprio abitare lo spazio per trasformarlo in luogo è una delle caratteristiche principali del progetto “Live Works”. Si tratta di una residenza di 10 giorni dove gli artisti si concentrano sulla presentazione di un evento performativo aperto al pubblico. I tre curatori hanno deciso che questa fosse la modalità adatta per aprire il festival “Drodesera”, che ormai vanta una storia di oltre 40 anni.

“Live Works” si focalizza sull’aspetto in costante divenire della pratica performativa, presentandone la dinamica processuale e ridefinendo il ruolo della rappresentazione. Si tratta di marcare, attraverso molteplici presenze, uno sguardo sulla scena allargata del contemporaneo.

Tempo, spazio, luogo, esperienza, presenza, sguardo e soprattutto corpi sono concetti che rientrano in quell’indefinibile magma della performance. Per questo motivo e per molti altri, che necessariamente sfuggono nella descrizione linguistica a posteriori, “Live Works” ha molto a che fare con la performance e la sua impossibile definizione, assumendosi la responsabilità di offrire un discorso attorno alla sua constante evoluzione. Le 12 proposte di quest’anno non sono state raccolte sotto specifiche tematiche. Effimere e soggettive sono le narrazioni che possono crearsi e intrecciarsi nella mente dello spettatore. 

Il primo filo conduttore che emerge nella mia visione dei progetti è quello del frammento, come portavoce del passato che ci aiuta a capire il presente e a riflettere sul futuro. Attraverso i corpi di tre performer, legati tra loro a oggetti antropomorfi, l’argentina Cinthia De Levie riabilita i calchi del Museo Nazionale di Antropologia di Città del Messico. Il lavoro di Christian Botale Molebo ci parla di oggetti provenienti dal Congo che, trasportati in Belgio, trasformano la loro valenza per entrare in un diverso rituale museale. Judith Raum legge un suo testo in cui guarda alle rocce della regione Mesopotamica come a frammenti della storia redatta dai colonizzatori, cui si sovrappongono le immagini della diplomatica e fotografa Gertrude Bell (1884-1926) che nei suoi scatti crea un ponte d’influenze tra dominatori e dominati.

In un’azione semplice, minimale e priva di parole, Nyakallo Maleke spezza piccoli oggetti come mattonelle e fili enfatizzando la fragilità di ogni forma. Invece, attraverso la parola e la narrazione, Ely Dalou racconta i frammenti della memoria della sua infanzia a Beirut, supportato da una mappatura estemporanea proiettata a parete. Conclude questa linea tematica il lavoro di Ursula Mayer composto da un testo di Chris McCormack e presentato da Jade Montserrat che espone una serie di riflessioni tra presente, passato e futuro a partire dall’idea del coccige come frammento e traccia evolutiva. 

I progetti di Michele Rizzo, Beto Shwafaty e Rodrigo Battista si concentrano sul presente e sulla presenza. Michele Rizzo focalizza il suo sguardo come punto d’incontro tra la scena e il pubblico pur mantenendo la distanza fisica e concettuale tra i due poli. Beto Shwafaty ci accompagna nella lettura di un suo film (Afastando el Pueblo, Fantasmas de la Riqueza) in relazione al movimento cinematografico della Pornomiséria. Enfatizzando l’uso politico delle immagini che traducono la povertà e la ricchezza dei paesi del Sudamerica, Shwafaty si chiede quale sia il ruolo di chi osserva, domanda che pone direttamente al pubblico presente che si trova inquadrato e proiettato all’interno della sala. Rodrigo Battista grida la sua rabbia verso l’attuale situazione politica del suo paese, il Brasile, denunciandone la violenza, gli stereotipi e l’ipocrisia politica in un mix di ferocia espressiva e danza pop.

Reza Mirabi, Phumulani Ntuli e Anne Lise Le Gac con Arthur Cambry ci parlano delle incertezze del futuro. In un tempo e in un luogo sospesi, in cui è presente l’idea di brand e del commercio, Mirabi – accompagnato da altri due danzatori – usa i codici del contemporaneo per guardare a un futuro prossimo senza categorie identitarie definite. Phumulani Ntuli usa la pratica del mixing e l’idea del cyber creando un intreccio tra la nozione del tempo e quello della storia.

Infine, l’incontro tra Anne Lise Le Gac e Arthur Cambry produce un nuovo linguaggio, in cui non è necessaria la comprensione. Qui, danze scomposte e suoni di uccelli (eseguiti sulla scena da un chioccolatore locale) mettono in ombra il dominio della parola. Ma molti altri sono gli intrecci possibili dei progetti di “Live Works” che tra passato, presente e futuro descrivono il flusso vitale e costante della performance art.

Titolo evento:
Live Works
Curatori:
Barbara Boninsegna, Simone Frangi, Daniel Blanga Gubbay
Sede:
Centrale Fies
Indirizzo:
Località Fies 1, Dro (Trento)

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