Manifesta 12 sceglie la performance. Palermo tra religioni, rituali e storytelling

Il linguaggio privilegiato dalla biennale è quello delle arti performative. Da Marinella Senatore a Invernomuto, la nostra selezione a cavallo tra programma ufficiale e manifestazioni off

Manifesta 12, A Sahel Opera. Photo Francesco Bellina

Nel 2015 – su spinta del sindaco Leoluca Orlando – viene approvata dalla giunta comunale la cosiddetta “Carta di Palermo”, con lo scopo di avviare il processo culturale e politico preliminare alla radicale modifica della legge sulla cittadinanza e per il diritto alla mobilità e alla persona umana. Un processo ancora lungo e nebuloso che, durante i giorni d’inaugurazione di Manifesta 12, ha trovato il suo amaro controcampo nella vicenda della nave Aquarius, rimasta bloccata al largo della Sicilia con a bordo oltre 600 migranti col veto di entrare in porto ordinato dal nuovo ministro dell’Interno Matteo Salvini.

In questo clima di terrorismo psicologico, Leoluca Orlando ha aperto Manifesta ribadendo la sua posizione di apertura all’accoglienza e lanciando un incisivo messaggio politico e culturale verso quella che oggi è diventata l’urgenza più raccolta, interpretata e diciamolo, anche spesso sfruttata, sia dalla politica sia dall’arte contemporanea.

Non è un caso dunque che Manifesta, prendendo in prestito la metafora botanica di Gilles Clément che paragona il mondo in cui viviamo a un immenso giardino di cui prendersi cura (Il Giardino Planetario), abbia scelto Palermo come partenza e approdo per restituire riflessioni apparentemente in grado di ridiscutere il concetto di mobilità e flusso migratorio. Osservando altresì come un luogo di stratificazioni storico-culturali abbia generato una commistione poli-amorosa o agonistica fra greco, romano, bizantino, arabo, normanno e borbonico. 

Palermo Procession di Marinella Senatore, a Palermo ha trovato forse la sua migliore elaborazione, rispondendo in maniera spontanea ed emotivamente coinvolgente al genius loci di una città che nella “parata” ha fondato la sua forma di coesione. Una festa nomade ha coinvolto una folla eterogenea, seguendo una drammaturgia ben precisa per uno storytelling urbano, che ha portato in strada dai partigiani dell’ANPI di Palermo ai ballerini di tip-tap e rimesso in scena gruppi di artisti a Modica dalla precedente parata del 2016 (“Modica Street Musical”, Galleria La Veronica), donando al progetto la struttura di una compagnia itinerante vera e propria, nata sul principio di una condivisione sociale, più che strategica ed economica. 

Santa Rosalia, la santa che salvò Palermo dalla peste nel 1625, è un riferimento evocato anche dal lavoro di Matilde Cassani, che con Tutto ha composto la drammaturgia per un momento di pura gioia collettiva, quasi a far parlare più che omaggiare, attraverso un’esplosione pirotecnica di coriandoli e stelle filanti, le icone sacre riprodotte sui quattro stendardi di velluto appesi a “i quattro canti” simbolo della città. Santa Lucia, Santa Rosalia, San Francesco e Sant’Antonio, presi a simbolo di una diversità e trasformazione ancora in atto, un mix di religione e leggenda, che si propaga come un rumour nelle trame della città, sommandosi, per esempio, alla visione di un carro che nello stesso giorno, poco distante, portava in processione la statua cinquecentesca del Santo Onofrio, detto “u piluso” (il peloso), ai quali le donne si rivolgono in cerca di marito o per ritrovare cose perdute. 

Festino della terra, dell’artista nigeriano Jelili Atiku, è di nuovo un’allegoria che richiama, attraverso il gesto del camminare collettivo, un rituale sacro e porta in processione elementi naturali come piante e terra che uniti alle sculture in legno di sacre simbologie africane, rimescolano i segni di diverse credenze religiose. Si concentra invece sul linguaggio e la potenza della parola, la voce della giovane artista croata Nora Turato I’m happy to own my implicit biases (malo mrkva, malo batina). Un monologo urlato, bisbigliato e in più lingue, dà voce a storie taciute, imprigionate dai pregiudizi della storia, ispirandosi alle “donne dell’altrove” che ai tempi dell’Inquisizione spagnola venivano additate come reiette.

Ma la performance di Manifesta non s’incontra soltanto nel programma ufficiale. In maniera più ficcante, appare nella città spesso come un bagliore o una reminiscenza grottesca alla Ciprì e Maresco o Francis Ford Coppola. Nella piccola caletta di Sant’Erasmo, alla fine del Foro Italico, sembra che il lavoro di Jordi Colomer sia perennemente in corso. New Palermo Felicissima è un bellissimo film realizzato in collaborazione con alcuni studenti del Centro di cinema sperimentale di Palermo ed è il risultato di una performance avvenuta in mare su una barca che si muove da qui lungo la costa sud, accompagnando svariati personaggi-simbolo di questa zona defilata del quartiere della Kalsa. Un viaggio esilarante, ironico e mai drammatico, alla scoperta di un pezzo di città in stato di parziale abbandono, sintomatico di un’umanità poliedrica, reale e temporanea.

“Temporaneo”, non sembra invece voler essere l’effetto di Manifesta, la cui premessa parla di “coltivare” il territorio, di nutrirlo per fortificarlo. Come ha fatto Leone Contini, col suo preciso intervento ongoing all’ex giardino coloniale dell’Orto Botanico.

Ancora una volta, mi chiedo come si possa davvero parlare di urgenze senza rischiare di cannibalizzarle invece di prenderne nutrimento, dal momento in cui, che si guardi dal mare o dalla costa, il Mediterraneo resta attualmente il luogo dell’aberrazione più esemplare del nostro tempo. Il Black Med, che per il duo artistico Invernomuto diventa sinonimo di un percorso di comprensione attraverso una lecture performance che traccia – con la musica – un’economia affettiva in grado di trasgredire e offrire nuove forme di udito per ascoltare il Mediterraneo.

Speciale Manifesta

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