Tallinn. L’ombra di un fantasma nella triennale d’arte dei Paesi Baltici

Il corpo è il tema centrale della seconda tappa di “Give up the Ghost”, tredicesima edizione della Baltic Triennial diretta da Vincent Honoré.

Baltic Triennial, Performance of Adam Christensen

La Baltic Triennial nasce a Vilnius nel 1979 con lo scopo di portare alla ribalta le ricerche degli artisti di Lituania, Estonia, Lettonia. Sotto la direzione artistica di Vincent Honoré e una commissione composta da Maria Arusoo (CCA, Tallinn), Kęstutis Kuizinas (CAC, Vilnius) e Renāte Prancāne (Kim?, Riga) la tredicesima edizione della Triennale vede coinvolti, per la prima volta dalla sua fondazione, tutti e tre i Paesi Baltici. Questa scelta, motivata in parte da profondi cambiamenti sociali, politici e culturali a livello internazionale, non riguarda soltanto le aree in questione, ma è espressione di una polifonia di contesti che espandono l’idea di una specifica realtà geografica verso una commistione di influenze e discorsi.

Attraverso l’immagine metaforica del jardin créole (il giardino creolo) promossa dal pensatore Édouard Glissant (1928-2011), Vincent Honoré precisa che tale estensione geografica e ideale della Triennale non è la rappresentazione dell’imperativo dominante della globalizzazione, bensì una coesistenza delle differenze. Originario della Martinica e forte sostenitore dell’anticolonialismo, Glissant vedeva nei giardini, che gli schiavi delle Antille coltivavano segretamente di notte dopo ore di lavoro nelle piantagioni, una forma di rivoluzione clandestina in grado di preservare le singole identità dal potere dominante e unificante. 

Glissant è stato anche un poeta e in questa edizione della Baltic Triennial c’è un’attenzione particolare alla poesia, non come medium specifico, espressione della verbalità, ma come nuovo linguaggio capace di trasmettere la “poetica della relazione”. [1] La poesia, qui evocata, non si compone esclusivamente di lettere, ma adotta un ritmo capace di connettere il pensiero al corpo.

Il corpo umano e la sua fragilità sono le tematiche centrali della tappa estone della Triennale ospitata presso la Tallinn Art Hall. Le molteplici identità di un corpo frammentato, desiderante, concettualizzato, morente, redivivo coesistono in un luogo che sembra andare ben oltre i parametrici fisici della cosiddetta “realtà". Costruito negli anni Trenta del secolo scorso, l’edificio di stile funzionalista della Tallinn Art Hall non solo ospita diverse materializzazioni dei corpi evocati dagli artisti partecipanti, ma diventa lui stesso un corpo ospitato e ospitante.

All’entrata della sede espositiva, l’oralità e l’ascolto sono il primo passo verso la decostruzione del linguaggio verbale personificata da voci di poeti, musicisti e coreografi raggruppate da Lina Lapelyté (artista che rappresenterà la Lituania alla Biennale di Venezia del 2019). Le orecchie ascoltano un collage di voci che ben traduce l’idea di un’identità polifonica, portando il visitatore al primo piano della sede espositiva. Qui si calpesta un lavoro di Merike Estna composto da un grande dipinto che estende la sua superficie visiva e tattile su un mosaico di mattonelle in ceramica, raffiguranti onde tortuose di serpenti. Proseguendo il cammino entriamo in una stanza invasa da una luce verde. Sul soffitto sono presenti alcuni versi poetici e sulla parete di fondo un tendaggio trasparente separa il visitatore da immagini del mare e dell’acqua. Si tratta del lavoro di Paul Maheke che avvolge completamente lo spazio, trasformandolo. Anche le altre opere presenti nella sala sono immerse in questa trasformazione e le foto in bianco e nero di Pierre Molinier o i frammenti di corpo ritratti da Ülo Sooster possono essere illuminati da alcune torce fornite ai visitatori. Lo spettatore diventa un esploratore della sensualità che si dipana tra le virtuose linee del corpo eroticizzato nei suoi intimi dettagli. Vivono invece di luce propria due video di Klara Lidén, in cui l’artista mette in discussione il corpo nello spazio urbano.

La luce e il suo costante cambiamento in relazione al soggetto sono elementi fondamentali dell’esposizione. Nella sala opposta è stato deciso di rimuovere ogni tipo di luce artificiale e questa scelta si confà al posizionamento geografico e temporale della Triennale: a Tallinn, nel periodo estivo il sole non tramonta mai durante le ore di apertura al pubblico.

Un intervento di Ola Vasiljeva sulla vetrata circoscrive il confine tra esterno e interno. In questa sala ci accoglie una grande scultura di Kris Lemsalu (artista che rappresenterà l’Estonia alla prossima Biennale di Venezia). Una spettrale presenza fanciullesca – composta da un hoodie e due grandi sneaker in ceramica – infesta l’ambiente circostante dall’alto di un tronco di una nave che affonda nel blu di alcuni palloncini.

A terra, la simmetria linguistica del corpo umano riecheggia nell’opera di Nina Beier attraverso due ciocche di capelli che guidano due macchine telecomandate e due sedie massaggiatrici che scuotono un’assenza rimpiazzata da monete e fili elettrici. L’idea del corpo che recupera oggetti trovati nel cammino della vita è presente nei collage neri di Derek Jarman morto di Aids nel 1994.  Qui objet trouvé e parti o immagini del corpo escono da fondali neri sui cui sono incise frasi poetiche (The Shadow takes on substance).

Attraverso le opere di Miriam Cahn, Carlotta Bailly-Borg e Achraf Touloub, incontriamo indefinite ombre figurative che si contrappongono e convivono con le presenze-assenze scultoree di Daiga Grantiņa e Jesse Darling. Le parole del corpo tornano trasformate nel video di Hannah Black o nel lavoro a parete di Ieva Rojūtė per perdersi infine nelle sculture di Michael Dean in cui una lingua fossile appoggia su un libro strappato a una pagina che contiene il dizionario di un nuovo linguaggio composto solo da “n” e “h”.

Il giorno dell’inaugurazione, la performance di Estna – un tableau vivant con nudo maschile – ha preceduto una danza stregata di Paul Maheke che lascia il passo ai salti tonali della voce di Adam Christensen. Il canto di Christensen ci porta verso l’opacità del nostro intimo. L’apparente trasparenza delle categorie linguistiche si contrappone alla frammentata fragilità del corpo e di chi lo abita.  Il profumo delle Young Girl Reading Group (silenziosamente indossato da corpi anonimi) e le danze anali degli Young Boy Dancing Group chiudono la serata con una violenta e scomposta seduzione.

Alla fine di tutto – o questo è solo l’inizio – ci ritroviamo noi stessi dentro il lenzuolo bianco con due buchi sugli occhi.

Note:
1. Édouard Glissant, Poetica della relazione, trad. di Enrica Restori, Quodlibet, Macerata, 2007.

Titolo mostra:
Give Up The Ghosts. 13. Baltic Triennial
Chapter 1 :
Contemporary Art Centre, Vilnius 11 maggio–12 agosto 2018
Chapter 2 :
Tallinn Art Hall (Kunstihoone), Tallinn 29 giugno–2 settembre 2018
Chapter 3 :
Kim? Contemporary Art Centre, Riga 21 settembre–18 novembre 2018
Curators:
Dina Akhmadeeva, Canan Batur, Neringa Bumblienė, Cédric Fauq e Anya Harrison

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