Daido Moriyama a colori

Celebre in tutto il mondo per i suoi scatti dal bianco e nero contrastato e granuloso, l’artista giapponese racconta il suo meno conosciuto lavoro a colori, in mostra a Milano e Modena.

Daido Moriyama
La fotografia di Daido Moriyama è fatta unicamente d’istinto, di bisogni primari, di scelte dettate dalla pancia, non dalla testa. Nelle sue immagini non c’è una logica, non c’è un pensiero, ma solo una necessità da soddisfare. Guardare i suoi scatti è come appropriarsi della percezione visiva di un animale randagio che vaga alla frenetica ricerca di cibo.
Il suo nutrimento è l’esperienza, è l’entrare in continuo contatto con la molteplice natura dell’essere umano e del mondo. Nella sua vita di strada Moriyama non è reporter, non vuole catturare le emozioni degli altri, ma esprimere le proprie: i suoi scatti sono risposta simultanea all’impatto con l’esterno e tutto nella sua fotografia esprime pura soggettività; è sempre lui infatti il diretto protagonista del suo lavoro, è lui stesso a consumare azioni ed emozioni.
Daido Moriyama
Daido Moriyama, Color, 1970 circa. Courtesy of Galleria Carla Sozzani, Milano
Nato vicino Osaka nel 1938, si forma da autodidatta e giovanissimo arriva a Tokyo con l’intenzione di voler vivere di fotografia. Entra nell’agenzia Vivo e conosce i due grandi fotografi giapponesi Eikō Hosoe e Shōmei Tōmatzu che diventano i suoi maestri. Si trova a lavorare in un Paese da poco uscito dalla devastazione della guerra e in piena ricostruzione, ma anche fortemente condizionato dall’occupazione americana che importava abitudini e miti della sua cultura. Ribelle e anarchico, Moriyama inizia così un viaggio senza sosta alla ricerca incessante di incontri, volti, luoghi, oggetti, raccontando le contraddizioni di un Giappone in bilico tra tradizione e modernità.
Daido Moriyama
Daido Moriyama, Color, 1970 circa. Courtesy of Galleria Carla Sozzani, Milano
Il vagare, l’essere insaziabile di fronte all’esperienza rende il suo sguardo profondamente erotico, tutto attraverso l’occhio dell’artista è passione, che si tratti dei metalli scintillanti di una moto di grande cilindrata o del dettaglio delle labbra di una donna. Nei momenti più estremi la sua fotografia si dissolve, si sgrana e le inquadrature spesso tagliate, storte, fuori fuoco possono disorientare e quasi disturbare. Ma in questo stordimento l’immagine non perde forza, al contrario si potenzia, comunicando su un piano totalmente subliminale con lo spettatore. Pochi fotografi infatti sono evocativi come Moriyama e riescono a coinvolgere così profondamente chi guarda.
Internazionalmente celebre per i suoi scatti dal bianco e nero contrastato e granuloso e dalle infinite variazioni di grigio, oggi l’attenzione è puntata sul suo meno conosciuto lavoro a colori. “In color” alla Galleria Franca Sozzani di Milano presenta 130 fotografie inedite scattate tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli Ottanta e fa da preludio al vasto volume in uscita per Skira e Rizzoli Usa. Da marzo 2016 l’esposizione si sposterà poi alla Fondazione Fotografia di Modena.
Daido Moriyama
Daido Moriyama, Color, 1970 circa. Courtesy of Galleria Carla Sozzani, Milano

Beatrice Zamponi: In cosa si differenzia la sua ricerca in bianco e nero da quella a colori?

Daido Moriyama: Il monocromo rappresenta le viscere del mio lavoro, la parte più interna e drammatica, il contatto con quello che non riesco a spiegare e comunicare diversamente. Attraverso il colore sento invece di restare in superficie e di sfiorare il reale, accettandone anche la bellezza e non solo la tensione. Ho sempre volutamente cercato dei colori dozzinali e pop per la loro capacità di rappresentare il quotidiano, l’effimero, la parte senza spessore della città eppure visivamente sensuale e affascinante.

Daido Moriyama
Daido Moriyama, Color, 1970 circa. Courtesy of Galleria Carla Sozzani, Milano

Beatrice Zamponi: La sua fotografia totalmente istintiva sembra dare forma a immagini e visioni interiori. In questo senso è stata paragonata alla poesia haiku. Lei cosa ne pensa?

Daido Moriyama: Il mio lavoro in strada è cogliere l’attimo, questo è anche il principio fondante della poesia haiku, quindi in questo senso c’è un legame. Quando scatto lo faccio attraverso una sensibilità animale, immediata, ma automaticamente i ricordi e le esperienze si sovrappongono al mio agire e questo condiziona il risultato in maniera imprevedibile. La propietà sorprendente della fotografia è che unisce il déjà vu al jamais vu e successivamente il sentire del fotografo al sentire dello spettatore in una sovrapposizione di emozioni continue.

Beatrice Zamponi: Un altro legame con la poesia haiku riguarda il tema del viaggio, che è stato il leitmotiv della sua vita. È anche noto che nella sua giovinezza lei sia stato affascinato dal romanzo cult della beat generation On the road di Jack Kerouac. Che cosa rappresenta dunque per lei?

Daido Moriyama: Qualcosa che ha sempre fatto parte di me. Da bambino a causa del lavoro di mio padre ci spostavamo spesso, la mia vita ha assunto fin da subito delle caratteristiche nomadiche. Il Giappone l’ho girato in lungo e in largo e anche buona parte del mondo. Il viaggio non è mai stato una meta, quanto uno stato mentale costante. Fu proprio questo approccio a farmi appassionare a Kerouac, avevamo lo stesso sentire, la stessa profonda libertà; inoltre aveva la straordinaria capacità di riuscire a trasmettere attraverso la macchina per scrivere delle immagini fotografiche.

Daido Moriyama
Daido Moriyama, Color, 1970 circa. Courtesy of Galleria Carla Sozzani, Milano

Beatrice Zamponi: Il luogo elettivo del suo vagabondare però è sempre stata la città e, in particolare, le strade di Tokyo. Perché?

Daido Moriyama: La città racchiude tutto: la commedia, la tragedia, l’elegia, l’erotismo. È lo scenario ideale, il luogo dove s’intrecciano i desideri delle persone. È rimasta e rimarrà sempre il mio elemento naturale. Con il passare degli anni cambiano le persone, gli abiti, gli scenari, ma è solo un’apparenza; la linfa che la anima è sempre la stessa. Questo è anche il motivo per cui la mia fotografia, in un certo senso, sembra sempre ripetersi.

Beatrice Zamponi: Si dice che i diversi cani randagi che ha ritratto nel corso del tempo siano in realtà dei suoi autoritratti. È così?

Daido Moriyama: I cani vedono in bianco e nero e le mie foto sono prevalentemente monocromatiche. Ma non è l’unica prospettiva che sento mia, a volte quando mi trovo in un vicolo mi rendo conto di guardarmi intorno come fossi un insetto. In ogni caso il mio animale preferito rimane il lupo, intimamente posso dire di sentirmi un lupo. Quando sono in mezzo alla gente agisco come un cacciatore, sono in continua ricerca e tensione.

Beatrice Zamponi: “Ogni cerimonia del tè può essere definita come un incontro unico, perché se anche lo stesso ospite e i medesimi invitati dovessero riunirsi più e più volte, pure la natura irripetibile dell’incontro di oggi ne fa un’esperienza che accade una sola volta nella vita”. Sono parole di Yamanoue Soji discepolo del famoso maestro del tè Sen no Rikyu e sembrano descrivere metaforicamente la sua filosofia. Le sembra un parallelo appropriato?

Daido Moriyama: L’unicità del momento e della singola esperienza sono certamente alla base del mio lavoro. Non c’è attimo uguale a un altro seppure vi si ripeta lo stesso gesto. La fotografia mi permette di descrivere l’unicità di ciò che sto vivendo, di ciò che sento in quello specifico momento. In questo senso, l’esperienza non ha fine, è inesauribile.

Beatrice Zamponi: Con il suo lavoro lei ha introdotto in Giappone una modalità narrativa rivoluzionaria vicina al diario. La fotografia diventa uno strumento per raccontare il più intimo e banale quotidiano, ciò che ha senso per il singolo. Questo linguaggio è ancora la base di molta della fotografia contemporanea, perché secondo lei?

Daido Moriyama: Io fotografo cose che tutti hanno la possibilità d’incontrare, questa familiarità rende il mio lavoro vicino alla gente. Sebbene frutto dell’esperienza personale, in uno stesso scatto possono coesistere infinite e diverse realtà.

Daido Moriyama
Daido Moriyama, Color, 1970 circa. Courtesy of Galleria Carla Sozzani, Milano

Beatrice Zamponi: Come è cambiata oggi la sua pratica fotografica?

Daido Moriyama: Di diverso c’è solo la macchina fotografica. Scatto con una digitale di piccolo formato e di bassa qualità. Mi piace evidenziare proprio la scarsa risoluzione di molta della fotografia più diffusa oggi. Quando cammino mi muovo verso le persone e le persone verso di me, quindi uso la macchina in formato orizzontale, è il più automatico. Recentemente però sto lavorando a una nuova serie in formato verticale; in questo caso la foto ha una genesi diversissima molto più ragionata.

Beatrice Zamponi: Quale pensa sarà il futuro della fotografia? Lei che è conosciuto per aver prodotto alcune tra le più sofisticate stampe manuali, crede che la tecnologia analogica verrà completamente dimenticata?

Daido Moriyama: Sopravviverà perché ci sono ancora persone che credono fermamente nel tramandare questo sapere e apprezzo molto il loro impegno. Non ne faccio però un problema personale: c’è stata una stagione analogica per la mia fotografia e ora lavoro in digitale. Fino a che esisterà la macchina fotografica, io continuerò a scattare. Il resto per me non ha importanza.

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