Francesca Ghermandi

L'illustratrice e fumettista italiana racconta a Domus come nasce la sua insana passione per la periferia italiana e i suoi 'sgangherati' abitanti.

Tra gli ospiti d'onore della sesta edizione di Bilbolbul, il festival di fumetti organizzato dall'associazione Hamelin a Bologna, Francesca Ghermandi è protagonista di una grande mostra al Museo Archeologico. Autrice italiana tra le più dotate ed eclettiche—spazia dal fumetto all'illustrazione, dall'animazione alla grafica (suo, per esempio, è anche il logo del festival)—presenta il suo 'laboratorio creativo', svelando in buona sostanza il suo modo di lavorare. Così, sulle pareti, a fianco delle tavole originali, sono appesi centinaia di disegni, materiali preparatori, matite, bozzetti e appunti: sono come i pezzi di un puzzle, che lei tiene sempre sott'occhio fino alla fine di un lavoro e che poi finisce per conservare in modo meticoloso e sistematico, quasi fosse un'archeologao, per dirla con le sue parole. I suoi personaggi—onirici, pop, irriverenti—sono tutt'uno con l'ambiente in cui nascono e vivono: periferie inquinate, discariche, zone industriali, hinterland degradati che per lei sono fonte d'ispirazione, memorie filtrate e rielaborate, che fotografa con sguardo malinconico e ironia.

Cosa presenti al Museo Archeologico?
È un lavoro collettivo, realizzato con i ragazzi dell'associazione Hamelin. L'idea era di mostrare il mio laboratorio. Ovvero, il mio modo di lavorare seguendo, allo stesso tempo, il tema del festival: i confini. Io amo molto il lato progettuale, l'invenzione e spesso porto avanti la prima intuizione fino al progetto compiuto, per associazione di idee, in senso consequenziale, tenendo sempre presenti tutti gli schizzi, che man mano si modificano. In pratica, imbocco moltissime strade per non lasciarne mai una. Mi sento un po' un'archeologa. E questo è un aspetto del mio lavoro che resta sempre nel cassetto.

Vuoi dire che conservi tutti gli schizzi preparatori?
Li tengo tutti, anche perché è un modo per estendere le idee che ho in testa. Anche quando lavoro al disegno definitivo, devo avere sempre sott'occhio l'idea iniziale. Devo sapere come ci sono arrivata. Anche se questo riguarda soprattutto la grafica e l'illustrazione.

E i fumetti?
Vale anche per i fumetti, ma in un senso più ampio. Ho bisogno, per esempio, di vedere le frasi. Prendiamo il mio ultimo libro, Cronache dalla palude: è un volume molto complesso, con tante storie e tantissimi personaggi. È un romanzo a fumetti e qui ho lavorato come un regista, 'girando' i capitoli e montando la storia alla fine. Perdo anni a capire come procedere nell'osservare. Quando lavoro, mi piace essere spettatore e autore allo stesso tempo. Nella mostra, per riuscire a spiegarmi un po' di più ho scritto accanto a ogni originale qualche pensiero.
<i>Officina Ghermandi</i> al Museo Archeologico di Bologna
Officina Ghermandi al Museo Archeologico di Bologna
Nelle tue storie troviamo spesso città piene di fabbriche, mondi allucinati, affreschi urbani futuribili che ricordano sempre però il degrado materiale e culturale di una certa periferia contemporanea. Quali sono i modelli a cui ti rifai per lo sfondo e l'ambientazione delle tue storie? Quanto sono lontane dalla realtà in cui vivi?
Non m'ispiro a niente in particolare. A seconda del periodo, mi piacciono alcuni luoghi, piuttosto che altri. Un tempo, preferivo addirittura gli interni, la cucina per esempio. Mi rifaccio molto alle mie emozioni; la cucina è quella che ho nei miei pensieri. Non mi baso sulla realtà se non su una realtà di memoria, che poi filtro e rielaboro. Anche tutte le mie architetture sono un po' sbilenche, amo i voli d'uccello, vedere le cose dall'alto. Sono ripetitiva perché ho le mie fisse: come le discariche. In effetti, ho vissuto in posti dove c'erano fabbriche (e ne ho subito il fascino), ma spesso mi lamento di tutto questo suburbano orrendo, pieno di gru in continuazione.
Francesca Ghermandi, <i>Cronache dalla palude</i>, Coconino Press
Francesca Ghermandi, Cronache dalla palude, Coconino Press
Avere studiato architettura, anche se per pochi anni, ha influenzato il tuo modo di disegnare?
Negli anni Ottanta, ho frequentato architettura per qualche anno e certamente, come tutte le cose che ho fatto e studiato in quel periodo ha influenzato il mio lavoro. Avevo la fissa delle cose futuriste, mi aveva colpito molto Brazil il film di Terry Gilliam; la mescolanza con il design anni Quaranta; il moderno, virato in futurismo, con un nota di fantascienza, ma antica. In quegli anni, erano tutte bellissime intuizioni. Così come nel cinema, la scoperta della fantascienza sporca, quella di Alien. Negli anni Ottanta, poi, c'erano i bolidisti. Se avessi finito architettura, mi sarei messa a fare oggetti.

Quanto è importante il contesto, l'ambientazione nelle tue storie?
È alla pari dei protagonisti. I miei personaggi sono oggetti umanizzati. Anche nella mia ultima storia (Cronache dalla palude), la città è un personaggio. C'è un albero che sta sopra la città che è un altro personaggio.

Possiamo dire che molti dei tuoi personaggi sono frutto dell'ambiente in cui vivono?
Si sono un tutt'uno.
L'urbanistica italiana delle periferie ha fallito totalmente. L'Italia è stata mangiata dalle automobili, da una folle corsa ai soldi
Francesca Ghermandi in una fase dell'allestimento della mostra <i>Officina Ghermandi</i> al Museo Archeologico di Bologna
Francesca Ghermandi in una fase dell'allestimento della mostra Officina Ghermandi al Museo Archeologico di Bologna
In riferimento al tuo lavoro si sentono citare spesso Andrea Pazienza e Jacovitti... Quali sono il tuoi modelli?
Pazienza sicuramente. È stato anche mio maestro alla scuola del fumetto, ma l'avevo conosciuto prima e per me è stato una folgorazione. Io leggevo fumetti per ragazzi già grandi che portavano a casa i miei fratelli, come Alter Alter, Mad e anche il Male che era uscito alla fine degli anni Ottanta. Per quanto riguarda Jacovitti, in realtà, la questione è un po' diversa: è un grandissimo autore, gli ho dedicato anche una tavola. I suoi disegni sono tridimensionali e anche io sono molto tridimensionale. È questo che ci lega; e poi la quantità di oggetti e di cose in una tavola. Ma siamo anche molto diversi. Mi scoccia dirlo perché è come se denigrassi un grandissimo autore, però Jacovitti non è assolutamente la mia fonte. Le mie fonti sono stati magari più Topolino di Floyd Godferson e Paperino di Carl Barks, anche fumetti antichi come Arcibaldo e Petronilla, Dick Tracy di Chester Gould. Un altro grande riferimento per me è Daniel Clowes.
<i>Officina Ghermandi</i> al Museo Archeologico di Bologna
Officina Ghermandi al Museo Archeologico di Bologna
Da Pasticca a Cronache della palude, da Grenuord a Helter Skelter: perché la tua attenzione si posa sempre sulle periferie urbane e i suoi derelitti e sgangherati abitanti?
È una scelta che deriva forse da un certo sguardo malinconico padano, l'abitudine di guardare sempre il lato storto delle cose. Ma con molto amore e ironia. Dall'altra parte mi lamento sempre delle periferie, delle troppe costruzioni.

C'è anche un aspetto di denuncia?
No assolutamente no. Quando fai una denuncia, finisci per mettere una morale, vuoi spingere verso qualcosa. Io voglio semplicemente fare vedere le cose.
<i>Officina Ghermandi</i> al Museo Archeologico di Bologna
Officina Ghermandi al Museo Archeologico di Bologna
Le periferie però sembra che ti ispirino di più delle città borghesi.
In periferia c'è almeno la memoria di quello che c'era prima. Le città ripulite invece non hanno anima. Trovo orrenda tutta questa mania di ristrutturare, la memoria va salvaguardata.

Quali sono secondo te i pregi e i difetti, dal punto di vista architettonico, urbano e compositivo, delle periferie italiane?
Pregi non ce ne sono. Difetti molti. Non c'è un centro, non c'è niente. In Italia siamo un po' come dei topi: l'unico mito è avere un po' di spazio. L'urbanistica italiana delle periferie ha fallito totalmente. L'Italia è stata mangiata dalle automobili, da una folle corsa ai soldi. È tutto il sistema che è sbagliato. Il mio studio trent'anni fa era in campagna e ora è circondato da stradoni. Tutto questo lo vivo e lo fotografo più che denunciarlo. Dal punto di vista narrativo, sono luoghi interessanti, ma dal punto di vista sociale sono dei fallimenti. Ma sono dei fallimenti anche le ristrutturazioni dei centri. E soprattutto la scomparsa degli artigiani è la morte dei centri.
<i>Officina Ghermandi</i> al Museo Archeologico di Bologna
Officina Ghermandi al Museo Archeologico di Bologna
Alla galleria Crete, presenti una collezione di piatti decorati con i tuoi disegni. Com'è nata questa collaborazione?
Sono un esperimento, ci ho lavorato con la galleria Crete, Pièce unique in serigrafia, studiando le immagini, le idee da mettere in un piatto, come un designer, il lavoro manuale l'hanno fatto questi ceramisti eccezionali. Anche se non conosco la ceramica, mi piacciono molto i materiali. Mi ricordano lo studio del mio babbo, che era scultore (Quinto Ghermandi, ndr). Abbiamo pensato di lavorare anche sulle forme. Sono tutti pezzi unici. Può essere la possibilità di iniziare a lavorare oltre le due dimensioni.

Quali sono le tecniche che usi più di frequente e perché?
Matite, pennarelli, biro, inchiostro. A seconda del lavoro. Questi sono i pochi materiali che uso nel tempo ogni, ogni segno ha sempre influenzato una storia. Negli anni Ottanta, per esempio, i miei disegni avevano una pulizia esagerata: usavo solo il pennarello, senza sfumi. Col tempo, ho capito l'importanza delle ombre; e le ombre hanno portato storie più cupe. Poi mi sono messa a usare la biro. Il segno influenza molto il tono della storia.
<i>Officina Ghermandi</i> al Museo Archeologico di Bologna
Officina Ghermandi al Museo Archeologico di Bologna
Francesca Ghermandi è nata nel 1964 a Bologna, dove vive e lavora. Ha esordito a metà degli anni '80 con collaborazioni in Italia e all'estero con fumetti ed illustrazioni per diverse testate e case editrici, tra cui Frigidaire, Echo des Savanes, Il Manifesto, Comic art, L'Unità, Linus, Internazionale, Einaudi, Edition du seuil, Editori riuniti, Sinsentido, Mondadori. Tra i suoi libri a fumetti: Hiawata pete (ristampato per Coconino press), Helter skelter (Phoenix), The Wipeout (Fantagraphics Books), Pasticca (Einaudi) e Grenuord (Coconino press). Ha pubblicato libri per bambini e ha realizzato la sigla animata della Biennale Cinema di Venezia 2006. Tra le ultime uscite ci sono il libro a fumetti Cronache dalla palude (Coconino press) e le illustrazioni per il racconto di Stefano Benni, Pronto soccorso & Beauty case (Orecchio Acerbo).
Il piatto con il disegno di Francesca Ghermandi realizzato in occasione di BilBolbul 2012 per la galleria Crete, nella collezione <i>Plat du jour</i>
Il piatto con il disegno di Francesca Ghermandi realizzato in occasione di BilBolbul 2012 per la galleria Crete, nella collezione Plat du jour

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