"Ma la mia macchina", ha detto Lara Favaretto, paragonando le proprie sculture meccaniche al cartone animato Wall-E, "non si innamora, e subisce solo una sorta di sindrome dell'abbandono".
Nella mostra personale che ha inaugurato da poco alla galleria Klosterfelde di Berlino, "Out Of It", Lara Favaretto non ha esposto le sculture di alcuni anni fa, ma tre nuove installazioni connesse al tema delle persone scomparse; è un tema che la Favaretto ha affrontato già con la palude (Momentary monument , 2009) da lei realizzata per la scorsa Biennale d'arte di Venezia, e che approfondisce in un volume documentario appena uscito per Archive Books, intitolato, appunto, Momentary monument I. Il volume è una prima selezione da un colossale archivio radunato dall'artista intorno alla sua personale ossessione sulle persone che, più o meno volontariamente, fanno perdere le proprie tracce, da Villon a Bobby Fischer, da Salinger a Bierce: perché volevano rinascere, perché volevano scappare, perché era un antidoto a qualcosa che aveva bisogno di un antidoto, perché perché no.

La mostra include tre installazioni, che fanno parte di un ciclo di venti omaggi ad altrettanti scomparsi. Per entrare nella stanza d'ingresso occorre calpestare il primo di questi omaggi, che la riempie interamente: una vasca rettangolare, alta pochi centimetri, di ottone lucidato, piena di terriccio scuro, smosso. Sulla terra sono visibili le orme di chi prima l'ha attraversata; una volta superatala, i passi del visitatore lasceranno tracce nere sul pavimento della galleria. Subito dopo ci si trova di fronte un fischietto in argento dorato, appeso al soffitto con una lunga catenella così che penda all'altezza della bocca. Porta delle iniziali. La vista, oltre la porta successiva, è sbarrata dal terzo omaggio: una scatola di legno chiaro, ermeticamente chiusa e alta quasi fino al soffitto, disposta in modo da ostruire lo spazio rendendo possibile il passaggio solo attraverso un interstizio laterale. La parte superiore della costruzione è ricoperta, anch'essa, di terriccio scuro. Al suo interno, pare, c'è qualcosa: ma nessuno sa che cosa sia, e non c'è modo di saperlo.

I titoli dei lavori, il percorso dell'artista e il libro da lei appena pubblicato indicano, certo, alcuni modi in cui queste opere possono essere intese. È possibile, però, ignorare la teoria e le dichiarazioni, ignorare il progetto della palude, ignorare il lavoro precedente di Lara Favaretto: in questo caso, entrando in "Out Of It", ci si troverebbe di fronte a una figura della solitudine. Qualcosa di chiuso che cela ermeticamente ciò che ha dentro di sé; un modo per seguire le tracce di chi passa; un modo per richiamare chi è troppo lontano: tre variazioni sulla sindrome dell'abbandono, ancora.
Il volume, certo, resisterebbe a quest'interpretazione, perché titolo e contenuti ne fissano irrevocabilmente la natura: quella di archivio di storie e materiali su persone che sono scomparse, che hanno cercato la solitudine. Sono lì, tutte insieme. Vincenzo Latronico