Lo scorso febbraio, di passaggio a Milano, Peter Noever, il dinamico direttore del MAK di Vienna ha spiegato a Domus l'ambizioso programma del museo che dirige da oltre vent'anni. Noever ha parlato anche della crisi e del ruolo dell'arte contemporanea in un mondo sempre più globalizzato.
Di recente, oltre a un interessante programma per il 2009, il MAK ha presentato un ambizioso progetto di rilancio e di espansione. Quali sono gli elementi adottati dal museo viennese per affrontare la crisi finanziaria?
Non sono particolarmente interessato all'argomento perché provengo da un paese che è in perenne crisi. Il vero problema non è la crisi economica ma quella intellettuale e, in questo momento, anzi, la crisi è la benvenuta. Si deve diventare sempre più grandi e possedere sempre di più? Tutto questo non ha senso. Soprattutto quando in altre parti del mondo si ha sempre di meno… Il nostro è un sistema economico barbaro. L'Austria è il paese che, in rapporto al numero di abitanti, dispone dei più alti stanziamenti destinati alla cultura. Credo che ciò sia una cosa positiva, ma la maggior parte dei soldi è destinata a cose collegate alla tradizione, al folklore, all'opera o alle grandi istituzioni. Non ci sono sovvenzioni per le collezioni contemporanee. Non ne abbiamo neanche noi, perché siamo indipendenti. Non c'è mai abbastanza denaro per l'arte, l'Austria è uno dei paesi più ricchi del mondo ed è il solo paese culturale o artistico per definizione che non è in grado di realizzare un museo di arte contemporanea. A Parigi c'è il Centro Pompidou, mi trovavo lì due settimane fa e, che piaccia o no, è un edificio che ha lasciato il segno. Accade lo stesso a Milano, dove l'architettura è distribuita in tutta la città, e l'iniziativa è lasciata tutta agli architetti, ma è assolutamente infantile l'idea di realizzare una nuova città edificio per edificio. I progettisti sono gli stessi ovunque, da Pechino a Milano.
Può spiegarci in termini concreti come funziona la partnership con departure, l'agenzia finanziata dal comune di Vienna che sostiene e promuove le attività economiche e le nuove iniziative di architettura, design e arte?
departure è un'organizzazione attiva da cinque o sei anni, è indipendente e finanzia progetti creativi. Se i designer hanno un progetto che può essere realizzato, possono ottenere un aiuto finanziario. Questo è il problema di molte attività. Non facciamo abbastanza nel campo del design, così abbiamo dato vita a questa iniziativa, poi ci siamo associati a departure e abbiamo ricevuto un sostegno economico. Abbiamo creato quest'asse Londra-Milano-Vienna. Due settimane fa Ron Arad ha tenuto la prima conferenza al MAK e ha inaugurato la sua mostra. I prossimi ospiti saranno Omar Vulpinari, di Fabrica, e Gregor Eichinger, ma l'idea è quella di avere dei curatori in grado di selezionare un gruppo di designer per una mostra.
Ovviamente si tratterà di giovani designer…
Sì, magari qualcuno che possa seguire le nostre orme, qualcuno che successivamente sia in grado di creare un progetto, perché la filosofia di departure è quella di presentare un progetto per poi trovare qualcuno interessato a realizzarlo.
MAK ha sede in due città molto lontane tra loro, Vienna, una città-museo della Vecchia Europa, e Los Angeles, un'esplosione di energia creativa che produce un flusso inarrestabile di film, invenzioni e moda. Le vocazioni dei due musei sono così diverse?
A Los Angeles, la nostra organizzazione è molto piccola, è attiva da meno di quindici anni ed è un'inziativa di cui sono orgoglioso. Lì facciamo cose completamente differenti, usiamo linee differenti, temi differenti, ma non voglio usare l'espressione avanguardia perché non è questo che intendo. Portiamo avanti un programma di residenza per artisti e architetti con l'idea di creare un dialogo tra arte e architettura. Si tratta di un internato di sei mesi offerto due volte all'anno a due artisti e a due architetti che vengono scelti da una giuria indipendente. A ciascuno viene assegnato un appartamento all'interno dei Pearl Mackey Apartments, progettati da Schindler (un edificio composto da quattro unità abitative), una borsa di studio mensile e il supporto dello staff del Mak Center. È un punto d'incontro per persone che abitano per sei mesi in un capolavoro architettonico. A oggi, hanno preso parte al nostro programma più di 140 artisti e architetti, per lo più provenienti dall'Europa. Ora abbiamo inaugurato una borsa di studio chiamata UFI, Urban Future Initiative, finanziata con una grossa sovvenzione del Dipartimento di Stato americano per la Cultura e l'Istruzione. Ciò che rende unico questo programma è che molti dei partecipanti non provengono dal mondo occidentale, ma dall'Indonesia, dalla Cina, dal Perù. Si fermano a Los Angeles per due mesi, vivono al Fitzpatrick-Leland House (R. M. Schindler, 1936) e portano avanti un tema di ricerca collegato ai fenomeni urbani. Affrontano la nostra struttura da punti di vista molto diversi: filosofia, letteratura, architettura, design, arte e scienza. Così non abbiamo soltanto progetti architettonici o di design; sotto un certo punto di vista si tratta di design, ma è anche strategia.
Sul suo sito si legge: "Design is Thinking. Può spiegare qual è oggi, per lei, il ruolo di un museo del design e dell'arte contemporanea?
Contemporaneo significa che design, architettura e arte si trovano in una posizione di equilibrio, tra loro non dovrebbe esserci alcuna barriera. Stranamente, i musei si comportano ancora come due secoli fa. Dovunque si vada, che sia in Corea, in Corea del Sud, in Giappone, in America o in Italia, sono tutti uguali, hanno tutti le stesse collezioni, le stesse mostre e persino gli stessi artisti. Questo è proprio la fine di tutto. Ciò che abbiamo cercato di fare negli ultimi vent'anni è realizzare qualcosa che prima di tutto abbia a che vedere con l' artista e poi con la mostra. Credo che così ci sia più movimento, più vita, perché non si sa quale sarà il prossimo passo. Essere contemporaneo, per un museo, non consiste soltanto nell'esporre arte contemporanea. Bisogna essere contemporanei nelle idee, nei sentimenti, nei gusti. Il pericolo è seguire le mode. La moda mi piace, ma non ha niente a che vedere con l'arte. Credo che ci siano pochissimi fashion designer capaci di raggiungere livelli artistici e non si può diventare artista solo perché si fa arte. Credo che sperimentare significhi non essere certi di ciò che ci aspetta in fondo alla strada o alla fine della giornata.
Conversazione con Peter Noever
Peter Noever, spiega a Domus il programma del MAK e parla della crisi che "non è soltanto economica ma soprattutto culturale". Testo di Elena Sommariva
View Article details
- 16 marzo 2009