I mobili che De Chirico dipingeva esistono davvero

Per la prima volta dopo cinquant’anni, una mostra a Milano riunisce I mobili nella Valle, la serie che Mario Ceroli progettò nel 1972 per Poltronova ispirandosi ai dipinti metafisici in cui Giorgio de Chirico isolava e ingigantiva oggetti comuni.

Che cosa succede quando un arredo smette di essere un semplice oggetto e comincia a comportarsi come un attore?

La mostra “Mario Ceroli | Teatro domestico” alla Carrozzeria900 lo dimostra ricostruendo un interno dei Mobili nella Valle, la serie che Mario Ceroli progettò nel 1972 per Poltronova in legno di pino di Russia. I pezzi esposti — dalle sedie sottili come silhouette ai tavoli intarsiati, dai divani scolpiti alle cassettiere, alle poltrone, al letto Annabella e al sole di legno “fuori dalla finestra” — condividono la stessa storia: provengono dalla medesima casa di campagna, dove sono rimasti chiusi per quasi cinquant’anni.

L’incontro con il pubblico è qualcosa che queste opere attendono da tempo, e ora che si trovano riunite nello spazio della galleria appaiono come teatranti pronti a un secondo debutto.

Ogni oggetto presenta due aspetti: uno comune e uno spirituale e metafisico, che solo pochi riescono a vedere.

Giorgio De Chirico

Mario Ceroli. Teatro Domestico. Courtesy Carrozzeria900

Vederle insieme rivela infatti come siano state concepite fin dall’inizio come elementi di un’unica inquadratura teatrale.

Oltre che scultore vicino all’Arte Povera, Ceroli è scenografo: nelle installazioni come nel design, ha sempre concepito gli ambienti come dispositivi visivi. Due caratteristiche — e una certa sensibilità per lo spazio come scena — che lo avvicinano a un altro grande maestro del Novecento.

Ed è qui che entra in gioco Giorgio de Chirico.

La mia camera è un bellissimo vascello ove posso fare viaggi avventurosi degni d'un esploratore testardo.

Giorgio De Chirico

Nei Mobili nella Valle Ceroli riparte proprio da un’intuizione dechirichiana: l’oggetto contiene sempre un’altra dimensione, invisibile ma attiva.
La serie guarda esplicitamente a un nucleo di venti dipinti metafisici in cui De Chirico isola oggetti comuni, li ingrandisce, li colloca in prospettive improbabili, in mezzo a ombre che sembrano staccarsi da chi le produce. Se l’oggetto smette di essere funzione e diventa presenza, può essere considerato un punto di tensione dello spazio. Ceroli assorbe questo principio e lo traduce nel legno, un materiale a sua volta vivo, come ricordano le venature e i nodi che affiorano tanto nelle sculture quanto negli arredi.

“Nell’arredo del designer spesso manca la relazione fra l’oggetto e la persona”, osservava.
E, a proposito di questa serie: “Questi arredi sono, per me, sculture da toccare, da usare”.

Sole sul cavalletto, 1973, Giorgio de Chirico (foto Fondazione Giorgio e Isa de Chirico by Siae 2018).

Le sedie a spalliera, sottili e verticali, sembrano la traduzione tridimensionale dei manichini metafisici e delle loro ombre allungate.
I tavoli con la rosa dei venti riecheggiano le piazze immobili del Maestro, dove l’architettura è simbolo prima che funzione.
Le superfici mosse del divano e della poltrona della serie Acqua e Terra ricordano le distorsioni delle ombre che attraversano i pavimenti metafisici, volumi che sembrano fluttuare e poi irrigidirsi.
Il letto Annabella, con la sua sagoma antropomorfa, ha la monumentalità quasi rituale delle statue presenti nei dipinti dechirichiani. E poi c’è il sole scolpito fuori dalla finestra: un riferimento diretto ai motivi ricorrenti in De Chirico — Il sole sul tempio (1969), Sole che sorge sulla piazza (1976), Sole sul cavalletto, l’opera che de Chirico realizzò davanti alle telecamere della Rai nel 1973.

Mario Ceroli, Sole dalla finestra, 1971. Courtesy Carrozzeria900
Il più lontano ricordo che io abbia della mia vita è il ricordo di una camera grande e alta di soffitto. Era di sera, in quella camera buia e triste; le lampade a petrolio stavano accese e coperte dal paralume.

Giorgio De Chirico

Da Carrozzeria900 non è esposta una casa, semmai un'idea di “casa”. Ed è in questo passaggio, dall’ambiente domestico allo spazio mentale, che il dialogo straordinario e impossibile tra Ceroli e De Chirico diventa naturalmente plausibile.

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