Ut Pictura (Architectura) Poesis

Dalla scena barocca a Hopper, un viaggio nel teatro come dispositivo visivo nella storia dell’arte: non spazio fisico, ma mimesi, catarsi, e architettura dell’assenza.

Il Teatro non è un luogo, ma una “funzione”. Lo si crede cemento, velluto, ordito di travi di legno nascoste, un diagramma statico. In questo errore risiede la sua più profonda, irrisolta, verità. Se l'architettura è l'ostinata volontà di permanenza, l'artefatto per eccellenza che sfida l'erosione del tempo, il Teatro, ne è l'esatta e sublime contraddizione.

Ogni sipario, in fondo, è un'ipotesi, il sollevamento di un velo che non rivela qualcosa di nuovo, ma espone l'impietosa struttura dell'assenza. Il palcoscenico è l'unica piazza al mondo dove l'oggetto di culto, l’emozione, la catarsi, la storia, si manifesta solo per evaporare un istante dopo l'ultimo applauso.  

Il Teatro non è un luogo, ma una funzione: l’edificio che ha per unica vocazione l’esperienza effimera, un acceleratore di tempo che rende l’impalpabile drammaticamente reale.

La sua facciata stabile resta, ma la risonanza dello spettacolo scompare per poi ripetersi. Ecco la sua inattaccabile, e modernissima, filosofia costruttiva: l'edificio che ha per unica vocazione l'esperienza effimera, un contenitore maestoso e necessario che esiste solo per l'istante in cui viene riempito da corpi che vibrano e voci che scompaiono. Non è un monumento, è un acceleratore di tempo, un dispositivo per rendere l'impalpabile drammaticamente reale.

La perennità del teatro nell'arte visiva risiede nel suo palcoscenico, che, oltre ad essere architettura, è un topos iconografico, una potente metafora della condizione esistenziale che ha ossessionato l'occhio dei grandi maestri. 

Jean-Antoine Watteau, Pierrot (dit autrefois Gilles), 1718–1719 circa, Musée du Louvre, Paris. Courtesy Wikipedia

La narrazione che parte dall’elemento architettonico invita a un confronto con quel "teatro dipinto" che da secoli riflette e decifra la nostra essenza. Partiamo dal XVII secolo, dall’opera di Antoine Watteau, maestro della grazia malinconica e delle fêtes galantes. Si osservi, con attenzione critica, il suo Pierrot, detto anche Gilles (1718-1719 circa, Musée du Louvre). 

Il soggetto, ritratto a figura intera e isolata, vestito di seta candida, è statico, quasi monolitico; il Pierrot è il fulcro muto della composizione, pur essendo, narrativamente, estraneo all'azione corale dei personaggi della Commedia dell'Arte che si affollano in basso. Gilles è in posizione frontale, una posa che ne sottolinea la ieraticità e, al contempo, l'estraneità. Watteau, con una tecnica fatta di velature e sfumature cromatiche, non ritrae il fermento scenico, ma la sospensione, l'intrinseca solitudine dell'interprete, la maschera che si fonde in modo irreversibile con il volto dell'uomo. 

La malinconia del clown, esposto alla vista ma emotivamente inaccessibile, rivela il teatro come luogo di magnificenza effimera e, al contempo, di profonda alienazione esistenziale.

Federico Zandomeneghi, Nel teatro, 1885-1895 circa, collezione privata. Courtesy Arthive

Arrivando alla seconda metà dell'Ottocento, l'epoca in cui la platea e il palchetto assurgevano a spazio di esibizione sociale, si colloca l'opera di pittori affini all'Impressionismo, come Federico Zandomeneghi, attivo sopratutto a Parigi. Il suo Nel teatro (1885-1895 circa) opera un radicale decentramento. L'attenzione si sposta dal sipario alla platea, o meglio, al palco privato, lo specchio del demi-monde. Le dame, vestite sontuosamente, emergono in una luce artificiale, calda e avvolgente, che ne modella le figure con pennellate vibranti. Sono protagoniste non della drammaturgia in corso, ma dell'atto di essere viste e di osservare. Il teatro diviene un salotto elevato, un luogo dove la rappresentazione si svolge tanto sul palcoscenico quanto tra gli spettatori. Zandomeneghi cattura l'atmosfera di velluto, il brusio contenuto, la vanità sottile e la gerarchia sociale. Il teatro, in questo senso, porta in auge non solo l'arte drammatica, ma anche quel rito sociale e quella dialettica dello sguardo che sono elementi strutturali dell'esperienza teatrale.

Ogni sipario è un’ipotesi: solleva un velo che non rivela qualcosa di nuovo, ma espone l’impietosa struttura dell’assenza.

Attraversiamo l'oceano per giungere al Novecento americano e al severo realismo di Edward Hopper. La sua opera offre una sintesi visiva dell'isolamento metropolitano. The Sheridan Theatre non racconta il fragore dello spettacolo, ma l'intervallo o, più spesso, la chiusura. I teatri di Hopper sono spesso spopolati o abitati da figure sparse, distaccate. Le linee architettoniche sono austere, quasi astratte per la loro rigidità, le luci artificiali, calde e disvelatrici, mettono a nudo la struttura. Il teatro, sotto lo sguardo di Hopper, non è il focolare della passione, ma un luogo di transito o, drammaticamente, un contenitore di solitudini. È la desolazione che può manifestarsi persino in un luogo progettato per la folla.

Giovanni Paolo Pannini, Un concerto tenuto dal duc de Nivernais a Marco la nascita del Delfino, 1751. Courtesy Wikioo

Ut pictura poesis. La vera architettura dello sguardo, quella che regge l'impalcatura dell'arte occidentale, non è un dialogo tra pittura e poesia. È un conflitto, fisico, spaziale e architettonico. Bisogna avere l'onestà intellettuale di tornare ai fondamentali, a Platone e Aristotele, per capire che il sistema operativo dell'arte non è la descrizione, ma la mimesis. Il fine ultimo? Il simulacro. La costruzione di un’azione umana che non cerca la bellezza, ma l'effetto catartico. Il teatro e l’immagine sono la stessa infrastruttura culturale.

Quando Jacques-Louis David svelava le sue tele ai Salon di fine Settecento, non offriva "quadri". Offriva shock. Il dolore di Andromaca, i cadaveri dei figli di Bruto, la miseria di Belisario: non era pittura, era performance. Il pubblico non guardava; il pubblico era in scena, travolto da una regia implacabile.

Il teatro testimonia la vitalità dello spirito e dell’intelletto umano, da Eschilo ai giorni nostri. Non è solo architettura è la cultura che abita le proprie mura.

Immagine di apertura: Edward Hopper, Sheridan Theatre, 1937, Newark Museum of Art, Newark. Courtesy Wikiart

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