“Elements”, è questo il nome del nuovo calendario Pirelli, immortalato dall'occhio glaciale ma sensibilissimo di Sølve Sundsbø, fotografo norvegese. Una riflessione che supera la contingenza del glamour e si colloca nel solco della tradizione iconografica occidentale. Questo corpus fotografico si trasforma come un saggio visivo di natura gnoseologica sulla persistenza degli elementi come archetipi culturali, stabilendo un dialogo ineludibile con i secoli della storia dell'arte che li hanno eletti a protagonisti e veicoli di meditazione metafisica.
Sundsbø trasforma il Fuoco, l'Acqua, la Terra e l'Aria (con l'aggiunta concettuale dell’Etere, quintessenza del sublime) da sfondi scenografici a veri e propri avatar dell'identità. I personaggi ritratti si trasformano i numi tutelari delle forze primordiali, veicoli di un'interiorità che si manifesta attraverso il contatto con l'origine.
L'Acqua, simbolo per eccellenza della sensualità, della metamorfosi e della purificazione, “origine e veicolo di ogni forma di vita..simbolo universale di fecondità e fertilità” (A. Cheerbrandt, Dizionario dei Simboli)
La sua eco risuona da Sandro Botticelli, con la Nascita di Venere, dove la dea emerge dalle onde, epifania stessa della Bellezza, fino a John Everett Millais e la sua Ofelia (1851-1852), sintesi della dissoluzione romantica. Nel nuovo calendario 2026, la sirena di Eva Herzigová, aggiorna questo archetipo trasferendo la sensualità imperturbabile in una forza liquida che si adatta e persiste, proiettando il mito in un contesto di iper-contemporaneità.
Il calendario si trasforma in un saggio visivo sulla persistenza degli archetipi culturali, una riflessione sulla continuità simbolica che attraversa i secoli dell’arte occidentale.
Il Fuoco, elemento della passione, della distruzione e della forza purificatrice, viene interpretato da Venus Williams, una dea tra le fiamme. Per Jan Brueghel il Vecchio, nella sua Allegoria del fuoco (1608) invece la struttura narrativa appare come manifestazione di una specifica coscienza storica. Nel dipinto, il fuoco, elemento primordiale, è sottratto alla sua natura incontrollata per diventare materia della tecnica e, dunque, della civiltà. L’ambiente dell’officina si configura come un vastissimo inventario dell’artificio umano.
Brueghel compie una vera e propria catalogazione visiva dei beni prodotti: armature, strumenti scientifici, cristallerie e oggetti domestici si accalcano in un horror vacui che non è disordine gratuito, ma il segno tangibile di una nuova ragione strumentale. L’accumulo ossessivo di manufatti riflette in maniera inequivocabile l’affermazione della borghesia mercantile fiamminga, una classe che misura il proprio potere e la propria influenza attraverso il possesso e la trasformazione della materia. La pittura, pertanto, trascende il dato aneddotico per farsi documento di una realtà socio-economica.
La luce, calda e rossastra, che emana dalle fucine, non serve a costruire una prospettiva ideale, ma a scolpire con precisione lenticolare ogni singolo dettaglio, conferendo agli oggetti una presenza quasi tattile, una materialità imponente. Lo spazio non è uno sfondo aperto, ma un teatro saturo di cose, dove le figure mitologiche di Venere e Vulcano appaiono quasi marginali, integrate o addirittura sottomesse alla predominanza del processo produttivo.
Il vero protagonista del dipinto non è il mito, ma l’atto del fare, la techne che piega la natura a proprio vantaggio. L’Allegoria del Fuoco diventa così, nella prospettiva di una storia dell’arte intesa come storia della cultura figurativa, l’immagine di una civiltà che ha fatto dell’ingegno e del lavoro la propria forza demiurgica, presentando il mondo come un laboratorio infinito governato dalla pervasiva e implacabile logica dell’oggetto. Quando osserviamo la campionessa del tennis ritratta tra le fiamme, il suo corpo atletico non è un semplice documento fotografico; è, al contrario, l’incarnazione di un’energia primigenia, di una forza che consuma e crea, una moderna Vestale o Venere della performance, la cui potenza non è mai distruttiva, ma affermazione vitale e inesauribile. Il fuoco dunque diviene la misura della sua volontà.
La Terra è l’elemento della matericità, della stabilità e del ciclo ineluttabile della vita. Se l’arte fiamminga, con le nature morte di Jan van Huysum, ne esaltava la ricchezza terrena e la vanitas delle cose caduche, Gustave Courbet, con i suoi paesaggi robusti e concreti, ci ha mostrato la terra come humus della realtà. L’attrice Tilda Swinton, ritratta nella sua mini-foresta come una figura boschiva e androgina, si configura come una Dryade che si sottrae all’usura del tempo, ma lo accoglie, riflettendo una gravitas di ascendenza geologica.
Ogni immagine è un frammento di memoria iconografica: Botticelli, Courbet, Turner dialogano con il presente come secoli distanti che condividono la stessa luce.
Infine, l’Aria o Vento, come la nube impalpabile che avvolge l’attrice italiana Luisa Ranieri, si pone come allegoria dell’etereo, dell’inafferrabile e, in definitiva, della libertà spirituale. L’aria che dissolve la forma nella luce è la stessa che troviamo nelle tele di William Turner, si pensi a Pioggia, vapore e velocità (1844), dove il paesaggio si confonde in un moto atmosferico.
Il ritratto della Ranieri, con la sua sospensione e il suo drappeggio, stabilisce un ponte ideale con la ricerca simbolista, tesa a rappresentare l’interiorità oltre la forma fisica. Un regno aereo, leggero, fluido, come la fluidità dell’identità moderna, un’essenza impalpabile e inafferrabile.
Un palinsesto estetico di notevole spessore che guarda alla filosofia platonica, elementi ai quali il Demiurgo s’ispira per creare le forme sensibili. Il calendario Pirelli 2026 si trasforma così in un documento culturale che dialoga, con raffinata audacia, con la storia delle idee e delle immagini.
Immagine di apertura: Tilda Swinton nel Calendario Pirelli 2026
