Tra i vari tipi di manifestazioni espositive organizzate sotto la supervisione del Bureau International des Expositions (“universali”, specialistiche o più o meno settoriali), a partire dal primo evento tenutosi a Londra nel 1851, le grandi Esposizioni nella storia hanno dato forma alle pulsioni sociali, economiche e culturali dell’epoca in cui sono state realizzate, gettando le basi (e le reti) del mercato di massa globale e ponendosi spesso come un fertile campo d’azione, tra ricerca dell’ “effetto wow” e sperimentazione progettuale.
Lo dimostrano le tante opere iconiche che hanno scritto capitoli importanti nella storia della manifestazione e della pratica progettuale: tra queste, alcune sono ancora operative nella loro funzione espositiva originale, altre sono state reinventate ad altro uso, altre smontate e rimontate altrove, altre infine sono definitivamente scomparse.
Da Le Corbusier a Big, 15 padiglioni dell’Expo che hanno fatto storia
In occasione dell’apertura di Expo 2025 a Osaka, abbiamo selezionato i padiglioni realizzati per le Esposizioni Universali che hanno segnato tappe fondamentali nella storia della manifestazione e del pensiero architettonico.
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- Chiara Testoni
- 17 aprile 2025
Abbiamo selezionato alcune delle architetture protagoniste dei più rinomati e mediaticamente attrattivi palcoscenici commerciali di sempre: dalle opere che si connotano per le ardite esplorazioni tecnico-ingegneristiche (il binomio ferro-vetro a vasta scala di Paxton; i processi di prefabbricazione e produzione seriale di Le Corbusier; le tensostrutture di Otto; le strutture geodetiche di Buckminster Fuller); a quelle che rivendicano nell’universo globalizzato un’irriducibile identità locale, declinata in chiave poetica (Willi Walter), “ecosistemica” (Mvrdv, Studio Anne Holtrop) o ironica (Big); a quelle che si fanno portatrici di obiettivi e valori verosimilmente e opportunamente “universali” (Foster+Partners), per un futuro migliore per tutti.
Realizzato nel 1851 a Londra, su progetto del botanico e costruttore di serre Joseph Paxton, il Crystal Palace è una pietra miliare nella storia dell’architettura non solo per la scala monumentale e le innovazioni tecniche correlate alla sua realizzazione ma perché contestualmente fu il luogo dove si celebrò la prima Esposizione Universale. La costruzione ispirata alla tipologia della serra fu completata in tempi rapidissimi grazie al sistema di montaggio modulare di elementi in ferro e vetro effettuato direttamente in loco. Dopo la manifestazione, il Crystal Palace fu smantellato e ricostruito nel 1852 nella zona sud di Londra, a Sydenham Hill. Negli anni si tentarono diversi nuovi utilizzi: dal Festival of Empire nel 1911 all’Imperial War Museum dal 1920 al 1924. Fu però rovinosamente distrutto da un incendio il 30 novembre 1936.
L’imponente complesso espressione dell'architettura della Belle Époque fu costruito per l’Esposizione Universale di Parigi del 1900. La struttura in acciaio e vetro presenta una maestosa facciata decorata da colonne ioniche e da ciclopiche statue in bronzo. Nel corso del XX secolo, il Grand Palais ha ospitato eventi, fiere ed esposizioni, e ancora oggi nelle Galeries Nationales du Grand Palais vengono allestite mostre d’arte di rilevanza internazionale. Nella parte sud-ovest si trova il Palais de la Découverte, un museo inaugurato nel 1937 e dedicato alla scienza.
Il padiglione temporaneo fu costruito per l’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Parigi del 1925, come prototipo a scala reale di un alloggio standardizzato e composto da elementi prodotti in serie. L’edificio era concepito come cellula-tipo aggregabile e ripetibile alla scala urbanistica dell’Immeuble-villas, allo scopo di soddisfare il fabbisogno abitativo attraverso soluzioni rapide, economicamente sostenibili ma di qualità. Il padiglione originale fu smantellato, ma nel 1977 una replica fedele è stata ricostruita a Bologna dagli architetti Giuliano Gresleri e José Oubrerie: situata nei pressi del complesso fieristico progettato da Kenzō Tange, l’opera è utilizzata come spazio espositivo.
L’opera, realizzata in occasione dell’Exposition des Arts Décoratifs di Parigi, era concepita come il manifesto del Costruttivismo russo in Europa. L’edificio era caratterizzato da un impianto rettangolare e da una struttura in legno e vetro; il volume era scomposto in due prismi triangolari, separati da una fenditura occupata dalla scala-ponte, su cui si intersecavano pannelli inclinati in copertura. Il fulcro dello spazio esterno era rappresentato dalla torre che sosteneva la scritta CCCP.
Progettato e costruito in occasione dell’Esposizione Universale di Barcellona del 1929, l’iconico edificio esprime alcuni dei capisaldi del pensiero di Mies van der Rohe: la pianta libera, la rigorosa maglia strutturale, l’utilizzo di materiali pregiati, la continuità tra esterno ed interno. L’edificio è caratterizzato da un chiaro impianto ortogonale ed è protetto da una copertura piana sostenuta da esili pilastri cruciformi, che sembra quasi fluttuare nell’aria. All’esterno l’immagine eterea dell’edificio si riflette in due vasche d’acqua: in quella minore, la scultura in bronzo di Georg Kolbe (“Der Morgen”) fuoriesce dall’acqua con la stessa leggerezza con cui l’edificio si erge sul suo podio di travertino. All’interno, le lastre di grande formato di marmo verde, travertino e onice usate per i setti, articolano il ritmo e il carattere della spazio continuo. La struttura, pensata come temporanea, è stata interamente demolita dopo la fine dell’evento e ricostruita filologicamente tra il 1983 e il 1986. Oggi ospita mostre e installazioni artistiche ed è la sede della premiazione del prestigioso EU Mies Award.
Realizzato su progetto di Le Corbusier e dell’ingegnere-musicista greco Iannis Xenakis per l’Expo di Bruxelles del ‘58, il padiglione in cemento armato era composto da un gruppo di nove paraboloidi iperbolici e all’interno ospitava l’installazione “Le poème électronique”, costituita da una combinazione di luci, proiezioni e musica (composte da E. Varèse e dallo stesso Xenakis), a celebrazione della nuova era elettronica. L’opera fu demolita nel 1959.
Fiore all’occhiello dell’architettura razionalista madrilena, il Pabellón de los Hexágonos, disegnato dagli architetti José Antonio Corrales e Ramón Vázquez Molezúnper l’Expo di Bruxelles nel 1958, e che vinse all’epoca anche la Medaglia d’Oro, era un manifesto di modernità. L’edificio era composto da 130 esagoni in mattoni di terracotta, vetro e alluminio, per 3.000 metri quadrati di superficie. Spostato a Madrid nella Casa de Campo nel 1959, il Padiglione ha ospitato fiere e mostre, prima di cadere lentamente in disuso per quasi cinquant’anni ed essere poi recentemente riaperto al pubblico per mostre temporanee.
La struttura è stata originariamente costruita come padiglione degli Stati Uniti per l'Expo del 1967. La cupola geodetica, progettata da Buckminster Fuller e sostenuta da un intricato reticolo di tubi d’acciaio, è ancora un landmark iconico nel paesaggio urbano. Oggi il complesso ospita un museo dell’ambiente.
Il padiglione fu una pietra miliare nell’ingegneria delle costruzioni, accendendo i riflettori sulle tensostrutture e sulla loro qualità non solo tecnica ma anche figurativa. L’opera consisteva in una tensostruttura ispirata alle bolle di sapone, generata dalla connessione tra i punti di sospensione e gli ancoraggi. Il grande potenziale di tale sistema risiedeva nella velocità di realizzazione e nella leggerezza: la struttura in acciaio e la membrana pesavano solamente 150 tonnellate, circa da un terzo ad un quinto del peso dei tradizionali materiali allora impiegati.
La costruzione intendeva rappresentava le capacità e l’inventiva, la precisione e l’amore per la bellezza della Svizzera. Una struttura in acciaio alta 21 e ampiezza di 55 m, simile ad un albero stilizzato, ospitava spazi espositivi e un ristorante. Con 32.000 sfere di vetro che brillavano alla luce del sole e si accendevano come lampadine di notte, “l'albero di luce” manifestava un carattere raggiante e festoso.
In occasione dell’Expo Universale di Siviglia, l'Italia presenta il padiglione progettato da Gae Aulenti e Pierluigi Spadolini, un complesso di sei piani distribuito su un’area di 6.000 mq. Gli interni comprendono grande galleria centrale, a tutta altezza, con sale espositive disposte ai vari livelli e su entrambi i lati della galleria centrale, uffici, un giardino pensile, due ristoranti e servizi. Un raffinato progetto illuminotecnico a firma di Studio Piero Castiglioni ha inteso enfatizzare l’immagine dell’edificio come una “lanterna” nella notte, puntando anche sulle “lumbreras", le superfici vetrate in copertura della galleria. L’edificio è tra i meglio conservati dell’area della Cartuja, e oggi ospita uffici.
Il progetto di Mvrdv formulava una proposta per il tema "Holland Creates Space", rivelando le potenzialità di un paese da sempre in crisi di territorio. L’opera si configurava come un ecosistema autonomo con propri cicli naturali, in cui sei paesaggi tipici olandesi (tra cui una foresta al terzo piano) venivano sovrapposti in un edificio a torre. Dopo vent’anni di inutilizzo, il progetto di recupero di MVRDV ha previsto la riconversione del padiglione espositivo in un edificio per uffici e spazi per il co-working.
La monolitica costruzione in acciaio bianco si sviluppa secondo un impianto a doppia spirale ed è caratterizzato da sequenze spaziali continue, da percorrere a piedi o in bicicletta, grazie alla dotazione di 1500 biciclette messe a disposizione all’ingresso, per sperimentare l’ecologico stile di vita danese. Una volta varcata la soglia, la statua della Sirenetta, spostata per la prima volta in un luogo diverso dalla sua locazione originaria, domina la scena, circondata da uno specchio d’acqua che evoca il mare del porto di Copenaghen.
Il padiglione è stato concepito come un paesaggio continuo di 2.000 metri quadrati racchiuso da pareti rivestite in pannelli di cemento bianco prefabbricato e caratterizzato da dieci frutteti, uno per ciascuno dei principali alberi da frutto autoctoni del paese, divisi e intersecati da aree espositive coperte in cui spiccano reperti archeologica dall’antico patrimonio culturale del paese. Una volta smantellato, il padiglione è stato trasferito in Bahrein per essere ricostruito e fungere da giardino botanico.
L’area di Expo 2020 è destinata, dopo la fine dell’evento, a diventare un distretto multifunzionale di servizi e infrastrutture, in cui molti padiglioni vengono conservati. Tra questi, rientra il Padiglione della Mobilità, Alif, dal nome della prima lettera araba e, per esteso, “inizio” (l’inizio di un futuro basato su strumenti e sistemi per agevolare la qualità della vita): con le sue forme sinuose e l’involucro rivestito in lamiere di acciaio inossidabile intervallate da fasce vetrate curvilinee strizza l’occhio al futurismo ed evoca l’idea di movimento. Il padiglione, distribuito su cinque piani fuori terra e due interrati, è stato progettato con un’attenzione scrupolosa alla sostenibilità, dalla conformazione auto-ombreggiante, al fotovoltaico, al rivestimento riflettente.