L’architettura dei bagni pubblici, dall’antichità ai progetti contemporanei

Spesso bistrattati per la loro prosaicità, i bagni pubblici sono una rappresentazione di senso civico e di cultura urbana, e costituiscono un punto di connessione tra uomo e architettura in città.

Se per Rem Koolhaas dai tempi della Biennale di Venezia del 2014 il bagno è “la zona fondamentale di interazione – al livello più intimo – tra l’uomo e l’architettura”, non stupisce che il tema progettuale del bagno pubblico, esportando tale intima interazione tra le strade e le piazze di una città, sia particolarmente sfidante.

Quella del bagno pubblico è una storia antica che va dai tempi di Vespasiano – quando gli orinatoi pubblici servivano a raccogliere l’ammoniaca dell’urina utilizzata nelle lavorazioni tessili, per tassarla – a quando, a partire dal XIX secolo, le toilettes divengono espressione di decoro urbano (arredi ai tempi di Haussmann e sanisettes a Parigi, bagni pubblici al Graben di Vienna e Albergo Venezia a Milano).

I modi con cui viene affrontato l’argomento dei bagni pubblici varia a seconda delle latitudini: tra i più virtuosi in termini di rispetto per la persona e per la cosa pubblica, spiccano i paesi scandinavi e soprattutto il Giappone, dove il sentō (il tipico bagno pubblico con vasche d’acqua) da secoli offre opportunità di socializzazione ed esperienze catartiche di relax.

In generale, al di là della mera funzione di disciplinare il bisogno fisiologico per strada, il bagno pubblico è un elemento che trascende l’arredo urbano per diventare espressione di cultura e dignità umana. Lo dimostrano alcune opere contemporanee in tutto il mondo: da quelle che affondano le radici in una tradizione consolidata (The Tokyo Toilet trasposto alla Triennale) a quelle estemporanee (Aandeboom); da quelle integrate nel contesto storico o paesaggistico (Miró Rivera Architects, Diego Jobell, Snøhetta, Schleifer & Milczanowski Architekci, Manthey Kula Architects) a quelle dichiaratamente esibite (Gramazio & Kohler, Chris Briffa); da quelle oniriche (Hundertwasser) a quelle con valenza politica (Cassani, Galán, Munuera e Sanders) e sociale (RC architects).

In ogni caso, al netto di idiosincrasie “strutturali” (dovute a incuria e degrado arcinote nel nostro paese) e psicologiche (correlate a germofobie, claustrofobie e patemi di varia natura), resta il comune denominatore del bagno come spazio di cura e governo del nostro corpo.

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