Rem Koolhaas

“La Città generica è la città liberata dalla schiavitù del centro, dalla camicia di forza dell’identità" (Rem Koolhaas, 1995) 

Rem Koolhaas. Foto © Charlie Koolhaas, Courtesy of OMA

A partire dagli anni ’80, Rem Koolhaas si afferma progressivamente come una figura cardine dell’architettura e dell’urbanistica contemporanea, alla scala mondiale. Nato a Rotterdam nel 1944, si forma a partire dal 1968 all’Architectural Association di Londra, e successivamente alla Cornell University di New York.

Già il suo progetto di fine studi all’A.A., nel 1972, è indicativo della sua volontà di mettere in discussione i paradigmi consolidati d’interpretazione dell’architettura e della città. Intitolato Exodus. I prigionieri volontari dell’architettura, immagina d’innalzare nel cuore di Londra due muri paralleli di lunghezza infinita. A differenza di quanto accadeva a Berlino, all’epoca enclave segregata nella Repubblica Democratica Tedesca, i settori che si susseguono tra i muri immaginati da Rem Koolhaas sono spazi di libertà e di edonismo sfrenato, esclusivi perché isolati dal resto della città in fase di decadenza.

Nel 1975, fonda con Madelon Vriesendorp e con Elia e Zoe Zenghelis l’Office for Metropolitan Architecture (OMA), che dal 1986 si stabilisce a Rotterdam. Nel 1999, ad OMA si affianca l’Architecture Media Organization (AMO), la sua divisione idealmente complementare, dedicata specificamente alla ricerca.

Proprio l’incessante attività d’investigazione e di teorizzazione distingue Rem Koolhaas da molte archistar dei nostri giorni. Le sue pubblicazioni hanno focalizzato l’attenzione su nozioni che si sono imposte rapidamente nel dibattito contemporaneo, spesso accompagnate dai relativi neologismi. Pubblicato nel 1978, Delirious New York “impara” dalla metropoli statunitense e fornisce la prima significativa riflessione dell’autore sui temi della congestione e della “bigness”. Ad entrambe viene riconosciuto un valore progettuale: la prima permette la convivenza di programmi radicalmente diversi; la seconda lo scollamento, altamente potenziale, tra l’involucro dell’edificio e il suo interno, e tra l’architettura e il suo contesto. “Fuck the context” è probabilmente la più celebre e la più controversa tra le citazioni koolhaasiane. Gli scritti e i progetti dei primi due decenni di attività di Rem Koolhaas sono raccolti nel 1995 nella monumentale antologia S, M, L, XL, realizzata con OMA e con il grafico Bruce Mau. Spicca al suo interno il saggio The Generic City, che fornisce una chiave di lettura anti-ideologica dello sprawl generico, liberata dalle gerarchie qualitative del passato. Nel 2001, Junkspace conferma le qualità di Rem Koolhaas come lucido analista degli aspetti più problematici della contemporaneità, in questo caso gli spazi-spazzatura, che sono per lui la necessaria contropartita del progetto come concepito nel XX secolo.

La grande mostra sulla Deconstructivist Architecture, curata da Philip Johnson e Mark Wigley al MoMA di New York nel 1988, ha identificato Rem Koolhaas come uno dei capifila del decostruttivismo (insieme a Peter Eisenman, Frank O. Gehry, Zaha Hadid, Coop Himmelb(l)au, Daniel Libeskind e Bernard Tschumi). D’altra parte, una rassegna dei suoi progetti, anche non realizzati, racconta di un sostanziale disinteresse per la questione dello stile. Nella sua opera si riconoscono piuttosto alcuni filoni tematici, che si susseguono e in parte si sovrappongono nel tempo.

La Città generica è la città liberata dalla schiavitù del centro, dalla camicia di forza dell’identità. La Città generica spezza questo circolo vizioso di dipendenza: è soltanto una riflessione sui bisogni di oggi e sulle capacità di oggi. È la città senza storia. È abbastanza grande per tutti. È comoda. Non richiede manutenzione. Se diventa troppo piccola non fa che espandersi. Se invecchia non fa che autodistruggersi e rinnovarsi. È ugualmente interessante e priva d’interesse in ogni sua parte. È ‘superficiale’ come il recinto di uno studio cinematografico hollywoodiano, che produce una nuova identità ogni lunedì mattina

I progetti presentati a tre importanti concorsi degli anni ’80 e ’90, tutti rimasti sulla carta, sviluppano alcune linee guida della sua riflessione teorica: la proposta per il Parc de la Villette a Parigi (1982-83) è una sperimentazione sulla congestione; il progetto per la ville nouvelle di Melun-Sénart (1987) si concentra sul valore del vuoto, che per certi versi ne è il contraltare; il concorso per la Très Grand Bibliothèque de France a Parigi (1989) combina entrambi i temi all’interno di un unico volume architettonico. Il masterplan per il quartiere Euralille di Lilla (1988-1991) e il complesso del Congresexpo (1991-1994), costruito al suo interno, rappresentano per Rem Koolhaas la prima occasione di verifica tridimensionale, e su larga scala, delle sue riflessioni.

Due architetture degli stessi anni sono paradigmatiche del rapporto di Rem Koolhaas con la modernità: la Villa dall’Ava a St. Cloud (1985-1991), ricca di citazioni ampiamente rielaborate alla Villa Savoye di Le Corbusier, e la Kunsthal a Rotterdam (1987-1992). Qui, il riferimento alla Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe a Berlino, è liberamente riletto e composto con il programma molteplice dell’edificio. E proprio a partire dal loro programma (un altro termine fondamentale del vocabolario di Rem Koolhaas) possono essere lette due opere fondamentali del decennio successivo: la Casa da Música a Porto (1999-2005) e la Seattle Public Library (1999-2004). In entrambi gli edifici, la decostruzione del volume architettonico non è un formalismo gratuito, ma il risultato dell’accostamento e della sovrapposizione delle funzioni che ospitano.

A seguito delle sperimentazioni dei primi due decenni di carriera, ormai entrate nelle storie dell’architettura, la produzione di Rem Koolhaas si diversifica notevolmente in termini di programmi, estetiche e geografie. Tra le opere più significative degli ultimi anni spiccano la sede della China Central Television a Pechino (2004-2008), il complesso residenziale De Rotterdam (1997-2013), lo Shenzhen Stock Exchange (2006-2013), la Qatar National Library a Doha (2017) e il Taipei Performing Arts Center (in corso). Il Garage Museum of Contemporary Art a Mosca (2011-2015) e la Fondazione Prada a Milano (2008-2018) sono due prove di grande qualità di riprogettazione dell’esistente. Rem Koolhaas testimonia anche in questo caso di saper stimolare e recepire le evoluzioni dei temi portanti del mondo del progetto, aggiornando di conseguenza sensibilità, strategie e linguaggi.

Ancor più del Pritzker Prize, ricevuto nel 2000, la nomina a curatore della 14. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (2014) ha definitivamente consacrato Rem Koolhaas come capofila dell’architettura contemporanea, indiscusso quanto eclettico: architetto, urbanista, curatore, teorico e molto altro. Nel 2020 aprirà le porte al Guggenheim Museum di New York l’ambiziosa esposizione Countryside. The Future. Ancora una volta, Rem Koolhaas propone un cambiamento di prospettiva, spostando lo sguardo dalle metropoli, il suo tradizionale territorio d’elezione, alle campagne.

Nelle parole di Marco Biraghi:

Ben lungi dall’essere un sostenitore della commercializzazione di ogni settore della vita sociale, inclusa l’architettura, Koolhaas analizza con lucidità difficilmente eguagliata, senza alcuna retorica, davvero al di là del bene e del male, la realtà con cui tali processi sono intimamente connessi. Del tutto alieno dai suoi intendimenti è qualunque compiacimento nella contemplazione del mondo “così com’è”, qualunque banale apologia del presente; ma anche qualunque vana pretesa di modificare i processi in corso
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