Esiste un filo rosso che unisce la High Line di New York, uno degli interventi a scala urbana più significativi di questo secolo, e il Canal Café, progetto vincitore del Leone d’oro all’ultima Biennale di Venezia A firmarli sono gli stessi architetti: Elizabeth Diller e Ricardo Scofidio fondano il loro studio nel 1979. Nel 2004 si unisce al team anche Charles Renfro, proprio mentre New York decide di sviluppare un progetto per la High Line, che vedrà la luce 5 anni più tardi. Il bando di concorso invitava i partecipanti a “formulare proposte di progetto visionarie”, per trasformare i binari sopraelevati di un quartiere decadente in uno spazio urbano innovativo. L’idea di realizzare un parco lineare sospeso si è rivelata di grande impatto, tanto da costituire un modello e trasformare quell’area, il Meatpacking District, in un polo attrattivo per altri grandi progettisti.
Elizabeth Diller, dalla High Line alla città del futuro: “L’architettura è troppo lenta”
Diller Scofidio + Renfro è uno dgli studi che più di ogni altro ha trasformato l'immagine della città contemporanea. Abbiamo incontrato l'architetta americana, tra visioni future e una grossa critica sull'architettura di oggi.

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- Francesca Critelli
- 16 luglio 2025
Il caso della High Line, virtù e limiti di un progetto visionario
Foto Iwan Baan. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Iwan Baan. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Iwan Baan. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Iwan Baan. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Iwan Baan. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Iwan Baan. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Julien Lanoo. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Matthew Monteith. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
Foto Timothy Schenck. Courtesy of Diller Scofidio + Renfro
La High Line è un progetto visionario e imitatissimo: sembra che ogni città punti ad averne una, da Manchester, con l’intervento di Twelve Architects, fino a quella più recente di Tokyo, la cui inaugurazione è prevista entro la fine del 2029. Con Domus, Diller torna ai primi passi del progetto.
“Abbiamo proposto di trasformare l’area in un parco, come aveva fatto Frederick Law Olmsted con Central Park. All’inizio sembrava davvero complicato perché non sapevamo come sarebbe stato un ‘parco sospeso’. Come avremmo garantito la sicurezza? Come avremmo smaltito i rifiuti?” racconta Diller a Domus. All’epoca, la zona ovest di Manhattan, attraversata dalla vecchia sopraelevata, era in uno stato di degrado, tra traffico di droga, prostituzione e aree totalmente abbandonate. Il parco sopraelevato ha rigenerato un’intera porzione di città, ma non senza conseguenze.
L’aumento dei visitatori e l’improvviso incremento del valore immobiliare hanno trasformato la High Line in un catalizzatore per la gentrificazione. “Oggi è una delle zone più costose della città, ma i residenti, gli artisti, sono stati buttati fuori. È diventata una zona per ricchi, anche se rimane uno spazio pubblico” commenta Diller. E allora cosa si sarebbe potuto fare per evitarlo? “Come architetti, non avremmo potuto realizzare un progetto meno bello” osserva, “ma se avessimo saputo quanto sarebbe diventata popolare, avremmo potuto provare a imporre delle quote per gli alloggi a prezzi agevolati. Una lezione per i progetti futuri”.
È essenziale adattare le strutture esistenti, ma anche progettarne di nuove, con uno sguardo a ciò che accadrà tra 30 o 40 anni.
Elizabeth Diller
Davanti a questa crescita incontrollata, nel 2018 lo studio ha messo in scena The Mile-Long Opera, una performance con mille cantanti lungo tutta la passeggiata, che racconta le storie di chi è stato spinto ai margini. Una risposta lucida, quasi autocritica, alle contraddizioni del proprio stesso progetto.
Il Leone d’oro di Venezia poteva arrivare già molti anni fa
Mentre la High Line prendeva forma, DS+R lavorava a un altro progetto, che ha visto la luce solo quest’anno, proprio lo stesso della scomparsa di Ricardo Scofidio, compagno di lavoro e di vita di Diller. Si tratta del Canal Café. “Nel 2008, il progetto è stato interrotto bruscamente durante la fase finale di progettazione. Non abbiamo mai capito perché” racconta Diller a Domus. La struttura del Canal Café è completamente trasparente: il processo è visibile in ogni fase, con le Corderie dell’Arsenale sullo sfondo. Oggi il suo messaggio è ancora più chiaro. “L’opportunità di collocare il caffè-laboratorio in una posizione così visibile sulla laguna e di prelevare l’acqua da essa è oggi una dichiarazione più forte di quanto lo sarebbe stata nel 2008. Le preoccupazioni per il degrado e l’esaurimento delle risorse idriche non sono mai state così urgenti”.
L’instabilità dell’architettura può renderla durevole
Quello del tempo è un tema importante, per DIller. “I cambiamenti sono così rapidi e l’architettura sembra così lenta… Passa molto tempo tra la progettazione e la costruzione di un edificio, che poi rimane lì, permanente, difficile da adattare perché solitamente costruito per una sola funzione” dice l’architetta, raccontando della ricerca per “Restless Architecture” per il Maxxi di Roma. La mostra ha raccolto esempi storici e contemporanei di architetture che hanno reso l’“instabilità” una matrice progettuale. Ci sono il Padiglione Italiano dell’Expo 70 di Maurizio Sacripanti, l’Institut du Monde Arabe di Jean Nouvel, la Villa Girasole di Angelo Invernizzi, la Maison á Bordeaux di Oma. C’è anche The Shed, un’architettura in movimento progettata proprio da DS+R: un edificio in grado di espandersi e contrarsi facendo rotolare il suo guscio telescopico sui binari, restringendo e ampliando lo spazio coperto in base alla necessità.
Progettare le città lasciando spazio
La storia della High Line è anche quella di un progetto mai realizzato. Nel 1999, mentre si svolgeva il concorso per riqualificare l’area ovest di Manhattan, Diller faceva parte della giuria. “Ricordo che ero seduta lì, con tutti questi uomini bianchi più anziani e mi chiedevo: ‘Cosa ci faccio qui?’”. Tutti, tra cui Peter Eisenman, proponevano edifici enormi, come se l’unico scopo fosse quello di costruire, ricorda Diller. Con una eccezione. Quella di Cedric Price, l’architetto del Fun Palace, il quale sosteneva che non si doveva costruire niente, per permettere alla città di respirare, perché era già densamente edificata. “‘Non prendete un altro spazio aperto per riempirlo di edifici’ diceva. Questa era la sua idea”. Diller ricorda i suoi disegni quasi vuoti: “Ho pensato che fosse geniale.”
La lezione di Price ha continuato a influenzare la visione progettuale di Diller. Il Blur Building del 2002, per esempio, è un’installazione fatta di nebbia dove il visitatore vede tutto “sfocato”, in totale antitesi con il boom dell’alta definizione di quel periodo. E più recentemente, in Italia, nel Parco Romana di Milano di cui DS+R ha curato il masterplan - che “sarà interpretato in modo non convenzionale. Niente prati perfetti, ma una natura più selvaggia e variegata, per favorire la biodiversità”. Anche qui, come a New York, c’è la rigenerazione di una infrastruttura ferroviaria dismessa.
Spero che, nel futuro, noi progettisti saremo maggiormente coinvolti nella definizione delle città.
Elizabeth Diller
Ma un masterplan non basta, spiega Diller. Le città hanno bisogno di visione e progettazione. Il presente è già segnato dai cambiamenti climatici e da un forte aumento della densità abitativa. “È essenziale adattare le strutture esistenti, ma anche progettarne di nuove, con uno sguardo a ciò che accadrà tra 30 o 40 anni”. E poi sottolinea che non basta costruire nuovi quartieri residenziali o uffici, “servono scuole, cultura, negozi, parchi”. La sua proposta è non solo per un maggiore coinvolgimento degli architetti nel futuro delle città, ma anche per un cambio di prospettiva da parte degli architetti stessi. “Spero che, nel futuro, noi progettisti saremo maggiormente coinvolti nella definizione delle città”, dice. E poi aggiunge: “Spero anche che la smetteremo di progettare come se fosse una gara a chi costruisce il grattacielo più alto.”
Immagine di apertura: Elizabeth Diller, foto Geordie Wood