
Per una nuova ecologia dell’abitare
L’eredità di Ada Bursi si trasforma in un progetto d’esame del biennio specialistico in Interior Design allo IED di Torino, in un racconto sull’abitare contemporaneo, tra ecologia, flessibilità spaziale e sensibilità sociale.
È indubbio che Frank Lloyd Wright abbia avuto una lunga e prolifica carriera, realizzando una quantità impressionante di progetti e affermandosi come uno dei maestri del Movimento Moderno. Secondo la Frank Lloyd Wright Foundation, l’architetto statunitense ha progettato circa 1114 opere – di cui 532 effettivamente costruite. Non stupisce che, di queste, la maggior parte siano ville unifamiliari, tipologia che forse più di tutte ha caratterizzato il suo lavoro e si è affermata come manifesto della sua idea di architettura organica. È una villa il suo progetto forse più famoso, la Casa sulla Cascata, che è anche uno degli edifici più celebri della storia dell’architettura.
Secondo la Frank Lloyd Wright Building Conservancy, molte delle residenze progettate da Wright sono state messe in vendita negli ultimi decenni. Alcune, nonostante il valore storico e culturale, restano ancora oggi senza acquirente.

Il primo periodo di attività di Wright coincide con la progettazione delle Prairie Houses, abitazioni pensate per le vaste pianure americane, caratterizzate da linee orizzontali marcate, tetti sporgenti e una fluidità spaziale che sarà sempre più importante nei lavori dell’architetto del Guggenheim. Proprio a questo periodo appartiene una casa oggi in vendita per quasi 2 milioni di dollari: la Elizabeth and Rollin Furbeck House (1897) realizzata a Oak Park, il sobborgo di Chicago dove l’architetto aveva appena realizzato la sua prima casa-studio per sé e sua moglie. Il linguaggio anticipa le prairie houses, con i caratteristici tetti a falda e una volontà di aprirsi verso l’esterno riscontrabile ancora di più nel progetto successivo della DeRhodes House (1906) a South Bend, nell’Indiana.

Gli anni successivi hanno irrimediabilmente segnato la carriera di Wright, nel bene e nel male. L’incendio del 1914 che ha distrutto la sua casa di Taliesin, dove l’architetto ha perso la sua seconda compagna e due figli, la commissione per la realizzazione dell’Imperial Hotel a Tokyo, primo importante progetto internazionale, e poi l’apertura di uno studio a Los Angeles, dove tra il 1919 e il 1921 costruisce la Hollyhock House, oggi un patrimonio a rischio.
Proprio negli anni ’20 progetta anche la Georgia and Richard Lloyd Jones House (1929), in vendita per 3 milioni e mezzo di dollari, in cui Wright abbandona il linguaggio delle prairie per una maggiore articolazione spaziale, in sintonia con il contesto collinare dell’Oklahoma. Così come la Hollyhock, anche la Jones House è costruita con il caratteristico blocco tessile di Wright, precursore di questa tecnica fatta di blocchi di calcestruzzo rinforzati con barre d’acciaio.

Nel secondo dopoguerra, l’approccio progettuale si evolve ancora: con la necessità di ricostruire un’America post-bellica, Wright abbraccia una nuova missione: rendere l’architettura moderna accessibile alla classe media americana. Nascono così le Usonian Houses, progetti a basso costo, modulari e privi di ornamenti superflui, che comunque mantengono i principi dell’architettura organica di Wright. Tra queste, la Weisblat House (1948), una delle quattro case progettate da Wright per il complesso residenziale di The Acres, nel Michigan, poi la Eppstein House (1948) con le sue ampie vetrate e la Hughes House (1949) nota come “La fonte meravigliosa” per via della fontana e della piscina sul retro. Tutte rappresentano declinazioni diverse del modello usoniano, e tutte sono in vendita a più di 2 milioni di dollari.

Sul mercato dal 2023 c’è anche uno degli ultimi progetti di Wright: a Phoenix, in Arizona, la Norman Lykes House (1959) – conosciuta più comunemente come Circular Sun House – è una delle quattordici case circolari dell’architetto, che ha saputo sfruttare il dislivello collinare per la progettazione totalmente “su misura” di questa villa.


Troppo preziose per essere semplicemente abitate, troppo recenti (e costose da gestire) per essere conservate come opere d’arte, queste case rischiano di restare sul mercato per anni, nell’attesa di un acquirente consapevole e disposto a farsi custode, più che proprietario. Il rischio è che finiscano per subire molte ristrutturazioni, come la già citata Jones House, o che diventino reliquie di un passato glorioso, più fotografate che vissute, più presenti sui libri di storia che abitate.

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