Jean-Benoît Vétillard. Visioni possibili per il progetto d’interni

Attraverso il disegno, il progettista francese restituisce la misura di un mondo fatto d’interni, geometrie e piccole ossessioni ispirate a Fellini e al senso della vita.

Jean-Benoît Vétillard

Jean-Benoît Vétillard è nato in Normandia in una piccola città medievale con imponenti fortificazioni e grandi muri di pietra, in un luogo protetto e misurato che ha lasciato una traccia nella sua attitudine a raccontare lo spazio. Dopo qualche anno a Venezia, a bottega da Salottobuono, ha deciso di vivere e lavorare a Parigi dove la sua attività indipendente è in costante crescita. Come succede per molti giovani progettisti, il disegno sembra essere lo strumento operativo privilegiato per iniziare a indagare lo spazio. 

Anche se oggi inizia a confrontarsi con scale architettoniche più grandi che richiedono linguaggi differenti, Vétillard non ha paura di dichiarare tutto il suo mondo di progettista in immagini come strumento di narrazione. I suoi disegni, veri e propri fotogrammi di un racconto, sono luoghi teorici animati da poche linee e archetipi riconoscibili, frammenti di spazio dove la figura umana spesso non compare, ma è rappresentata attraverso le tracce di vitalità che questa produce, spiegando “la natura dello spazio attraverso la sua essenza”.

Per presentare alle autorità il progetto di ristrutturazione di un antico edificio destinato a ospitare la Nouvelle Maison des Associations in un piccolo comune del nord della Francia, progetto che vedrà il completamento entro la fine del 2018, ha proposto una sequenza ordinata di sei interni uniformati dalla ripetizione di alcune gamme cromatiche. Una piccola drammaturgia progettuale che immagina la vita della comunità nei suoi rituali, luoghi che prefigurano il progetto e non lo descrivono solo nella sua composizione formale, ma usano la scala dell’architettura, dell’arredo e delle finiture come elementi espressivi di una sola qualità: l’abitare. Gli arredi e le differenze materiche sono solo accennate da una texture o da un colore, ma nel loro insieme raccontano, come in una breve filastrocca, la relazione e la natura degli spazi in base alle loro funzioni. Anche quando l’edificio è visto da fuori attraverso la sua connotata immagine storica, il progetto sembra piegarsi alla forza della sua spazialità interna, attivato da una semplice finestra con la luce accesa. 

Quello che Jean-Benoît Vétillard propone con i suoi disegni non è solo un registro visivo derivato dalla grafica, ma è un racconto spaziale fatto di relazioni, proprio come nel famoso Libro dei sogni di Federico Fellini (che lui confessa di tenere sul comodino), dove premonizioni, visioni e incubi vengono isolati per essere registrati e descritti in forma di metafore spesso surreali. Con la stessa abilità, la serie di disegni e modelli dal titolo Somnii Explanatio ha portato il progettista a immaginare 24 sogni, ognuno raccontato con un proprio archetipo attraverso maquette in cemento e grafiche a tinte verdi. È una teoria di mondi possibili che indaga le forme dello spazio e dà ossigeno a quelle ossessioni che ogni progettista conserva nel proprio repertorio. È un abaco d’intenzioni e di tracce, forse da sempre nella sua matita, dove gli arredi, gli oggetti e le intersezioni tra paesaggio abitato e dimensione interiore sono il vero soggetto di un’architettura che cerca di raccontarsi. Una ricerca libera e parziale che si manifesta sotto forma di piccole storie, luoghi dove l’architettura non è mai raccontata completamente, dove qualcosa sembra accadere nello stesso momento in cui avviene qualcos’altro: terrazze come stanze a cielo aperto, prospetti di edifici animati solo dalle fiamme di un incendio, tavoli sparsi come carte da gioco, montagne di tessuto e scalinate effimere che trapassano edifici da parte a parte; tutte accompagnate da una citazione a latere come nella tradizione dei lavori teorici a cui Ettore Sottsass e Ugo La Pietra ci hanno abituato.

L’espressione più viva di questa ricerca tra disegno e progetto è sicuramente l’allestimento Multiple per la hall centrale del Palais de la Porte Dorée a Parigi, realizzato con Matteo Ghidoni. Un allestimento che trasforma la semplice geometria di un dispositivo d’arredo ad altezza variabile in una “figura composta” che contiene al proprio interno una moltitudine di usi e relazioni. Un banco, un tavolo e un gradino, nella loro reiterazione diventano anfiteatro, un piano d’appoggio infinito o una sequenza di onde inattese. Il tutto realizzato con una struttura metallica saldata e verniciata in tre colori dal bianco al blu, tonalità capaci di dialogare con gli apparati decorativi della preziosa sala progettata da Albert Laprade negli anni Trenta.

Un lavoro che dimostra la sintesi tra segno e forma, tra disegno e progetto, tra interno e paesaggio, dove la geometria che abita lo spazio con le sue figure sembra essere l’anima di questa costruzione. “Cerco sempre di lavorare con l’aiuto della geometria, quella delle forme pure e dei sistemi elementari, perché ritrovo in tutte le linee e le forme che utilizzo, una sorta di primitivismo che mi definisce”, ci ricorda Jean-Benoît Vétillard, ed è proprio in questa ricerca di una reale dimensione dell’abitare che ritroviamo un mondo fatto di forme, di oggetti e di storie per chi abita e progetta lo spazio, un codice teorico che descrive i pensieri più alti e quotidiani di una cultura del progetto che immagina la misura del presente.