David Chipperfield e Domus, una storia lunga trent’anni

Da tre decenni, Domus segue e commenta la carriera dell’architetto inglese, attraverso le parole di critici, storici e progettisti.

David Chipperfield Architects, Cittadella giudiziaria, Salerno, 2003-2018. Da Domus 944, febbraio 2011

Domus presenta David Chipperfield ai suoi lettori per la prima volta nel 1988. Un articolo di Manolo De Giorgi su Domus 695, giugno 1988, dedicato ai progetti per uno studio di grafica a Londra e per la Galleria Arnolfini a Bristol, fornisce un’utile contestualizzazione del giovane progettista nella scena dell’architettura britannica. De Giorgi include Chipperfield nel “drappello di grosso modo quarantenni, figli di quella generazione dei Foster e dei Rogers che ai più alti livelli partecipa alla spartizione della torta liberal-tatcheriana” dei grandi interventi in corso nella Londra di fine anni ‘80. Il valore politico dei progetti giovanili di Chipperfield risiede, secondo De Giorgi, nella loro scala ridotta, e nella rilettura ironica dell’ossessione tecnologica della generazione precedente: “pur essendo figli di quei maestri, bisogna ammettere che c’è un bel salto, che hanno tutt’altra leggerezza, che scherzano gioiosamente con quella tecnologia in cui credevano i padri, riducendola a semplice capitolo di gioielleria”.

I due progetti del 1988, nella cui composizione per piani bidimensionali De Giorgi intravede echi della “superficie-tappeto” di Carlo Scarpa, sono i primi di una lunga serie d’interni di Chipperfield pubblicati da Domus. Segue, tra gli altri, il negozio Wilson & Gough, sempre a Londra (Domus 705, maggio 1989) che Paola Aimo considera come un’eccezione positiva nel poco edificante panorama degli interni londinesi dell’epoca. Lo descrive come un progetto controcorrente, che nasce da “una precisa comprensione dei problemi e da una chiara focalizzazione degli obiettivi, si evolve attraverso un’estrema cura per il disegno ed un instancabile studio di particolare”. E poi, tra gli altri, i negozi Equipment di Londra e Parigi (li commenta Richard Burdett su Domus 738, maggio 1992), e in tempi molto più recenti i Valentino Flagship Store di Londra e Roma, fotografati da Santi Caleca per Domus 1005, settembre 2016.

Negli anni, Domus rende conto delle tante tipologie e dei tanti luoghi che Chipperfield esplora durante la sua carriera. Lo incontra nei Sobborghi sovversivi (fortunato titolo dell’articolo di Rowan Moore per Domus 843, dicembre 2001) dove ristruttura ed amplia la casa londinese del fotografo Nick Knight. “Le periferie” afferma Moore “sono spesso (…) luoghi eversivi e rivoluzionari, sotto la lucidata copertura dell’apparente eliminazione delle frizioni e dei rischi sociali e gli studiatissimi meccanismi della privacy. La casa creata da David Chipperfield per Nick e Charlotte Knight è tutto il contrario: non si nasconde dietro nessuna copertura. Se radicale è, lo dichiara apertamente”. In tema di paesaggi domestici, già qualche anno prima Martin Kieren esalta la “virtuosa drammaticità plastico-architettonica” di una casa unifamiliare di Chipperfield in Germania (Domus 795, luglio-agosto 1997), mentre su Domus 987, gennaio 2015, le fotografie di Simon Menges raccontano del “restauro del paesaggio” della campagna inglese a cui contribuisce il progetto per la Fayland House, nel Buckinghamshire.

Nel 2003, è Sebastiano Brandolini è descrivere gli uffici dell’Ernstings Service Centre, nei pressi di Münster. Sulle pagine di Domus 861, le sue riflessioni confermano la molteplicità dei riferimenti a cui attinge Chipperfield, e il legame di critica continuità che intrattiene con il moderno architettonico: “Il suo metodo compositivo si fonda sulla definizione di una pelle che ruota, affiancando e accorpando volumi interi senza manometterli, e facendo sì che ciascuno resti comunque leggibile nella sua integrità e pulizia. Chipperfield richiama così l’immagine tranquilla e diagrammatica delle sedi corporate americane degli anni ’50 e ‘60”. Fulvio Irace sviluppa una serie di considerazioni trasversali alle cittadelle di giustizia di Salerno e di Barcellona (Domus 944, febbraio 2011). Del progetto per la prima, risultata vincitrice al concorso internazionale indetto dalla città campana nel 1999, afferma che raggiunge “la quadratura del cerchio, con uno schema tanto apparentemente semplice quanto indubbiamente efficace. Coniugando l’etimologia inglese del termine law court con la tradizione mediterranea del patio e della corte, la sua proposta offre un’interpretazione letterale del concetto di ‘cittadella giudiziaria’ come rappresentazione di una città in miniatura”. Negli ultimi anni, Guido Musante descrive la “nuova modalità d’interazione tra restauro architettonico e contract furniture” sperimentata da Chipperfield nella ristrutturazione del grande magazzino Selfridges, a Londra (Domus 1029, novembre 2018), mentre Deyan Sudjic rilegge il colossale cubo dell’Amorepacific headquarters di Seoul come “una collezione di componenti spaziali di differente scala e orientamento (…) più che un singolo edificio” (Domus 1030, dicembre 2018).

Si susseguono su Domus anche molti dei musei di Chipperfield, dal Museo della Letteratura di Marbach am Neckar (Domus 901, marzo 2003) al Saint Louis Art Museum (Domus 976, gennaio 2014) e fino al delicato intervento sulla Neuenationalgalerie di Ludwig Mies van der Rohe a Berlino (Domus 1021, febbraio 2018). Ma è allo straordinario progetto di restauro e ricostruzione del Neues Museum di Friedrich August Stüler, sempre nella capitale tedesca, che Domus dedica più spazio. Ad una prima rassegna consacrata all’intera Isola dei Musei, a cura di Rita Capezzuto su Domus 831, novembre 2000, segue un lungo articolo firmato da Flavio Albanese e Deyan Sudjic su Domus 926, giugno 2009, dai toni comprensibilmente entusiastici. “Il risultato che abbiamo potuto constatare a museo vuoto” affermano gli autori “è quello di un intervento preciso nella sua logica: un progetto che recupera un passato ridotto quasi solo a materia e memoria, rifunzionalizzandolo attraverso un efficace lavoro di enfatizzazione della struttura originaria”.

È proprio il progetto per il Neues Museum a conferire al personaggio pubblico di Chipperfield la stessa scala e rilevanza culturale di quei maestri inglesi citati da De Giorgi nel suo articolo del 1988. Un riconoscimento globale che traspare anche dalle parole di Albanese e Sudjic: “Il pensiero veicolato dal progetto per il Neues Museum si può riassumere nella negazione di quella linea autoriale e spettacolarizzante che ha ultimamente accompagnato l’architettura dedicata ai musei: la filosofia della misura di Chipperfield viene premiata rispetto a quella pirotecnica di un Frank Gehry, uscito sconfitto dal concorso berlinese sebbene, nel 1997, provenisse dai fasti mediatici del nuovo museo di Bilbao”.

Speciale Guest Editor

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