I luoghi di David Chipperfield

La geografia dell’architetto inglese include la campagna del Devonshire dove è cresciuto, poi Londra, Giappone, Germania e Italia, tutti luoghi fondamentali per la sua carriera.  

Ognuno di noi è plasmato, sul piano personale e professionale, da una successione di luoghi, è formato da diversi livelli di esperienza, da amicizie e ambienti. La geografia di David Chipperfield lo ha condotto lungo un viaggio ricco e articolato, dall’infanzia nella campagna del Devonshire e attraverso le porte della Architectural Association di Londra fino agli studi di Richard Rogers e Norman Foster come giovane architetto, per approdare quindi in Giappone, Germania e Italia – che si sono rivelati luoghi fondamentali per la sua carriera – e infine in Spagna, dove si ‘ritira’ da tutto il resto.

Questi sono solo punti di ancoraggio, basi per innumerevoli escursioni che hanno tutte lasciato un segno: Città del Messico, Shanghai, Agra, Seoul, Iowa e oltre. Dal Giappone, Chipperfield ha mutuato un apprezzamento per la semplicità e la valorizzazione di tutto ciò che è normale, destinato a diventare un mantra per la sua pratica professionale. L’Italia gli ha presentato l’opportunità di pensare in grande, di lavorare con alcuni tra i nomi più importanti del design e curare il più prestigioso evento nel campo dell’architettura – la Biennale di Venezia, nel 2012 –, mentre la Germania gli ha offerto la sua prima grande occasione con il Neues Museum, un progetto che ha definito vent’anni di attività.

I mutamenti climatici e la crisi sociale stanno imponendo nuove geografie, alle quali Chipperfield cerca di contribuire in maniera pratica, anche attraverso il coinvolgimento con il movimento Architects Declare e la Fundación RIA – e dal prossimo anno con Domus. “È ancora difficile pensare a come dare un contributo significativo per affrontare una crisi che non è ormai più all’orizzonte, è decisamente sopra le nostre teste”, afferma. “Ci sono molti architetti, in particolare quelli più giovani, che fanno davvero del lavoro interessante e cercano di trovare nuovi modi di esercitare la professione. Domus, sotto la mia direzione, si rivolge a loro”.

The West Country

David Chipperfield è nato a Londra nel 1953, ma la regione del West Country è la casa della sua infanzia, prima nella fattoria di famiglia nel Devon e poi al college nel Somerset. “I ricordi sono inaffidabili, sono esagerati, si lasciano riscrivere, ma vedo ancora molto distintamente i luoghi fisici della mia infanzia”. Chipperfield ricorda l’intensa fisicità della vita rurale, del crescere in questa Arca di Noè popolata da mucche, maiali, galline e campi coltivati che gli ha donato, se non la propensione a diventare un architetto, certamente una sensibilità verso lo spazio.

“Ti sintonizzi molto con il piano fisico. In città le cose appartengono sempre a qualcun altro, in campagna in qualche modo appartengono a te”, dice. “Suona molto romantico, e probabilmente troppo sentimentale, ma crescere nel Devon, in una fattoria, certamente mi ha lasciato un marchio e mi ha fatto assorbire una certa maniera di godere delle cose tangibili”.

L’idea di architettura come percorso professionale, tuttavia, inizia per lui a emergere solo durante l’adolescenza alla Wellington School, nel Somerset. “Il motivo per cui sono diventato architetto, penso, ha molto più a che fare con i miei anni di scuola. Non ero particolarmente dotato per gli studi, ma in un college devi diventare bravo in qualcosa, altrimenti tutti ti passano sopra”. E così ha dedicato il suo tempo allo sport e all’arte, trascorrendo i fine settimana nell’aula di belle arti a dipingere e disegnare grazie all’incoraggiamento di un insegnante. “Quella è stata la circostanza grazie alla quale sono diventato architetto”.

David Chipperfield con il gruppo di lavoro del suo studio, aperto a Londra l’anno prima di questo scatto, nel 1985.

Londra

Trasferitosi a Londra, Chipperfield si iscrive alla Kingston School of Art e poi all’Architectural Association, dove si laurea nel 1977. “Sono sempre stato molto affascinato da Londra. Venendo dalla campagna, desideravo disperatamente far parte di un ambiente sofisticato”, ricorda. “Il fatto di venire dal mondo rurale ti fa sentire inferiore, così io penso di essere rimasto abbagliato – e di esserlo ancora in qualche modo – dal caos e dalla meravigliosa complessità della dimensione sconosciuta della città”.

Dopo la scuola di architettura, inizia il suo apprendistato presso Richard Rogers, Norman Foster e Douglas Stephen, per poi fondare il suo studio nella capitale, nel 1985. La prima commissione gli viene affidata dallo stilista giapponese Issey Miyake, prima per un negozio a Sloane Street, a Londra, e successivamente per una serie di progetti in Giappone che lo lanciano immediatamente nel panorama internazionale. Londra ha continuato a essere la sua casa e il perno della sua vita professionale, con un nuovo studio sullo Strand, organizzato intorno a un grande laboratorio che ospita dozzine di plastici, che vanno da un teatro a modelli di spazi abitativi.

I suoi lavori nel Regno Unito spaziano in lungo e in largo in scala e tipologia di utilizzo, dalla sua prima commissione – l’ampliamento di una casa degli anni Cinquanta appartenente al fotografo Nick Knight (1990, 2001) – allo studio per lo scultore Antony Gormley (2003) e più recentemente una coppia di torri esagonali rivestite in mattoni per Hoxton Press nel Colville Estate (2018) a Londra.

E se il suo studio si è guadagnato numerose lodi per gli straordinari edifici culturali realizzati in varie parti del mondo – il Jumex a Città del Messico (2013), il museo di storia naturale di Zhejiang in Cina (2018) e il Neues Museum di Berlino (2009) – ci sono relativamente poche possibilità di sperimentare interventi della stessa scala nel suo Paese. “Tutti questi esercizi hanno a che fare con il lavoro fuori dall’Inghilterra”, osserva commentando il corso della sua geografia emozionale. “Non abbiamo mai lavorato davvero in Inghilterra – ancora oggi non lo facciamo”. Ma ci sono naturalmente Hepworth Wakefield (2011), il The River & Rowing Museum nell’Oxfordshire (1997), il Turner Contemporary a Margate (2011) e una recente estensione della Royal Academy of Arts a Londra (2018).

Giappone

Prima di tutti questi progetti arriva il periodo formativo in Giappone. La collaborazione con Issey Miyake lo porta nel Sol Levante per disegnare una serie di negozi, ciò che a posteriori gli fa realizzare come gli siano state offerte opportunità architettoniche che “non si sarebbero mai presentate nel Regno Unito”. Nei primi anni Novanta, un trio di commissioni di medie dimensioni ha dato il via alla sua carriera: Toyota Auto Kyoto, il Gotoh Museum di Chiba e il quartier generale della Matsumoto Corporation a Okayama. “Quei cinque o sei anni sono stati incredibilmente formativi. Il Giappone rappresenta la seconda parte della mia formazione. Si è trattato di un’esperienza davvero intensa”, afferma. “Per certi versi ha segnato l’inizio di tutto. Senza di essa, non credo che la mia carriera sarebbe decollata”. In Giappone, Chipperfield ha stretto amicizia con l’acclamato modernista Tadao Ando e ha assorbito un modo di lavorare che comportava “semplificare tutto, prendendo cose normali e rendendole speciali”, che da allora ha informato la sua pratica. “Invece di rendere tutto spettacolare, cerchi le qualità essenziali di qualcosa e provi a esprimerle”, afferma riguardo al processo che ha imparato. “Direi che è una sorta di mantra per la mia pratica”.

Nel 2013, ha ricevuto il Premium Imperiale a riconoscimento del suo lavoro, giusto mentre stava iniziando un altro progetto in Giappone, il cimitero di Inagawa a Hyogo (2017), dove la cappella e il centro visitatori sono delimitati da pareti rosa con aperture posizionate con cura, uno spazio contemplativo terso e generoso ai piedi della catena montuosa di Hokusetsu.

Scorcio della mostra “David Chipperfield Architects 2018”, Basilica Palladiana, Vicenza. Foto Simon Menges

Italia

L’Italia ha offerto allo studio di Chipperfield la prima opportunità di crescita grazie al gran numero di concorsi per opere di architettura degli anni Novanta. Una serie di successi – un ampliamento del Cimitero di San Michele a Venezia, il Museo delle Culture (MUDEC) a Milano (i cui esiti formali sono stati pubblicamente disapprovati dal progettista), un palazzo di giustizia a Salerno e un museo di storia naturale a Verona – ha permesso allo studio di passare dagli ampliamenti di spazi abitativi e dagli interni di negozi a progetti più monumentali.

“La seconda fase di sviluppo del nostro studio è molto legata ai concorsi in Italia”, ricorda. “Negli anni Novanta ci sono state molte gare ben organizzate, ne abbiamo vinte quattro di fila”. Il MUDEC (2015) è l’unico progetto giunto a completamento, mentre il cimitero di San Michele a Venezia è in attesa della sua terza e ultima fase, i lavori a Salerno e Verona sono ancora in corso. “Non direi che si sia trattato di grandi esperienze professionali”, afferma Chipperfield. Tuttavia, sono state fondamentali per uno studio ancora giovane. Che nel 2006 ha aperto una filiale a Milano, grazie alla quale sono maturati contributi all’architettura italiana come il nuovo campus per l’Università di Padova, ma anche al design, con una reinterpretazione della caffettiera Moka per Alessi (2019) e prodotti per Artemide, Driade e B&B Italia.

“Il rapporto con l’Italia è sempre stato importante”, dice Chipperfield, che nel 2012 è stato nominato direttore della Biennale di Architettura di Venezia, dove ha presentato “Common Ground”, base per alcune delle questioni che verranno discusse in Domus nel corso del 2020. “Già a quel tempo cercavo di dire che ci sono questioni che hanno molto più a che fare con la pratica dell’architettura che con la concorrenza tra architetti”, ricorda. “Ho provato a essere un portavoce dell’idea che gli architetti non devono entrare in competizione tra loro, ma formare un fronte solido sulla base di ciò che condividiamo e non di quanto ci separa. Abbiamo tutti a che fare con gli stessi problemi, quindi perché non parlare dei temi comuni che dobbiamo affrontare insieme alla società?”

 

Un progetto realizzato da Chipperfield come studente della Architecture Association di Londra, dove si è laureato nel 1977.

Germania

L’incarico di rinnovare il Neues Museum di Berlino nel 1993 è stato per Chipperfield “un’esperienza che ha cambiato la mia vita”. “Sono stato fortunato a trovarmi nel mezzo di una città che si stava reinventando e far parte del processo che ha portato a re-immaginarla”, afferma. Nel 1998 inaugura il suo studio berlinese, in cui i collaboratori sono aumentati al punto da superare in numero lo staff dello studio londinese. Il lavoro sull’Isola dei Musei, che ha tenuto occupato l’avamposto berlinese, è stato completato nel 2018 con l’apertura dell’elegante colonnato della James Simon Galerie – un elemento già presente nel Museo della Letteratura Moderna di Marbach am Neckar (2006) con il quale Chipperfield e i suoi collaboratori si sono aggiudicati lo Stirling Prize del Royal Institute of British Architects nel 2007.

E prossimamente lo studio affronterà il rinnovo della Neue Nationalgalerie di Mies van der Rohe. “La Germania ha un grande rispetto per gli architetti”, afferma parlando dell’accoglienza tributata al suo lavoro. “Credo di potermi annoverare tra coloro che hanno promosso l’importanza di Berlino – della città e della sua architettura. Sono stato ragionevolmente schietto e credo che il mio impegno in questo senso sia stato apprezzato. Sono stato invitato a cena da Angela Merkel, nessun politico britannico lo ha mai fatto”.

Galizia

Se Londra rappresenta un’estremità della geografia di Chipperfield, la Galizia è il lato opposto. Da quasi trent’anni soggiorna con la famiglia nella regione spagnola, fuggendo da Londra, in particolare negli ultimi tempi, per vivere in una candida e luminosa abitazione che si apre direttamente sulla spiaggia. “È il rifugio di famiglia da 27 anni, ci riporta in una comunità normale e reale”, dice, aggiungendo che è la qualità della vita ad attirarlo continuamente in Galizia, un luogo che offre l’antitesi del clima che si respira oggi nel Regno Unito, completamente ingolfato nell’idea di separarsi dall’Unione Europea.

“Confrontare il Regno Unito con la Galizia – una delle regioni più povere d’Europa, pur se con ottime risorse, alta qualità della vita basata su un buon senso di comunità e un buon ambiente – penso sia un utile esercizio per il mondo di stampo aziendale e consumistico che abbiamo inventato”, afferma. “Dovremo imparare a gestire un mondo in cui si consuma di meno, ad abbandonare il consumo come divertimento primario”. Nel 2016 ha creato la Fundación RIA (Rede de Innovación Arousa), che fornisce consulenza a livello di governo locale sulla pianificazione e conversione della regione spagnola di Arousa.

È una fondazione indipendente attraverso la quale Chipperfield convoglia parte delle entrate del suo studio in una “buona pratica” nell’ambito di una comunità che apprezza molto – una decisione che recentemente gli è valsa il Premio di Galiziano dell’anno 2019. “La fondazione rappresenta un modo per cercare di dare una risposta pratica ai temi e alle responsabilità sociali in cui penso che gli architetti dovrebbero essere coinvolti”, spiega. “Il problema è che gli architetti sono alla fine della filiera quando viene loro commissionato un lavoro. Io invece sto cercando di dare un contributo a livello sociale, quindi non me ne sto seduto ad aspettare che qualcuno mi proponga di fare qualcosa, ma mi faccio avanti e presento delle proposte. Mi piacerebbe che fare del bene diventasse parte integrante della normale pratica architettonica”.

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