Bjarke Ingels

“Concentrandoci sulla sovrapposizione produttiva tra pragmatismo e utopia, noi architetti possiamo ancora una volta ritrovare la libertà di cambiare la superficie del nostro pianeta, per adattarla al meglio alle forme della vita contemporanea” (Bjarke Ingels)

Bjarke Ingels. Foto © Yoo Jean Han. Da Domus 953, dicembre 2011

Più di tanti altri protagonisti del mondo del progetto contemporaneo, è Bjarke Ingels ad interpretare al meglio il prototipo dell’archistar. Nasce a Copenaghen nel 1974, ma la connotazione nazionale è poco significativa per comprenderne il percorso e la produzione di un personaggio di cultura, visioni e ambizioni globali. Studia alla Royal Academy of Fine Arts della capitale danese, poi alla Escola Tècnica Superior d’Arquitectura di Barcellona. Ancor più rilevante per la sua formazione è il periodo che trascorre presso lo studio di Rem Koolhaas, a Rotterdam, a partire dal 1998.

Anche l’esperienza presso OMA, infatti, è alla base dell’approccio post-ideologico e post-moderno al progetto di Bjarke Ingels, i cui edifici sono soluzioni elaborate “caso per caso” per rispondere alle specificità di ciascun incarico. Inoltre, sia Ingels che Koolhaas non sono interessati a perseguire una ricerca formale autonoma: per entrambi, è innanzitutto il programma ad orientare la concezione e la definizione volumetrica dell’architettura.

Nel 2001, Bjarke Ingels torna in Danimarca e fonda PLOT, con il belga Julien de Smedt. Sciolto questo sodalizio giovanile, nel 2005 apre BIG (Bjarke Ingels Group), da allora attivo e in piena espansione. Le realizzazioni dei primi anni di carriera autonoma di Ingels testimoniano da un lato delle affinità con Koolhaas, dall’altro di un progressivo ma chiaro allontanamento dall’esempio dell’architetto olandese.

Significativi, in questo senso, sono tre complessi residenziali costruiti nel quartiere in espansione di Ørestad, a Copenhagen: le VM Houses (con PLOT, completate nel 2005), i Mountain Dwellings (cominciati con PLOT, e conclusi nel 2008) e la 8 House, commissionata a BIG nel 2006. I progettisti giustappongono e sovrappongono gli alloggi e gli altri programmi secondo criteri decisamente pragmatici: esposizione, accessibilità, privacy. Al tempo stesso, però, si preoccupano di rendere gli edifici riconoscibili, memorabili. Le VM Houses sono due gigantesche lettere estruse dal suolo; i Mountain Dwellings sono un pendio abitato, correttamente rivolto a sud, e i pannelli che schermano il parcheggio su cui poggiano riproducono in trasparenza una veduta del Monte Everest; le serpeggianti coperture percorribili della 8 House, infine, compongono la caratteristica sagoma del numero che dà il nome al complesso. Sono i primi esemplari di una serie di “icone” che Bjarke Ingels realizza negli anni successivi.

Oltre che decisamente riconoscibili, le sue architetture sono, o si vogliono, “sintetiche”. Ingels le racconta spesso attraverso diagrammi composti da una sequenza di poche operazioni: rotazioni, torsioni, addizioni, sottrazioni. La prima proposta per il Kimball Art Centre, nello Utah (2012, non realizzata), è emblematica di questo approccio: l’edificio esistente ha un determinato orientamento; l’estensione del museo sceglie di rivolgersi in un’altra direzione, per fronteggiare la strada d’accesso alla città mineraria; l’unione dei due blocchi diversamente orientati genera una torsione, che si cristallizza “automaticamente” in un volume architettonico.

Il diagramma è solo uno degli strumenti utilizzati da Bjarke Ingels per descrivere i suoi edifici. Comunicatore abilissimo e istrionico, Ingels ha certamente contribuito a modificare radicalmente le modalità e i linguaggi con cui viene raccontato il progetto architettonico. Yes Is More: An Archicomic on Architectural Evolution (2010) è la sua pubblicazione più celebre, concepita come il manifesto di BIG. Non è una tradizionale monografia, ma un esuberante “archi-fumetto”, neologismo coniato ad hoc dall’autore.

Anche grazie alla sua capacità di raccontare l’architettura in maniera accattivante, irriverente, semplificata ma non necessariamente impoverita, Bjarke Ingels si trasforma rapidamente in un personaggio mediatico, riconosciuto ben oltre l’ambito della sua attività. Lo testimonia la sua inclusione, nel 2016, nella lista delle 100 personalità più influenti del mondo stilata da TIME Magazine. La sua celebrità cresce di pari passo con le dimensioni del suo studio, che alla fine del 2019 conta quattro sedi (oltre a quella originaria di Copenaghen, anche New York, Londra e Barcellona), 17 partner, 26 associati e diverse centinaia di dipendenti. 

Gli incarichi si moltiplicano e si diversificano negli anni, così come le soluzioni indubbiamente vulcaniche proposte da Bjarke Ingels ai suoi committenti. Nel 2010, convince il governo danese a “prestare” per qualche mese la statua originale della Sirenetta di Edvard Eriksen al Padiglione della Danimarca all’Expo di Shangai. Che è concepito come un singolo anello in pendenza, percorribile in bicicletta e avvolto attorno al prezioso reperto. A New York, VIA 57 West (2016) ibrida la tipologia del grattacielo americano con quella dell’isolato urbano a corte, di origine europea, e così facendo moltiplica la quantità di alloggi direttamente affacciati verso l’Hudson.

La Lego House di Billund (2017) enfatizza al massimo la dimensione ludica dell’architettura di Bjarke Ingels, qui impegnato nell’infinita ripetizione del modulo del mattoncino, a tutte le scale. CopenHill, a Copenhagen, aperto al pubblico nel 2019, combina in un solo edificio-montagna due programmi apparentemente inconciliabili come un termovalorizzatore e una pista da sci.

Progetti come il Danish National Maritime Museum di Helsingør (2013), il Serpentine Pavilion 2016 a Londra, la sede di Google a Mountain View, California (con Thomas Heatherwick, in corso), e la Sanpellegrino Factory di San Pellegrino (in corso) testimoniano dell’abilità di Bjarke Ingels d’interpretare incarichi di natura profondamente diversa, in ambito istituzionale come in quello aziendale.

“Sostenibilità edonistica” è una delle migliori definizioni ad effetto coniate da Bjarke Ingels per descrivere i suoi progetti: un binomio non scontato, in grado di conciliare la tematica oggi più urgente e sentita alla scala planetaria con l’esigenza senza tempo e universale di svago e piacere. 

Nelle parole di Rowan Moore:

La principale mossa di Bjarke Ingels sembra essere quella di affermare: tutto questo è spettacolare, sfacciato, memorabile. E perché no?
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