Il viale rettilineo, praticamente geometria astratta, che porta dal mare verso Carrara, è un dispositivo scenico da far impallidire Versailles. Ogni metro che si percorre, tutto è dominato dal fondale gigantesco delle Alpi Apuane, innevate anche a luglio, notoriamente non da neve ma da quella che è una pratica sospesa tra industria e artigianato: l’estrazione del marmo. Anche la città viene in qualche modo inghiottita dalla prospettiva, rendendo il tutto ancora più metafisico. Questo momento “cheap Stendhal” potrebbe generare una di quelle che chiamiamo domande di design: come guardiamo al marmo? A questa materia assoluta, a questo privilegio che tutti ci contendono? Oltre alle sculture classiche e alle realizzazioni di lusso, il rischio potrebbe essere quello di cristallizzarsi su una retorica, dove come massimo della profondità ci si può aspettare la narrativa esotizzante da Italia dei borghi di The Brutalist.
Quando un festival in una cava di marmo può attivare un nuovo sguardo sulla materia
In due notti di musica elettronica Vox Marmoris ha “fatto cantare le cave” di Carrara: un dialogo della materia con il suono e i pattern visuali di laser e installazioni, che ha coinvolto tutto un territorio in una riappropriazione degli spazi e delle arti digitali.
Courtesy Vox Marmoris
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- Giovanni Comoglio
- 06 agosto 2025
Sorprendentemente, ma non troppo, a portarci più in profondità è stato un festival di musica elettronica. Vox Marmoris, arrivato col 2025 all’ottava edizione, era nato dall’idea forse più semplice ed efficace che possiamo immaginare: una festa di amici, per una notte, tra le cave di marmo. E, anche al di là del nome, il suo legame con la materia è totale.
Il progetto di Olivia e Giulio Corsi, e di Matteo Zarcone, è cresciuto: le notti sono diventate due, e la musica ha incrociato altri mondi, ampliandosi dalle montagne alla città.
La cava Calagio, sulla strada per Colonnata, è l’epicentro della musica, quest’anno dominata dai set techno di Ellen Allien, dai toni sofisticati di Bambounou e poi dalla house globale di Palms Trax. Siamo sul piazzale dove i blocchi estratti vengono esposti, per essere scelti e poi inviati al porto, mentre i due veri punti di estrazione, le pareti più in alto, sono attivate dalle proiezioni laser di Alberto Novello.
In città, curate da Olivia Corsi, compaiono invece opere come il marmo delle sculture robotizzate di Quayola, una nuova proiezione di Novello che mette in dialogo i fronti della centrale piazza Alberica, e Row, la sequenza di display olografici LED che il collettivo russo-europeo Tundra ha collocato tra i lavori ancora incompiuti della Cooperativa degli scultori di Carrara, a interagire visualmente con lo spazio e col suono dei dati da cui la nostra aria è attraversata.
Lo spazio della cava resta però il cuore ideale di tutto. L’esplorazione della cava, attiva o quiescente, come luogo performativo, è una ricerca che sta caratterizzando molte espressioni contemporanee, come con la Cava Arcari di David Chipperfield in Veneto. Quella di Vox Marmoris invece appartiene alla famiglia dei Corsi, è una ditta nata nel 1811, vissuta come una vita personale: “Io che oggi lavoro in azienda e vedo ogni giorno le cave mi emoziono ogni anno che c’è Vox Marmoris” ha raccontato Giulio Corsi a Domus “perché mi fa vedere le montagne con un’altra prospettiva: da una parte i giochi di luci fanno risaltare le pareti, dall’altra la musica fa parlare le cave attraverso il suo riverbero”. Far parlare le cave, anzi: farle cantare. È qui infatti che la materia assume quel ruolo nuovo su cui ci facevamo delle domande all’inizio. Perché se il discorso riguardo le pratiche d’estrazione è più vivo che mai, e spesso viene esteso anche all’idea di usare le cave come piattaforme da eventi, è altrettanto vero che qui a legare concept, evento, paesaggio e luogo c’è un filo fortissimo, più che doppio.
C’è il filo materiale, del marmo come attore dei set e delle opere, e c’è il filo immateriale del suono tradotto in segni. E poi ancora c’è il filo umano, quello del coinvolgimento di una comunità estremamente diversificata dove il ruolo centrale appartiene a chi lavora nella cava: non solo queste persone hanno visto il festival come parte della loro presenza sulla montagna, offrendo supporto per l’organizzazione, ma hanno anche partecipato alle serate come ospiti.
La dimensione del boutique festival, poi, la sua scala “umana” meno gravata da obblighi di grande delivery performativa, è quel che consente a Vox Marmoris un certo margine di sperimentazione.
Lo fa nell’esplorazione dell’immateriale, come quella di AlphaTheta (Pioneer Dj) che con Tribe XR ha potuto ospitare un set in VR dentro Palazzo Binelli, aprendo un pensiero critico sullo spazio ma anche su un’arte: quali nuove possibilità ci sono, là dove possiamo creare musica senza dipendere dal mezzo fisico?
Lo fa nell’esplorazione visuale, nella Crane luminosa collocata in cava a fare da landmark della notte. E lo fa nella connessione tra atto umano e digitale: i laser di Novello, ad esempio, non hanno avuto bisogno di una connessione dati per scrivere il loro pattern; è stato sufficiente un microfono che riceveva dalle pareti di marmo quello stesso battito che a loro subito ritornava, nella forma di suono tradotto in segno.
Il piazzale della cava Calagio a Carrara allestito per Vox Marmoris
Il piazzale della cava Calagio a Carrara allestito per Vox Marmoris
I laser di JesterN - Alberto Novello sulle pareti delle cave