L’AI fa fare cose matte ai tuoi architetti preferiti (anche a quelli morti)

Su Instagram ormai puoi trovare la Tour Eiffel come l’avrebbe progettata Gaudí, il cono gelato di Nanda Vigo o la Casa Bianca di Tadao Ando. Cos’altro vorresti vedere?

4321 è il penultimo romanzo pubblicato in vita dal grande scrittore americano Paul Auster. In questo libro, Auster racconta la vita – o meglio, le vite – di Archie Ferguson: un bambino che, in un solo romanzo, diventa almeno quattro persone diverse, ciascuna in una linea temporale distinta. Qualcosa di simile sta accadendo oggi su Instagram, nel campo dell’architettura.  

I feed sono invasi da galleries che reimmaginano importanti landmark delle metropoli “alla maniera di”, come se fossero stati costruiti da altri architetti, diversi dai loro creatori.  Profili come @repertoriocasa, @architectanddesign e @architectureproject si comportano quasi come i Paul Auster dell’architettura dell’Instagram.  


Scorrendo le loro pagine, incontri – ipotizzate con dovizia di dettagli – una Tour Eiffel progettata da Zaha Hadid, la Casa Bianca completamente ribaltata da Tadao Ando e la casa danzante di Praga anch’essa nelle mani di ben cinque archistar diverse. E proprio come accade nei romanzi di Auster, la sola esistenza di questi multiversi architettonici ci spinge a ripensare il nostro rapporto con l’architettura generata dall’ AI

Una, due, mille torri Eiffel

Addio alla griglia reticolare in ferro e ai pilastri ortogonali: nella visione “hadidiana”, la Tour Eiffel, il simbolo parigino costruito per l’Esposizione Universale del 1889 sarebbe scolpita dal vento, fatto di superfici fluide e curvilinee, più simile a un’onda congelata nel tempo che a un’impalcatura ingegneristica.  
 
Anche Tadao Ando, nelle ipotesi di @architectureproject, riscriverebbe completamente lo stile neoclassico della Casa Bianca. Meno celebrativa e più “introspettiva”, con il marmo che viene sostituito dal cemento armato, dal vetro e dal legno,il centro del potere statunitense -  se progettata dall’architetto guest editor di Domus 2021 - trasformerebbe forse anche la percezione che gli statunitensi hanno del potere presidenziale - rendendolo più esposto, meno secretivo.  
 
La stessa sorte tocca online anche alla Casa Danzante di Vlado Milunić e Frank Gehry. Simbolo della Praga post-comunista e della collaborazione est-ovest: qualcuno la immagina snaturata nelle mani di Peter Zumthor, con le due torri – quella in vetro e quella in cemento – che smettono di ballare fondendosi in un unico volume rigoroso.  

Alla base c’è la nostalgia?

Sono passati 90 anni da quando Walter Benjamin ha pubblicato il suo fondamentale saggio sulla riproducibilità tecnica dell’arte. È inutile scandalizzarsi per la facilità con cui uno stile, una firma, un’identità progettuale possa essere replicata “artificialmente”. Ed è forse meglio guardare a questo fenomeno da un’altra prospettiva: come un gioco serio, una forma di riscrittura collettiva, a metà tra provocazione e nostalgia. 
 
In questo ci aiuta il profilo tutto italiano di @eclissidilana, designer ironica che, tra le altre cose, ha fatto progettare ai grandi maestri del design italiano un nuovo gelato per l’estate sulle note di Sapore di Sale di Gino Paoli e ha immaginato la metropolitana M4 di Milano se fosse stata disegnata da Gaetano Pesce, visto che quella attuale “fa venire”, citazione sua, “la depressione”.  


“Ho iniziato a creare questi video per un bisogno personale di reimmaginare il quotidiano” racconta a Domus “i luoghi ordinari come i supermercati e le metro, gli oggetti di tutti i giorni come la macchina del caffè e l’aspirapolvere sono per me il pretesto per costruire scenari alternativi, desiderabili, iconici”. Alla base di questo processo che combina diversi tools, tra tutti Midjourney e Chatgpt, e che è, in realtà, molto più complesso di quello che comunemente si pensa, c’è una certa nostalgia, un sentimento che pervade anche i commenti degli utenti che la seguono: “Il mio è un gesto nostalgico, ma anche una forma di affettuosa ironia verso la realtà contemporanea. Con questo processo, in qualche modo, mi sembra che gli oggetti del nostro quotidiano possano riacquisire l’anima che trasmettevano in passato grazie alla mano dei maestri del design italiano”.  

L’AI ha trasformato gli architetti in estetiche

Ma di quale mano parliamo, e di quale anima sentiamo la mancanza? Quello che emerge da molti contenuti generati oggi con l’intelligenza artificiale non è tanto una nostalgia per la funzione, quanto per un’estetica riconoscibile, replicabile, per usare le parole di @eclissidilana: “iconica”.  
 
L’anno scorso, su DomusShajay Bhooshan – cofondatore di CODE, il gruppo di ricerca computazionale di Zaha Hadid Architects – ricordava come i progetti di Hadid, specialmente tra gli anni ’80 e ’90, somigliassero più a composizioni cubiste che a studi planimetrici. Quelle architetture non sarebbero mai state costruibili – e forse nemmeno immaginabili – senza la progettazione parametrica. L’estetica “hadidiana”, quindi, non era un semplice stile, ma una conseguenza diretta di certi sviluppi tecnologici.

Lo stesso vale per il Pratone di Gufram e molti oggetti “di rottura” del radical design italiano, che non sarebbero mai nati senza la scoperta e l’uso creativo del poliuretano espanso. 


Tornando al nostro presente, più complesso almeno ai nostri occhi, il passato dovrebbe darci da sperare che stia accadendo lo stesso con l’intelligenza artificiale: nuovi linguaggi formali ed estetici potrebbero nascere come risposta diretta all’innovazione tecnologica. E in alcuni casi, come per il Liberland Metaverse - la città virtuale ad alta fedeltà immaginata da Zaha Hadid Architects - è davvero così. “Despite what is seemingly a lack of social awareness as users concentrate on their screens, photogenic architecture and media content can provide opportunities to allow alternative interactions with people and environments”, dice l’AI designer Refnik Anadol.  

Ma dall’altro lato, stiamo assistendo al moltiplicarsi di vere e proprie micro-estetiche, accelerate dal veloce progresso tecnologico delle AI: se qualche mese fa ci sembrava incredibile chiedere una immagine “alla maniera di Picasso” a ChatGpt, o che un nostro ritratto fosse tradotto in una versione simile a quella dei film di Miyazaki, oggi bastano i prompt giusti per creare un video con Ettore Sottsass che usa un Dyson da lui disegnato. Così, gli architetti diventano dei personaggi pop e le loro opere vengono trattate come pattern visivi da applicare e replicare. E così chiunque può applicare il “filtro Tadao Ando” alla Casa Bianca. O immaginare una collezione di abbigliamento per gatti... come l’avrebbe disegnata Gio Ponti.

Immagine di apertura: @repertoriocasa

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