Kengo Kuma

"Se tocco la terra col mio piede e tocco gli alberi con la mia mano, posso percepire la realtà di un luogo. È questo il mio metodo, è questo il punto di partenza di un dialogo col luogo."
(Kengo Kuma, 2018)

Kengo Kuma

Riconosciuto come uno dei maestri di un’architettura definita contestuale, Kengo Kuma è anche uno dei più grandi rappresentanti del Giappone sulla scena architettonica, contemporanea, spesso associato al gruppo che include — pur nelle loro differenze — Tadao Ando, Toyo Ito, Sou Fujimoto.
Nato a Kanagawa nel 1954, la sua formazione e la sua pratica si radicano profondamente nel suo paese d’origine. Studia presso la facoltà  di Architettura della Graduate School of Engineering di Tokyo, dove si laurea nel 1979, per poi fondare il suo studio a Tokyo col nome di Spatial Design Studio nel 1987: dalle evoluzioni di questa realtà Kuma concepirà e seguirà in seguito progetti in tutto il mondo. In Giappone sviluppa anche la sua attività didattica, presso la Keio Univesity, attività cui ha unito molte esperienze come visiting in università prestigiose quale la Columbia GSAPP di New York.
Se le sue prime espressioni progettuali si inscrivono nel più evidente postmodernismo, come nel caso del M2 a Setagaya-ku (Giappone, 1989-91), ben presto si manifestano nella sua opera quelle caratteristiche di approccio che la contraddistingueranno nei decenni successivi fino a oggi. L’architettura di Kengo Kuma  nasce da un profondo senso del luogo, e dall’impiego di sue caratteristiche, oppure di uno specifico materiale, in una  chiave interpretativa che punta a creare per l’utente o l’abitante un’atmosfera e un’esperienza specifica; è  l’esperienza il vero oggetto della progettazione di Kengo Kuma, fatta di materiale, luce, consapevolezza di tradizione, percezione e luogo.

(Time-Space-Existence è) una definizione di cose che lentamente stanno cambiando, dall’architettura come momumento ad architettura come ambiente, da Ventesimo a Ventunesimo secolo, da industrializzazione a post industrializzazione. Non possiamo controllare il tempo, perché il tempo è in costante flusso. L’architettura dovrebbe essere parte di quel flusso (…) tutto ciò che possiamo fare è immergere le nostre costruzioni nel tempo.

Questa consapevolezza è risultato di un processo formativo che Kengo Kuma affronta durante i primi anni della sua professione, spostando dal 1990 l’attività del suo studio fuori dal contesto metropolitano, acquisendo conoscenze e pratiche dagli artigiani delle campagne e delle piccole città,  per poi tornare a rivolgersi, dagli anni 2000 a progetti e contesti più grandi in cui poter trasferire quelle conoscenze. Viene maturata la ricerca di una sostanzialità, un allontanamento da quello che Kuma definisce “metodo calcestruzzo” per avvicinarsi a quelle che definisce invece “sostanze”, di materiali come legno, pietra e anche acciaio. Assieme a strutture lignee come il palco Noh nella foresta (Miyagi, Giappone, 1996), l’esperimento dello  Stone Museum (Nasu, prefettura di Tochigi, Giappone, 1996-2000) ne è dimostrazione con la centralità assoluta conferita al materiale lapideo e alla sua origine.

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Kengo Kuma, Wisdom Tea House. Tokyo, 2012

Espandendosi negli anni successivi, questo approccio arriva a toccare ambiti e scale molto diversi della progettazione. Lo si trova applicato in edifici per grandi brand o committenti corporate, dall’impiego del legno — altrimenti proibito per ragioni sismiche — nelle lamelle per One Omotesando (Tokyo, 2001), al  trattamento di un materiale prezioso come l’onice per l’edificio LVMH ad Osaka (2002-2004),  passando per l’uso interpretativo di materiali “inorganici” come il vetro e l’acciaio inox combinati col potere spaziale dell’acqua nello Z58 a Shanghai (2004-06). Si esprime anche alla scala di edifici concepiti come unità di spazio esperienziale, rappresentati al loro massimo dalla tipologia della casa per il tè — dove vengono sperimentati i materiali più differenti, dal policarbonato per Tajimi (Giappone, 2005) ed i Museums für Angewandte Kunst (Francoforte, 2007) alle strutture modulari in legno della Wisdom Tea House (Tokyo, 2012) — o anche dagli studi di shelter di base sviluppati per Triennale di Milano (2008) .

Sintetizzando un percorso, questo principio di contestualità esperienziale si è espresso principalmente  come integrazione dell’architettura nella natura, e lo testimoniano realizzazioni lungo tutta la carriera di Kuma, dall’Osservatorio Kiro-san (Yoshiumi, Giappone, 1991-94 ) fino al recente Portland Japanese Garden Cultural Village (Oregon, USA, 2017) passando per la sua casa alla Great Wall Commune (Badaling, Cina, 2003). É un procedere che è valso a Kengo Kuma una grande quantità  di riconoscimenti negli anni (Japan Award – Architectural Institute, 1997; Spirit of Nature Wood Architecture Award, 2002; Detail Prize, 2007;  solo per citarne alcuni ), di cui molti confermano per lui un ruolo di promotore della sostenibilità nei suoi diversi aspetti. È una contestualità come mediazione con un ambiente anche urbano o ibrido, che sta alla base anche delle più grandi realizzazioni di Kuma lungo l’ultimo decennio, come il complesso urbano Sanlitun Village (Beijing, 2008-10) l’Asakusa Culture and Tourism Center (2012), o il nuovo V&A Dundee, inaugurato nel 2018, che staglia masse scultoree alla scala paesaggistica, definite da lamelle in legno contro uno scenario fatto di città, terre e acqua.

Il mio modello è il sacerdote buddista. I sacerdoti viaggiano spesso tra luoghi differenti e parlano con le persone (…) da questo comunicare con le persone del luogo si riesce a raggiungere qualcosa insieme a loro. Non voglio interrompere il mio viaggio, (…) voglio continuare a parlare colle persone per sempre.
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