Cara Domus: Architettura e antidoping

Su Domus 1021, del Febbraio 2018, Cherubino Gambardella scrive una lettera a Michele De Lucchi.

Michele De Lucchi, Cara Domus

Caro Michele,
10 anni fa l’architettura avrebbe dovuto trasformare Oriente e Occidente in luoghi scintillanti del futuro, ma è andata male. La fragilità di un costruire autoritario, costoso, incapace di accogliere favorendo l’integrazione tra esseri umani ha sconfitto persino il fascino di città e paesaggi da sempre ospitali e immaginosi. Oggi la cura è persino peggio del male: quasi sempre rispondiamo con illusorie architetture che dovrebbero risolvere conflitti etno-religiosi, questioni ecologiche, crisi economiche producendo edifici tristi, pieni di prevedibile un buon gusto convenzionale ispirato al paternalismo ansiolitico della “qualità diffusa”. Io non mi rassegno, continuo a pensare che combinare le forme comuni in modo anarchico possa riscattarci risolvendo ambiente, democrazia, accoglienza, città, oggetti e paesaggi senza retorica, senza paura dell’antidoping e restando sanamente irresponsabili come Ettore Sottsass quando dirigeva Pianeta Fresco.

Cherubino Gambardella

Cherubino Gambardella, Cara Domus
Cherubino Gambardella, Architettura antidoping

Caro Cherubino,
capisco il tuo rammarico e approvo la tua generosa reazione. Certo l’architettura contemporanea non è sempre un faro luminoso, ma l’architettura è fatta dagli uomini e dalla società che li rappresenta e della quale facciamo parte. È la società capitalista – questa società – che è fragile, e l’architettura lo riflette. L’unico giudice che distribuisce verdetti è il mercato ed è il mercato che decide cosa è giusto e cosa sbagliato. Per i ricchi e fortunati e per i poveri e sfortunati. Lo decide in base a quanti comprano ed evidentemente sono in tanti che comperano “illusorie architetture”. E il mercato siamo noi e la maggioranza dice “illusorie architetture”. Ettore era generosamente ‘irresponsabile’ perché non accettava il mercato della maggioranza, ne soffriva molto e produceva visioni e fantasie che ci facevano immaginare “pianeti freschi”, come il titolo della rivista che faceva nel 1967-1968. Come architetti possiamo far crescere questo “mercato della maggioranza” diffondendo modelli di riferimento che lo rendano più consapevole e responsabile, senza derive autoritarie che ci costerebbero molto e molto di più.

Michele

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