Betye Sarr: Uneasy Dancer

“Betye Saar: Uneasy Dancer” è la prima retrospettiva dell’artista presentata in Italia e riunisce più di novanta opere che documentano cinquant’anni del suo percorso creativo.

“Uneasy Dancer” – danzatrice incerta – è l’espressione con cui Betye Saar (Los Angeles, 1926) definisce se stessa e il suo lavoro di artista.

La sua opera si sviluppa in una spirale creativa in cui, attraverso i concetti di passaggio, incontro, morte e rinascita, l’artista affronta i temi di razza e genere. Fra gli elementi fondanti della sua pratica artistica vi sono l’interesse per il soprannaturale, la rappresentazione della memoria femminile e l’identità degli afroamericani, che nei suoi lavori assumono forme evocative e originali. Parlando della propria opera, l’artista spiega come essa “tenda a un’evoluzione più che a una rivoluzione; un’evoluzione della coscienza che porti a guardare i neri in modo diverso, non più come figure dispregiative o caricaturali ma come esseri umani”.

In apertura: Betye Sarr, The Phrenologer’s Window II, 1966, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy l'artista e Roberts & Tilton, Los Angeles, foto Robert Wedemeyer. Sopra: Betye Sarr, Mystic Window for Leo, 1966, disegno e incisione, finestra. Courtesy Scottsdale Museum of Art, Los Angeles, foto Tim Lanterman

Attingendo a oggetti, materiali e forme culturali differenti – dalle tradizioni dell’identità black all’influenza di diversi culti (fede unitaria, cattolica, musulmana, ebraica e sincretismi religiosi) – il processo artistico di Saar implica, come dichiara lei stessa, “una sorta di flusso di coscienza”. In molte opere l’artista esplora la dimensione del rito attraverso oggetti ed esperienze della vita quotidiana, presentando la sfera trascendentale nell’insolita cornice dell’esperienza ordinaria. In questa equazione tra realtà e trascendenza, Saar confonde i confini tra arte e vita, tra piano fisico e metafisico. 

Betye Sarr, Record for Hattie, 1975, oggetti vari e assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Scottsdale Museum of Art, foto Tim Lanterman

Il carattere spirituale della sua produzione non risiede solo nelle opere in cui esprime il suo interesse per una pluralità di tradizioni cultuali; risiede soprattutto nell’operazione artistica che trasforma materiali comuni in nuove rappresentazioni evocative, in suggestive narrazioni del reale capaci di coinvolgere intimamente l’osservatore.

Betye Saar, Smiles We Left Behind, 1976, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilto, foto Robert Wedemeyer

“Betye Saar: Uneasy Dancer” è la prima retrospettiva dell’artista presentata in Italia e riunisce più di novanta opere che documentano cinquant’anni del suo percorso creativo. Il progetto nasce da una riflessione su tre aspetti centrali della sua opera: il contributo significativo all’estetica degli afroamericani a partire dagli anni Sessanta – con la sua militanza nel Black Arts Movement – fino ai giorni nostri; l’uso celebrativo di emblemi del rito e della spiritualità nella creazione di nuove epistemologie; l’approccio pionieristico al pensiero del cosiddetto Femminismo Nero.

A sinistra: Betye Saar, Migration: Africa to America I, 2006, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Scottsdale Museum of Art, foto Tim Lanterman
A destra: Betye Saar Domestic Life, 2007, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Brian Forrest

Il percorso espositivo sull’opera di Saar – nella sua novantesima rivoluzione intorno al sole – si conclude con The Alpha and the Omega (2013–16), un’installazione che allude al viaggio iniziatico e all’esperienza della vita umana. Concepita appositamente per la mostra, l’opera include una serie di nuovi elementi con cui l’artista rappresenta la totalità nella sua accezione più ampia: la totalità della vita, dal principio alla fine”. Elvira Dyangani Ose

<b>A sinistra:</b> Betye Saar, <i>Globe Trotter</i>, 2007, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Brian Forrest <br><b>A destra:</b> Betye Saar Rhythm and Blues, 2010 assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Brian Forrest
<b>A sinistra:</b> Betye Saar, <i>Sock it to Em</i>,2011, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Robert Wedemeyer <br><b>A destra:</b> Betye Saar, <i>The Weight of Buddha (Contemplating Mother Wit and Street Smarts)</i>, 2014, assemblaggio, tecnica mista. The Eileen Harris Norton Collection, foto Robert Wedemeyer
<b>A sinistra:</b> Betye Saar. <i>Weight of Persistent Racism (Manufactured in the U.S.A.)</i>, 2014, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Robert Wedemeyer. <b>A destra:</b> Betye Saar, <i>The Weight of Waiting</i>, 2014. Courtesy Roberts and Tilton, foto Robert Wedemeyer
<b>A sinistra:</b> Betye Saar, <i>Red Signs of Transformation</i>, 2015, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Brian Forrest. <b>A destra:</b> Betye Saar, <i>Search for Lost Future</i>, 2015, assemblaggio, tecnica mista. Courtesy Roberts and Tilton, foto Brian Forrest


15 settembre 2016 – 8 gennaio 2017
Betye Sarr: Uneasy Dancer
a cura di Elvira Dyangani Ose 
Fondazione Prada
Largo Isarco 2, Milano