Carlos Martí Arís, Las variaciones de la identidad. Ensayo sobre el tipo en arquitectura, Fundación Arquia, Barcelona 2014
A estas alturas
Il giugno scorso a Barcellona, nell’ambito dell’edizione 2015 dei Premios FAD per l’architettura, è stato assegnato a Carlos Martí Arís un premio per la riedizione della sua tesi di dottorato del 1988, Las variaciones de la identidad. Ensayo sobre el tipo en arquitectura.
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- Fabio Licitra
- 04 settembre 2015
- Barcellona
Il testo che segue è una sintesi del prologo della riedizione del 2014.
“Di recente Carlos Martí Arís, meditando sulla crisi in cui versava l’architettura all’epoca della sua formazione, ha scritto: “en relación a aquel contexto, en que todo se mezclaba y se confundía, sigo pensando que la defensa de la autonomía disciplinar que encabezaban Aldo Rossi e Giorgio Grassi en Italia, no era una posición equivocada. Aunque ahora ya no haría de ella una bandera, entre otras cosas porque, a estas alturas, ya sólo me merecen respeto las banderas que ondean a media asta”. (In relazione a quel contesto, nel quale tutto si mescolava e confondeva, continuo a pensare che la difesa dell’autonomia disciplinare guidata da Aldo Rossi e Giorgio Grassi in Italia, non era una posizione sbagliata. Sebbene adesso non farei di essa una bandiera, tra le altre cose perché, a questo punto, riconosco come meritorie solo le bandiere che sventolano a mezz'asta.)
Il fronte comune che a cavallo degli anni ’70 si riconobbe in quella bandiera – in cui militò lo stesso Martí dalle pagine della rivista 2C – non fu altro che la reazione alla confusione relativista di quegli anni, confusione che sdoganava ogni forma di sperimentalismo pluridisciplinare e alla quale ci si poteva opporre solo rivendicando con forza l’autonomia disciplinare dell’architettura. Solo, cioè, ponendo al centro della questione ciò che fa dell’architettura un fatto sostanzialmente unitario: il concetto di tipo.
Per contro, non passa inosservata la puntualizzazione di Martí. Cosa intende dire con “estas alturas”, e cosa quando precisa che – da tale postazione prominente – riconosce come meritorie solo “las banderas que ondean a media asta”? In questa scarna asserzione pare risuoni tutta la complessità del pensiero di Martí, dalle certezze monolitiche degli esordi alle composite della maturità. Asserzione che, inevitabilmente, ci conduce al cuore della sua ricerca: il saggio Le variazioni dell'dentità. Il tipo in architettura.
A venticinque anni dalla prima edizione (Milano 1990), questa lezione sul tipo – a metà tra la forma del manuale e quella del trattato – garantisce ancor oggi una vivida promessa d’architettura, in equilibrio tra la dimensione empirica del progetto e la sua trasposizione ideale. Tuttavia, in quest’epoca sempre più sfuggente, figlia di quel relativismo che intanto è deflagrato in caos, Martí prende coscienza che la nozione di tipo – e la relativa autonomia disciplinare – sebbene basilare, non è da sola più sufficiente a decifrare la complessità del mondo dell’architettura. Per il nostro autore è d’obbligo dunque, all’alba del terzo millennio, in piena maturità intellettuale – “a estas alturas” – una strategia più articolata che presupponga più che la perentorietà della logica, la logica della confluenza. Più che l’autoreferenzialità di una bandiera che sventola in vetta isolata, la discrezione di una bandiera che sventoli sì autonoma però a mezz’asta, conciliante e includente. Nella consapevolezza che l’essenza delle cose non si consegue per negazione della complessità, bensì per distillazione di essa.
Silenzi eloquenti (Barcellona 1999), “l’altro libro” di Martí, esprime proprio questa presa di coscienza. Sebbene appaia assai diverso dal libro sul tipo, in realtà ne diventa l’atto risolutivo poiché, sancendo il passaggio dall’ortodossia del tipo architettonico all’eterodossia del linguaggio artistico, svela il carattere essenzialmente umano che in verità alimenta la fluida macchina tipologica de Le variazioni dell'identità.
Se il primo Martí, attraverso la nozione di tipo, radiografa lo “scheletro” dell’architettura per dedurne il funzionamento interno, il secondo Martí attraverso la poetica del silenzio ne fotografa il “volto” per rivelarne il respiro. Una foto nient’affatto epidermica, esplorativa, volta a mettere in rilievo anche le più intime rughe dell’architettura. Non la ruga come fatto singolare e contingente, ma come solco della tradizione, che a volte cela una cicatrice o peggio un’incrinatura d’osso. È d’obbligo allora tornare alla radiografia – al tipo – perché quella frattura vada compresa sino in fondo, e all’occorrenza ricomposta. Giacché nessuno slancio espressivo potrà prescindere dalla struttura oggettiva della disciplina.
In un mondo come l’attuale, segnato da un fare artistico votato al personalismo e al bizzarro, la conoscenza tipologica funge più che mai da filtro degli eccessi soggettivi dell’espressività, nonché da antidoto contro l’informe. Ma attenzione, la lezione di Carlos Martí Arís insegna che questa invocazione al tipo non è altro che una rivendicazione del linguaggio, poiché solo chi sa come nasce un sorriso può infonderlo nella pianta di una casa. Il tipo infatti, non si oppone al linguaggio del quale è fedele alleato, ma al capriccio, che è il suo acerrimo nemico”. Fabio Licitra