Attraverso un’ampia e approfondita selezione di
project prints fatta presso il Fondo di Luigi
Ghirri, la mostra “Luigi Ghirri – Project Prints” alla
Galleria Massimo Minini – a cura di Elena Re, dal
9 ottobre al 20 novembre – offre uno sguardo sulle
principali serie, ovvero sui principali progetti di
ricerca fotografica sviluppati dall’artista lungo gli
anni Ottanta fino al 1992, anno della sua prematura
scomparsa.
Per parlare dei project prints di Luigi Ghirri
bisogna innanzitutto dire che, fin dai primi anni
Settanta, Ghirri aveva maturato alcune
fondamentali riflessioni intorno al ruolo della
fotografia nell’ambito dell’arte contemporanea. In
generale, l’interesse si stava spostando dall’abilità
necessaria all’artista per creare manualmente
l’opera verso la coincidenza tra l’opera e la realtà
registrata dalla macchina fotografica, in un
processo che recuperava il ready-made di
Marcel Duchamp e la scrittura automatica dei
Surrealisti. Cosicché, forte di un simile confronto,
Ghirri stesso era arrivato a concentrarsi
essenzialmente sui contenuti del proprio lavoro,
sviluppandone la parte progettuale e ponendo al
centro della sua ricerca “il guardare”, ossia la
capacità sia razionale che emotiva di decifrare i
dati raccolti attraverso la percezione,
trasformandoli in pensiero visivo. Proprio in questo
periodo, Ghirri inizia quindi a lavorare in modo
sistematico su più progetti e a strutturare le sue
prime serie, realizzando spesso delle maquette che
permettevano di visualizzare l’opera e ragionare su
di essa.
Approfondendo la sua ricerca espressiva sul tema
del paesaggio, a partire dai primi anni Ottanta
Ghirri inizia man mano ad abbandonare la
macchina fotografica di piccolo formato e a
produrre così negativi di formato più grande, non
certo per amore della tecnica ma quasi per
‘entrare’ con maggiore intensità nel soggetto
analizzato. La centralità del pensiero e il senso del
progetto continuano dunque ad essere anche in
questi anni i presupposti irrinunciabili del suo
lavoro. A tal punto che questi stessi negativi si
rivelano in realtà come un ulteriore strumento
progettuale a sua disposizione.
Da tali matrici
si possono infatti realizzare delle ottime stampe a
contatto come pure dei provini in banda, ossia delle
piccole fotografie che Ghirri può a questo punto
ritagliare, archiviare, mettere in fila, per vedere
ogni immagine, per progettare le serie, per
organizzare il proprio sguardo, lasciandole anche
sciolte per poterle di nuovo aggregare in infinite
combinazioni.
Assieme alla seconda mostra di
Ghirri, vengono presentate le fotografie di Mario
Dondero e Franco Piavol, nella project room.
Questa mostra nasce da un progetto (United Artists
of Italy) realizzato un paio di anni fa e al quale
Massimo Minini tiene molto. Ecco come racconta le
motivazioni di questa scelta.
“Perché due fotografi? Perché Piavoli e Dondero
sono grandi amici. Ne hanno fatte di belle assieme.
Piavoli è nato a Pozzolengo, dove è nato Ugo
Mulas. Da giovanotti Mulas faceva il pittore e
Piavoli il fotografo. In effetti le foto che
presentiamo in mostra di Piavoli sono del 1951,
1952, 1953. Dopo di che Piavoli ha smesso di
fotografare ed è diventato uno
dei registi italiani più amati, anche se da un
pubblico particolare, girando film di grande poesia
sulla natura, oggetto d'altronde delle sue attenzioni
di giovane fotografo.
Si sa come vanno certe cose. Mulas emigra a
Milano, da pittore e lavora per guadagnare
qualcosa. Licenziato improvvisamente, un poco
sconsolato, seduto su una panchina del parco a
pensare, chi ti incontra? Ma Mario Dondero! Che da
speciale attaccabottoni qual era e qual è tutt'ora,
bottone lo attacca e lo convince a smetterla con i
pennelli ed a diventare fotografo. Racconta la
leggenda (poi ripresa da Luciano Bianciardi nel film
La vita agra) che Dondero mise in mano a
Mulas la macchina fotografica sua. Per un po' ne
ebbero una in due e non si capisce sempre bene di
chi siano certi scatti iniziali. Poi Mulas diventa un
mio della fotografia, riprende gli artisti al
Giamaica, da qui a Venezia in Biennale, da qui in
America con Leo Castelli....
Dondero invece va in Francia, dove abiterà per
anni, mettendo su casa e famiglia. Uno verso il
nuovo mondo, l'altro affascinato dal mito della
vecchia capitale di fascino. Dondero fotograferà
guerre e paci, artisti e scrittori, giornalista di
cronaca e poi fotogiornalista, documenterà la
nascita del Nouveau Roman con Beckett, Robbe,
Grillet e tutti gli altri. Piavoli invece se ne sta al
paese (sempre Pozzolengo) dove tutt'ora vive e
lavora, osservando, ascoltando l'erba crescere, gli
alberi fiorire, con uno stupore incantato che già si
vede nelle sue foto dei primi anni Cinquanta.
Una mostra con molti incroci, dunque, anche con
Luigi Ghirri, nato dopo, fotografo a colori mentre gli
altri due sono ben saldi sul bianco/nero. Fotografo
di nuova generazione diversa sensibilità, un Ghirri
che viene dopo il Neorealismo che ancora aleggia
tratti nelle immagini dei due.
Poeta della pianura, delle viste a i care, ma anche
un fotografo di ricerca nei primi anni settanta,
quando appunto, Mulas muore, Piavoli gira ‘Pianeta
Azzurro’ e Dondero insegue su treni e pullman i
propri fantasmi, più che gli altrui”.
Nelle
immagini, dall'alto: Luigi Ghirri, Brescello,
1989 – serie "Il profilo delle nuvole" – project print
– cm 8.8 x 10.8 (copyright © Eredi di Luigi Ghirri
Courtesy Galleria Massimo Minini); Luigi Ghirri,
Correggio, Villa Pirondini, 1990 – serie "I
luoghi della musica" – project print – cm 8 x 10
(Copyright © Eredi di Luigi Ghirri; Courtesy Galleria
Massimo Minini); Mario Dondero,
Alberto Giacometti, XXXI Biennale Venezia,
19,5x30 cm, Franco Fortini a Siena, 18x24
cm; Franco Piavoli: Ugo Mulas,
Campagna italiana.
Luigi Ghirri, Mario Dondero e Franco Piavoli da Massimo Minini
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- Loredana Mascheroni
- 11 settembre 2010