A casa di Mimmo Paladino per esplorare tutti i linguaggi artistici possibili

Nell’appartamento dove Mimmo Paladino abita da più di 40 anni quando è a Milano, le opere d’arte si alternano alle fotografie d’autore (dell’amico Ferdinando Scianna) che dialogano con i mobili disegnati da lui stesso.

Paladino nella sua casa. Foto Valentina Sommariva

“Nel 1964 mio zio mi portò alla Biennale di Venezia a vedere la Pop Art e, quando tornai qui, avevo sempre negli occhi quelle immagini. Penso che il mio lavoro sia segnato da quel primo contatto con tutta una generazione americana più che europea, in particolare Rauschenberg e Jasper Johns. Mi impressionò moltissimo l’idea che si potesse fare dell’arte non solo con i pennelli, ma anche con gli oggetti più disparati o con dei rottami, come faceva Chamberlain. Non riuscivo allora a intuire le finezze di un Jasper Johns, però fui completamente affascinato da quell’arte scenica. Incominciai a ritagliare, a incollare, a sperimentare… Ero avido di tutto, volevo provare tutto!”. Cinquant’anni dopo, Mimmo Paladino ha mantenuto intatta questa voglia di contaminazione, di esplorazione di tutti i linguaggi artistici possibili: pittura, scultura, cinema, fotografia, teatro, scenografia.

...è Andrej Tarkovskij quello che mi ha segnato di più. ‘Dipingere lo schermo’, credo fosse una sua espressione. Un cinema evocativo, da pittore.

Nella sua casa ultraquarantennale a Milano mi fa sedere nel suo studio, mi porge l’immancabile American Spirit arancione e mi fa leggere la sceneggiatura del suo prossimo film, Inferno (tratto da un testo teatrale di Edoardo Sanguineti), in cui i personaggi danteschi come Ugolino si alternano a mostri sacri come Pitagora e Glenn Gould. Inferno arriva 15 anni dopo il suo esordio con Quijote (tra gli interpreti Peppe Servillo e Lucio Dalla), a cui hanno fatto seguito Labyrinthus sulla vita di Gesualdo da Venosa (con Alessandro Haber) e il trittico Ho perso il cunto. “Amo molto il cinema di Fellini, in cui una storia si costruisce facendola. Ma è Andrej Tarkovskij quello che mi ha segnato di più. ‘Dipingere lo schermo’, credo fosse una sua espressione. Un cinema evocativo, da pittore”.

Solo adesso capisco la scultura-omaggio all’ingresso: una croce ortodossa costruita con le iniziali (A e T) del regista russo, sotto a un multiplo di Pistoletto. Sempre all’entrata, un visitatore curioso coglie subito una fotografia di Ferdinando Scianna che ritrae Jorge Luis Borges: “Con Joyce è l’autore che più ammiro: il primo per l’enigma filosofico, il secondo per come stravolge il linguaggio. Sono sempre stato un sostenitore delle avanguardie”. Fin dagli anni Settanta, Mimmo Paladino ha flirtato con il mondo della fotografia: “Attorno al 1974 già frequentavo più Milano che Roma e la galleria di riferimento era all’epoca Diagramma di Luciano Inga Pin, grande personaggio dimenticato, da cui passavano tutti i migliori lavori di fotografia”. Oltre a Josef Koudelka, Ugo Mulas e Mario Giacomelli, Paladino confessa un debole per l’amico Scianna con cui condivide un prezioso ricordo: “Ferdinando un giorno mi mostra una sua foto degli anni Sessanta in cui immortala durante una processione siciliana un uomo che si toglie la camicia. Mi fa notare, su imbeccata di Gesualdo Bufalino, che un personaggio di Piero della Francesca durante il Battesimo di Cristo compie lo stesso gesto in un contesto di apparente immobilità. È una coincidenza figurativa. L’enigmatico ripetersi di un quindicesimo di secondo che viene colto a distanza di secoli da due artisti agli antipodi”.

Prima di arrivare nel salotto, dove colpiscono una serigrafia di Roy Lichtenstein, il Lenin di Warhol e un Cy Twombly ricevuto da Lucio Amelio, bisogna attraversare uno stretto corridoio popolato da vecchi amici di Mimmo: un biglietto del 1982 di Alighiero Boetti, un Enrico Castellani e un Piero Gilardi scambiati, una piccola opera di Louise Bourgeois. La sala da pranzo testimonia il suo dialogo con il mondo del design: un mobile da lui concepito per Cleto Munari, un armadio ideato per la collezione Meta Memphis e vari oggetti di Sottsass (“Ettore è stato uno dei miei primi sostenitori fin dalle prime mostre a Milano da Toselli in via de Castillia”). È arrivato il momento del mio voyeurismo bibliofolle, subito accontentato da Mimmo. “Ecco l’edizione tedesca di Tristi Tropici con la dedica tremolante che mi fece, ormai centenario, Claude Lévi-Strauss. È un libro al quale ho sempre fatto riferimento, privo di narrazione in senso tradizionale, su cui ho fatto 40 disegni liberi. Suggestioni verso un mondo antico, primitivo, grafico, di simbologie universali”.

Tira fuori un libro di fotografie di Lou Reed e il nuovo messale concepito con Pier Luigi Cerri: “Sto aspettando la dedica del Papa”. Individuo un libricino pubblicato da Emilio Mazzoli: “Si chiama En De Re. Introvabile. Questo non te lo posso dare, ma se hai pazienza ti faccio avere il catalogo della mostra che facemmo con Brian Eno nei sotterranei della Roundhouse di Londra con i miei dormienti che ricordano quelli di Henry Moore durante i bombardamenti”. Uscendo, Mimmo mi consiglia di prendere l’ascensore: “Quando arrivammo qui nel 1976 non c’era. Ogni volta una scarpinata tremenda fino al quinto piano. Ricordo ancora che preparavo un lavoro in carta e gesso per Marian Goodman che cadde nella tromba delle scale frantumandosi interamente. Oggi per fortuna siamo più attrezzati”.

Immagine di apertura:
Mimmo Paladino nella sua casa a Milano. Foto Valentina Sommariva

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