Venerdì scorso i fratelli Gallagher, Liam e Noel, meglio noti come Oasis, hanno interrotto un’assenza durata sedici anni, riconciliandosi e tornando a calcare le scene al Principality Stadium di Cardiff. Il concerto è stato il primo di diciassette appuntamenti di un tour di reunion, ognuno dei quali porterà sei milioni di sterline (tre a testa) in tasca ai due fratelli. Il cachet, è stato specificato, verrà versato sui rispettivi conti solo a live avvenuti, un incentivo a non mandare tutto all’aria con l’ennesima zuffa della loro vita. Come quella che nel 2009 costò lo scioglimento della band prima di un live a Parigi. Il casus belli, si dice, fu una prugna scagliata in camerino da Liam al fratello Noel. Chissà se, più che l’onta, fu il succo del frutto, notoriamente difficile da smacchiare, a innescare la baruffa.
Con la reunion degli Oasis torna una giacca famosissima di cui non sai il nome
Dall’endorsement spontaneo del brand italiano Ten c alle trovate marketing di Lidl, la reunion degli Oasis racconta il legame indissolubile tra la band di Manchester e l’anorak, una storia sociale e di design.

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- Lorenzo Ottone
- 11 luglio 2025
La storia degli Oasis dopotutto è fatta, sì, di canzoni, ma anche di vestiti. La loro è stata un’immagine coordinata che tra il 1994 – anno dell’esordio discografico con Definitely Maybe – e la fine del decennio ha saputo farsi tutt'uno con il Britpop e quella stagione passata alla storia come Cool Britannia. Un periodo di eccitamento febbrile per il Regno Unito, una nuova Swinging London in cui musica e look altrimenti sottoculturali tornarono a coincidere con la cultura di massa, ed in cui anche chi aveva la frangetta corta poteva di portarsi a letto una modella. Addirittura, Tony Blair, il primo ministro laburista più liberista della storia britannica, ne uscì come un ganzo.

Vestirsi per resistere
Cardine dell’immagine, totalizzante, degli Oasis sono state le giacche a vento. Anorak, un tipo di giacca impermeabile con cappuccio, e parka, una giacca più lunga e pesante, che hanno continuato a vivere anche dopo la stagione d’oro del Britpop e lo scioglimento della band, contribuendo a consolidare e stilizzare nell’immaginario popolare la caricatura dei Gallagher e del loro pubblico, il cui fandom spesso sfocia nel cosplay.
“Gli Oasis sono emersi in un momento in cui la mascolinità operaia del Nord veniva ancora messa ai margini nella rappresentazione mainstream. Gli Oasis hanno riportato quell’identità al centro dell’attenzione, utilizzando sia l’aspetto performativo che l’abbigliamento. "Ciò che indossavano contribuiva ad opporsi alla marginalizzazione. I capi su cui facevano affidamento — parka, trainer, sportswear di marca — costituivano una vera e propria uniforme, deliberatamente radicata nella classe sociale e in forme di resistenza autoctona. Per i fan, adottare gli stessi indumenti è diventato un modo per rivendicare un’affinità non solo con la band, ma con i valori e la visione del mondo che incarna”, spiega Andrew Groves, direttore del Menswear Archive della University of Westminster.
Come evidenzia Groves, anche la camminata ciondolante di Liam Gallagher ha radici profonde nella cultura del Nord: “Si rifà ad archetipi performativi maschili tipici del nord dell’Inghilterra, in particolare alle cosiddette Monkey Walks o Parades. Si trattava di forme ritualizzate di esibizione per le strade, legate al corteggiamento, alla visibilità e allo status locale. La versione di Gallagher ha aggiornato quella storia e l’ha proiettata su una scala globale. Il suo stile ha resto continuative un insieme di pratiche sociali storiche, esprimendole attraverso il movimento, la postura e l’abbigliamento.”
Con la febbre della reunion alle stelle, non sono potuti mancare decine di articoli dei tabloid sui sosia più improbabili: dal sosia di Liam, barista italo-brasiliano di Bristol, diventato star di TikTok a quello che, compiaciuto, racconta di venire fermato fino cento volte al giorno per un selfie.
Una pagina Instagram da quarantuno mila follower, @lgwears, si adopera certosinamente a mappare tutti i look del cantante degli Oasis. Un meccanismo di fandom solitamente proprio dei fenomeni musicali adolescenziali e pre-adolescenziali, e oggi lontanissimo dalla guitar music bianca. Eppure, definisce una componente fondamentale del pubblico degli Oasis, punto d’incontro tra l’elitismo Mod e l’ossessione casual per capi sportivi di lusso. Dopotutto, i giovani hypebeast non hanno inventato nulla e, con la reunion degli Oasis, i loro padri 50enni si stanno riprendendo la scena tra reissue di modelli di giacche e sneaker rese celebri dai Gallagher e nuove uscite.
Il re è vestito
All’indomani del concerto di Cardiff a far rumoreggiare i fan non è stata la scaletta o la sorprendente tenuta della pax gallagheriana, ma la giacca indossata da Liam. Lo Skye Ten Anorak della collaborazione tra i newyorchesi Awake NY e Ten c, in nyloncrinkle abbinato al tessuto OJJ, marchio di fabbrica del brand. Ten c, cento per cento italiano, nasce nel 2010 su iniziativa del bolognese Alessandro Pungetti e l’inglese Paul Harvey, già coppia rodata in seno a C.P. Company, dove furono responsabili, tra le altre cose, dell’intuizione di rilanciare la storica Goggle lens sui capi.
Il nome, in apparenza criptico, sta per The Emperor's New Clothing, o come diremmo in Italia: il re è nudo, un richiamo alla volontà di presentare capi funzionali ma essenziali, privi di loghi e orpelli. Al cuore di Ten c c'è la ricerca sui tessuti, in linea con quella iniziata da Massimo Osti, e ora elevata ad esiti sorprendenti. Tra questi, l’OJJ (Original Japanese Jersey), “un jersey interlock in poliestere-nylon derivato da trattamenti sviluppati da noi. Tingiamo i tessuti e, per rendere il materiale ancora più pregiato, tingiamo anche il capo finito. Questo trattamento rende il materiale complessivo più compatto,” spiega Pungetti – una giovinezza passata tra le mura del Kinki club e i primi esperimenti sartoriali, nella Bologna alternativa e sintetica di Francesca Alinovi e Pier Vittorio Tondelli, di cui lo stilista era stretto amico.
Gli Oasis sono emersi in un momento in cui la mascolinità operaia del Nord veniva ancora messa ai margini nella rappresentazione mainstream e ciò che indossavano contribuiva ad opporsi alla marginalizzazione.
Andrew Groves
Pungetti (ora solo alla direzione creativa dopo il congedo di Harvey – “fa il wedding planner di sua figlia”, scherza il bolognese), come un alchimista sartoriale, sviluppa capi con cuciture ad ultrasuoni e in titanio tinto, che attraverso la tecnica del tinto capo può essere restituito con effetto oro, rame e piombo. Sono capispalla apparentemente semplici ma progettualmente complessi. Soprattutto sono leggeri, e questo non è da sottovalutare per Liam Gallagher, che anche nei climi più torridi, ha abituato il pubblico a cantare in giacca a vento. A costo di pezzarle tutte.
“È stata davvero una bellissima sorpresa. Il fatto che non abbiamo sponsorizzato questo endorsement mi ha reso consapevole quanto il vero stile non abbia prezzo,” commenta Enzo Fusco, presidente di Ten c.
“Chi non è stato colto di sorpresa dalla scelta è Groves. “Ten c appartiene allo stesso panorama dell’abbigliamento maschile tecnico italiano di cui fa parte anche Stone Island, ma opera a un volume più basso. Si concentra sull’integrità dei materiali e sulla cura della manifattura, piuttosto che sulla forza simbolica del branding. Mentre Stone Island è diventato ampiamente riconoscibile e fortemente connotato, Ten c resta più di nicchia, con un valore che risiede nella conoscenza del prodotto più che nella sua visibilità. “C’è anche un cambiamento più ampio legato all’età e all’autenticità. Man mano che Liam Gallagher e il suo pubblico invecchiano, emerge una chiara preferenza per capi che conservano un valore culturale ma risultano più pensati, più misurati.”
Il parka come identità
Dei due Gallagher, Liam è senza dubbio quello che a questa reunion sembra essere arrivato nella forma migliore, nel fisico e nella visibilità mediatica. Complice, di questa seconda giovinezza, è anche la pubblicità Stone Island 2024/25 che lo ha visto protagonista nell'ambito di Community as a form of research, campagna dove i modelli sono volti della comunità del brand ed ad ognuno dei quali sono state poste 100 domande.
Il settantacinquesimo quesito chiede al cantante se preferisca il classico o il moderno. “Tutte queste novità non fanno per me. Tutto deriva dai classici,” risponde Liam. Le parole sottolineano come anche dietro agli anorak più cutting edge nel design del suo guardaroba ci sia il ciclico ritorno al parka dell’esercito americano. Un esempio? Quello Kangol diventato celebre quando indossato dal frontman degli Oasis nel tour 1997-98.
“Il parka è un paradigma culturale nell’abbigliamento maschile britannico, in particolare nei contesti della classe operaia. Il suo utilizzo reiterato – dai surplus militari del dopoguerra all’uniforme Mod, dall’abbigliamento da stadio allo stile Britpop – riflette il modo in cui i capi possono accumulare e incarnare molteplici significati nel tempo. L’uso che Liam Gallagher ha fatto del parka non è mai stato semplicemente una questione di stile: ha attinto da questa eredità preesistente e l’ha ricontestualizzata nel contesto culturale degli anni Novanta, come forma di identità regionale, mascolinità e resistenza al sistema della moda londinese,” spiega Groves.
L’amore di Liam nei confronti del brand non è certo una novità. Nel 2017 il cantante aveva denunciato su X (all’epoca Twitter), dove pontifica come un oracolo da pub, il furto di diverse giacche Stone Island dalla sua stanza d’albergo durante il festival di Glastonbury. Chissà, forse è il contrappasso per non aver alloggiato in tenda. Con lo scatto della campagna, Stone Island ci ha fatto anche un murale sulla facciata di un fish and chips in New Ashton Road, strada nel cuore della Manchester sponda City, a pochi passi dall’Ethiad Stadium.
Il parka è un paradigma culturale nell’abbigliamento maschile britannico, in particolare nei contesti della classe operaia. L’uso che Liam Gallagher ne ha fatto non è mai stato semplicemente una questione di stile.
Andrew Groves
La parodia come critica
Lidl – già balzata all'onore delle cronache per l'operazione sneakers del 2020 – non ha perso occasione per cavalcare il fenomeno reunion lanciando la giacca Lidl by Lidl (un gioco di parole sul brano "Little by Little" degli Oasis che già circolava in rete). A cavallo tra la boutade e l’operazione di marketing, l’annuncio è arrivato con una pubblicità che cita in tutto per tutto quella Stone Island, con tanto di murales sullo stesso muro mancuniano.
La giacca Lidl, con zip apribottiglia e tasche refrigeranti, sfrutta i propri colori aziendali, il blu, giallo e rosso, per citare nel design l'anorak Berghaus Trango del 1994. Il modello è uno tra i più celebri del brand di abbigliamento da montagna, proprio perché indossato dagli Oasis all’apice del loro successo. Per la gioia dei fan (e del marketing) anch’esso è stato riproposto a quasi trent'anni di distanza. Il volto della campagna pubblicitaria? Neanche a dirlo, Liam Gallagher – il cui net worth, si dice, valga circa un decimo di quello del fratello (4.3 contro 53 milioni di sterline, prima del tour reunion) che può contare sul ruolo di compositore e, in alcuni casi produttore, dei pezzi più celebri della band.
Secondo Groves la mossa di Lidl è tutt’altro che liquidabile come semplice parodia. “Mette in luce le dinamiche che già definiscono il sistema moda. I loro capi funzionano al tempo stesso come prodotto e come critica, dimostrando che nella moda il valore si genera attraverso la percezione di scarsità, la visibilità e la capacità di innescare un dibattito, più che attraverso il taglio o la qualità dei materiali.”
A proposito di Manchester, un’altra delle cento domande di Stone Island chiede a Gallagher “what’s your favourite city?”. “Manchester City, and Manchester the city,” risponde il nostro. Sono infatti il calcio e, ancora una volta, il caso ad aver trasformato un altro capo in un cult. Si tratta del drill top – anorak senza abbottonatura – con i colori del Manchester City che, leggenda vuole, Liam trovò negli spogliatoi di Maine Road, storico stadio dei Citizen, prima dello storico live dell’aprile 1996. Anch’esso – manco a dirlo – è stato recentemente riproposto dal marchio di sportswear inglese.
Un destino simile è toccato anche alle scarpe scelte da Liam per le due date di Cardiff: le Clarks Originals Desert Rain in suede, nella tonalità Dark Cola. Anche in questo caso, la scelta non è stata dettata da alcuna forma di sponsorizzazione, ma da un più profondo legame culturale e identitario tra il cantante e il marchio del Somerset, in cui però c’è un po’ di Italia. Matteo Bellentani, Head of Product & Design di Clarks Originals ci spiega: “Liam ha indossato un modello originariamente introdotto nel 2004, e che ha sempre amato per via del suo design idiosincratico. Lo abbiamo rilanciato quest’anno nella versione Jumbo Corduroy proprio in collaborazione con lui, che è subito andata sold out. La cosa incredibile è che non avevamo pianificato niente a tavolino, è stata una decisione naturale, il che rende il tutto ancora più bello.”
Insomma, decisioni impulsive, che hanno sempre distinto l'immagine degli Oasis, trasformando capi apparentemente semplici in icone. I rispettivi brand ringraziano.