Grand Hornu. Una mostra di design per sfatare il dogma della crescita

Considerando come il dogma della crescita conduca a un vicolo cieco, la mostra “The Limits to Growth!” al CID, propone progetti di design alternativi.

“The Limits to Growth!” È il risultato di un’analisi di tre anni sulle tendenze del design nel campo della sostenibilità, portata avanti dalla curatrice Marie Pok – direttrice del CID – Centro d’Innovazione e Design di Grand Hornu. Citando nel titolo il professore del MIT Dennis Meadows, che nel 1972 aveva lanciato l’allarme per la prima volta, la mostra tocca un tema che le ricerche di tutto il mondo portano avanti fin dal 1960: il rischio di un consumo eccessivo dovuto a una corsa eccessiva verso la crescita.

Img.1 Biceps cultivatus, Kitchen low tech on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018
Img.1 Lenka Vackova, Fast or last on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018. Photo Karolina Ketmanova
Img.1 Christien Meindertsma and Enkev, Flax Chair on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018
Img.1 Floris Hovers, Flessenboot on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018
Img.1 Thomas Bilas, How to make it without IKEA, on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018
Img.1 Clea di Fabio, No more money, on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018
Img.1 Audrey Bigot, Rafraichissant, on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018
Img.1 Studio GGSV, Trou Noir, Matière Dernière, on show at “The Limits to Growth!”, Grand Hornu, 2018

Divisa in sei capitoli, “The Limits to Growth!” presenta le opere di oltre 30 giovani designer appartenenti a una generazione i cui valori stanno cambiando, non più legati alla produzione di beni di consumo di massa. “Le giovani generazioni non sono più ossessionate dal possedere una casa o un’auto”, spiega Pok. “Piuttosto, si stanno concentrando sull’avere più tempo libero, migliori condizioni di lavoro senza dimenticare le questioni ambientali e sociali del nostro tempo.” Possiamo usare il design per limitare o ridurre gli sprechi? Quali progetti ci invitano a ridurre il consumo di materie prime e combustibili fossili? Esiste un design senza scopo di lucro? Le sei linee di riflessione su cui è sviluppata la mostra cercano di rispondere a queste domande e propongono scenari alternativi per un design più sostenibile e maggiore sensibilizzazione.

Semplicità deliberata e low-tech. Citando Paul Ariès e il suo “socialismo gourmand”, la decrescita non è sinonimo di austerità e privazione, ma di innovazione e piacere. Tra gli esempi in mostra i mobili degli Shaker e le proposte sperimentali di Studio Simple, dove il lavoro artigianale viene rivisitato in oggetti di uso quotidiano. In reazione all’egemonia dell’alta tecnologia, i designer stanno inventando macchine improbabili ma perfettamente funzionanti interamente indipendenti dai combustibili fossili. Due esempi sono la cucina low-tech di Audrey Bigot e la sedia a dondolo che tesse a maglia, disegnata dagli studenti dell’ECAL Damien Ludi e Colin Peillex: con l’energia del dondolo si possono confezionare capi di abbigliamento.

ECAL/Damien Ludi, Colin Peillex, Rocking-Knit Low-Tech Factory, on show at Grand Hornu, 2018

Riciclo e Reti di distribuzione locale. Uno spazzolino da denti rappresenta 1,5 kg di rifiuti invisibili, un telefono cellulare 75 kg e un anello d’oro 2 tonnellate. I dati sui rifiuti e il riciclaggio raramente prendono in considerazione i circa 3.500 kg di rifiuti indiretti industriali pro-capite derivanti dalla produzione dei nostri beni di consumo. Il progetto Matière noire di Studio GGSV ci rende consapevoli dell’energia necessaria per trasformare i materiali riciclati, mentre il collettivo Rotor confeziona e rivende i rifiuti dei cantieri. La quarta sezione evidenzia i numerosi vantaggi alla produzione locale e sottolinea la difficoltà di un approccio coerente, tenendo conto che il ciclo può funzionare solo se anche il consumo avviene in loco.

Obsolescenza pianificata e Nuovi modelli economici. Considerando che la non-sostenibilità della maggior parte dei prodotti fa parte di una strategia industriale deliberata che ne accorcia la durata, i progettisti stanno cercando di migliorare la reperibilità dei componenti sostitutivi attraverso piattaforme open source. Designer come Thomas Billas, Antoine Monnet e Weilung Tseng hanno analizzato questo fenomeno. L’ultimo capitolo accoglie le recenti richieste della società che guarda a modelli economici alternativi forti: anche i designer stanno cambiando le pratiche del design per sostenere un’economia di condivisione e Fablabs. Un primo esempio di questo atteggiamento si trova nella Proposta per autoprogettazione di Enzo Mari, che nel 1974 propose alla Galleria Milano di distribuire gratuitamente i disegni esecutivi di alcuni dei suoi mobili.

  • The Limits to Growth!
  • Marie Pok
  • CID – Grand Hornu
  • 1 luglio – 21 ottobre 2018
  • Rue Sainte-Louise 82, Boussu, Belgio