Transparency: in un libro 60 progetti in plexiglas di Andrea Branzi

Francesca Balena Arista parla del suo ultimo libro dedicato all’opera di Andrea Branzi, ma anche del suo lavoro e delle sue passioni: dai Radical a Poltronova.

L’ultimo libro sul lavoro di Andrea Branzi, realizzato in collaborazione con la galleria milanese Giovanni Scacchi per Fortino Editions, e a cura della brava Francesca Arista Balena, è un’edizione limitata di 500 copie, in italiano e inglese. Insegnante e curatrice lei stessa, Balena Arista si occupa da tempo del progetto in diverse forme. L’abbiamo incontrata e le abbiamo chiesto del suo lavoro.

Come è nato questo libro? Parlami della sua gestazione.                  L’idea è nata diversi anni fa. Poi nel 2016, quando ci siamo resi conto che le opere realizzate da Andrea Branzi con Giovanni Scacchi erano circa 60 – testimonianza di un rapporto estremamente fecondo – il libro è diventato una vera e propria necessità. Non solo come documentazione di questa collaborazione, ma perché un libro così sul plexiglas non c’era. Solo Shiro Kuramata ha sperimentato tanto con questo materiale. Infatti, è a questo straordinario designer che Andrea Branzi ha voluto dedicare Transparency. Nelle opere presentate sono espressi i temi principali della poetica di Branzi: l’infinito, gli spazi interni/esterni, la giustapposizione tra elementi naturali e artificiali. Il plexiglas è un materiale difficilissimo da fotografare, ma Tom Vack, che utilizza la luce in maniera straordinaria, ha saputo interpretare ed esaltare questo lavoro.

Quando e dove hai conosciuto Branzi?                                                         Dopo aver studiato a lungo le sue opere, l’ho conosciuto una sera a cena a Lione. Era il 2001. C’erano anche Franco Raggi e Lapo Binazzi, e poi Adolfo Natalini e Giampiero Frassinelli del Superstudio. L’occasione era l’inaugurazione dell’esposizione itinerante “Architecture Radicale” curata da Jean-Louis Maubant e Frédéric Migayrou a Villeurbanne. Studiavo il Radical per dare un contesto storico alla mia tesi di laurea su Poltronova e non mi feci scappare l’occasione per vedere riunite opere provenienti da importanti archivi internazionali. La Francia è stata la prima nazione a interessarsi al Radical italiano, quando in Italia ancora nessuno se ne occupava, grazie a Frédéric Migayrou, allora direttore del FRAC Centre di Orléans. Durante la cena, è stato Gianni Pettena a presentarci. Branzi aveva ricevuto l’incarico di occuparsi della sezione design per la mostra “Continuità: Arte in Toscana 1945-2000”, che coinvolgeva le sedi espositive di Palazzo Strozzi a Firenze, Palazzo Fabroni a Pistoia e il Centro Pecci di Prato. Aveva bisogno di una persona che lo supportasse nelle ricerche, e Gianni gli fece il mio nome. È così che abbiamo iniziato a collaborare.  

Una tua definizione del lavoro di Andrea Branzi, con cui collabori da tanto.                                                                                                                               Branzi è prima di tutto un teorico dell’architettura e del design. Quello che caratterizza il suo modo di progettare è la forte componente di sperimentazione che è presente in ogni sua opera, dagli esordi con il gruppo Archizoom Associati negli anni Sessanta fino a oggi. È appena stato insignito del Rolf Schock Prize per le arti visive, importante riconoscimento, “per il suo lungo e significativo impegno nel dibattito sulla città, sull’architettura e sul design”. Sono affascinata dalla sua capacità di spaziare dal campo dell’oggetto a quello del territorio. Con la No-Stop City di Archizoom Associati ha prefigurato un’architettura non figurativa, e la sua ricerca sui modelli teorici di urbanizzazione debole è stata fondamentale per gli sviluppi del landscape urbanism. Il suo lavoro ha sempre una raffinatissima componente intellettuale che ritroviamo sia nei progetti realizzati per aziende come Alessi e Cassina, sia nei progetti per le gallerie italiane e internazionali quali Clio Calvi e Rudy Volpi, Luisa Delle Piane, Giovanni Scacchi Gallery e Antonia Jannone a Milano, Friedman-Benda a New York e Carpenters a Londra.

Fig.12 Francesca Balena Arista, curatrice del libro Transparency, 2017
Francesca Balena Arista, curatrice del libro. Foto di Fabio Bortot

Ora invece mi dai una definizione del tuo lavoro? Sei un’architetta, curi mostre, scrivi libri, insegni in qualità di docente a contratto alla Scuola del Design del Politecnico di Milano e alla NABA, un approccio diversificato al mondo del progetto. Un architetto che non ha fatto l’architetto. Mi dici della tua storia?                                        Ho sempre amato scrivere, e avrei voluto studiare giornalismo. Fu mio padre a convincermi a iscrivermi alla facoltà di Architettura di Firenze. Tra gli ultimi esami, seguii Storia dell’architettura contemporanea con Gianni Pettena. Alla fine del corso, Gianni spiegò a tutti noi studenti di aver ricevuto l’incarico di organizzare una mostra sull’Architettura Radicale per la Biennale di Architettura di Venezia di quell’anno, che avrebbe aperto a settembre. Chi voleva collaborare era il benvenuto. Si trattava di passare i mesi estivi a lavorare e ci fu una defezione generale; ci ritrovammo in due, io e una mia cara amica assieme ad altri quattro o cinque studenti dell’anno precedente. Fu straordinario. Lavorammo alla ricerca, al catalogo e all’allestimento della mostra. Era la Biennale del 1996, “Sensori del Futuro. L’Architetto come Sismografo”, diretta da Hans Hollein e la nostra mostra si chiamava “Radicals, Architettura e Design. 1960-1975”.

Ci fu un incontro importante in quell’occasione?                                        La sera dell’inaugurazione conobbi Ettore Sottsass; era un uomo dal carisma straordinario. Chiesi subito a Gianni di farmi da relatore per una tesi su di lui. Come controproposta mi consigliò una tesi su Poltronova, azienda toscana della quale Sottsass è stato anima e art director. E così la mia vita iniziò a prendere la sua forma.

Che tesi hai fatto?                                                                                                        Una tesi sul periodo Radical naturalmente, lavorando con videointerviste. Intervistai il fondatore dell’azienda Sergio Cammilli, i componenti dei gruppi Archizoom e Superstudio e soprattutto Ettore Sottsass. Molti anni dopo, la mia intervista a Sottsass, integrata attraverso alcuni successivi incontri, è diventata la materia prima per il documentario “Ettore Sottsass. A private scrapbook. 1957-2007” presentato al Milano Design Film Festival nel 2016.  

Quello con Sottsass è stato un rapporto fondamentale, io assorbivo come una spugna tutto quello che potevo, a ogni occasione d’incontro.

Poi cosa è successo?                                                                                                    Ho subito iniziato a lavorare con Roberta Meloni, CEO di Poltronova. Nel 2008 mi sono trasferita per intraprendere con Branzi il dottorato di ricerca al Politecnico di Milano; ma il mio rapporto con Roberta Meloni non si è mai interrotto cosi nel 2016 ho pubblicato il libro Poltronova Backstage: Archizoom Sottsass e Superstudio. The radical era 1962-1972 (Fortino Editions).

Un aneddoto di questo rapporto con Branzi?                                                Per il giorno dell’inaugurazione della mostra “Continuità”, in Poltronova mi confezionarono un abito con la stoffa Farfalla disegnata dagli Archizoom nel 1967; erano disegni Pop dai colori sgargianti, una sorta di sorpresa speciale per Andrea. Nel frattempo, Gianni Pettena provò anche a portare la mostra di Villeurbanne alla Strozzina di Firenze. Anche Andrea naturalmente era coinvolto. Ci lavorammo tanto con Giulia Pettena, figlia maggiore di Gianni, ed Elisabetta Trincherini. Ma i tempi non erano maturi... Ci è voluto il 2017 per vedere realizzata, proprio nella stessa Strozzina, la mostra “Utopie Radicali”, curata da Gianni Pettena, Pino Brugellis e Alberto Salvadori, con l’importante apporto di Elisabetta Trincherini.

Un progetto da realizzare?                                                                                    Spero altri progetti con Giovanni Scacchi e poi un nuovo libro, a cui sto già lavorando, su “La scuola di piazza Bausan”, nome coniato da Andrea Branzi per indicare la didattica sperimentale portata avanti con Michele De Lucchi nel laboratorio di design degli interni in cui sono docente anche io: circa 10 anni di corsi assieme, alla Scuola del Design del Politecnico di Milano.

Titolo libro:
Andrea Branzi – Transparency
A cura di:
Francesca Balena Arista
Un progetto di:
Galleria Giovanni Scacchi
Dimensioni:
24 x 30 cm
Pagine:
160
Data di pubblicazione:
ottobre 2017
Casa editrice:
Fortino Editions
ISBN edizione italiana:
978-1-941372-33-3
ISBN edizione inglese:
978-1-941372-33-3
Edizione limitata:
500 copie

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