L’abbiamo vista crescere negli ultimi anni, insinuandosi là dove non l’avevamo vista arrivare. Eppure la ceramica, questa materia ancestrale, tra le prime con cui abbiamo dato corpo ad oggetti tanto utilitari quanto simbolici, non è immune dai rischi del disamore. Inevitabilmente sensibile ai corsi e ricorsi che segnano l’andamento delle nostre arti minori, ha conosciuto nell’ultimo decennio un ritrovato interesse, dando luogo ad un movimento di sperimentazione e riscoperta eterogeneo, interessante tanto per i suoi esiti progettuali che per le motivazioni che li hanno promossi e indirizzati.

Lontano dagli ambienti della ricerca, invece, le teste di moro proliferano nelle scenografie degli schermi TV, mentre nelle nostre città si moltiplicano gli atelier che permettono ai neofiti di trasformare un interesse nel nuovo hobby preferito. Là dove contano le leggi dei grandi numeri, come per le multinazionali del settore casa, l’oggetto di ceramica diventa sinonimo di acquisto impulsivo. Del resto, in abitazioni sempre più miniaturizzate, dove l’acquisto dei grandi mobili viene rimandato ad una maturità mai destinata a stabilizzarsi, il piccolo oggetto facilmente trasportabile parla alle nuove generazioni più di quanto non facesse a quelle vecchie.

Per i nuovi designer, la ceramica è ricerca
Per fare un po’ di luce su questo grande ritorno, allora, conviene iniziare con una carrellata, necessariamente spuria, di progetti grandi e piccoli che hanno segnato gli ultimi anni attraverso una rotta puntellata di intuizioni significative.
Tra i giovani designer, Diego Faivre, francese passato da Eindhoven, mette a punto una sua “ceramica”, la Diego Dough, con cui riveste sedie e tavoli con una manualità ironicamente incerta e spontanea – ed un costo contato al minuto, legato al tempo di esecuzione. Su un altro registro, Valentina Cameranesi mette in scena le sue ceramiche tra gallerie e design week, dando vita ad oggetti astratti e inclassificabili, trasposizione di una lettura intellettuale di concetti e idee mutate altrove.

Su un piano spiccatamente industriale, una nuova leva di designer decoratori - come Matteo Cibic con la Paradiso Dreams, o ancora Elena Salmistraro, Pepa Reverter, e Jaime Hayon per Bosa - gioca con un filone gioiosamente figurativo per restituire un uso totemico di maschere, statue, vasi e urne.
E mentre la riscoperta di produzioni degli anni ’70 e ‘80 cristallizza serie di culto – si pensi ai vasi di Ettore Sottsass per Bitossi – il mondo della ceramica industriale, quella delle grandi tirature, ne ripensa le possibilità non solo al servizio della superficie, ma anche del dispositivo architettonico, come ci insegna il lancio della collezione di mattoni di Mutina – a cominciare dai Bloc di Ronan e Erwan Bouroullec, ai Brac di Nathalie du Pasquier – trasformati in opportunità di rivisitazione in chiave contemporanea della mashrabyia araba ed andalusa.

In tempi più recenti, storiche tipologie di arredo sono state reinterpretate attraverso l’uso di questo materiale. Nel 2018, Elisa Ossino fa parlare di sé con una collezione di arredi, The Circle, improntata ad un generoso minimalismo. Più recentemente, il marchio tedesco Pulpo ha ingaggiato Lorenzo Zanovello per una linea di sgabelli (e tavolini) scultorei, chiamata Chouchou, che rileggono lo stilema dell’arco con una manifattura volutamente istintiva e spontanea. Per Serax, Marie Michielssen ha recentemente dato vita ad un altro sgabello in ceramica, questa volta estruso, che sembra giocare con un altro motivo architettonico, quello della colonna.
E che dire delle nuove lampade in ceramica di Ronan Bouroullec edite da Flos a cui il designer francese non trova un nome proprio, ma si limita a battezzare con “Céramique”, come un omaggio nient’affatto velato? Certamente si tratta di una novità materica che stupisce nel catalogo dell’azienda italiana: evidentemente un sintomo non solo di una specifica soluzione progettuale, ma anche di un oggetto nell’air du temps.
Ma poi “là fuori”? trend mainstream vs un mercato sperimentale

Al di fuori di queste interpretazioni autoriali, la ceramica si insinua come un manto a tratti vischioso tra le pagine delle riviste di interni, trasformandosi in un riempitivo, in un’opportunità di personalizzazione ricercata. Vasi ed oggetti decorativi diventano strumenti per puntellare l’immagine di catalizzatori dell’attenzione: grazie ad un esercizio di reinserimento molto abile, fanno da ponte tra vecchie e nuove espressioni del gusto, stravolgendo le consuetudini dello stile a favore di scenografie inaspettate. E finendo per impersonare il ruolo che il capo e l’accessorio vintage hanno nel campo della moda: quello “non so che” che non ti aspetti, almeno finché la tattica viene replicata troppo spesso fino a rivelarsi prevedibile.

Nel frattempo, il mercato non resta immobile di fronte a questo interesse ritrovato, registrando piccoli segnali a bassa entità in settori eterogenei e trasversali. Le fiere specializzate, in buona salute, vedono la riconferma dei grandi appuntamenti (la Biennale Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea di Faenza, o l’altrettanto longeva Ceramic Brussels), insieme alla nascita di nuovi fenomeni d’avanguardia (Smoke, lanciata quest’anno da Frieze a Londra, o Manifest Paris, che si terrà nell’ottobre di quest’anno durante la art week). Anche le gallerie specializzate prossime all’universo del design dimostrano dinamismo, si tratti dell’imprescindibile a Fondazione Officine Saffi a Milano, o delle nuove leve come Puls a Bruxelles. E persino tra i marchi di largo consumo, c’è chi usa la ceramica come un supporto di distinzione, come fa Kave Gallery con i pezzi unici di Javier Mariscal.

La chiave per comprendere tutto questo fenomeno e il suo dinamismo che non sembra volersi affievolire, sta nel ricordare che, in epoca di schermi imperanti, la ceramica finisce per essere un antidoto alla dematerializzazione e all’appiattimento del tempo: imperturbabile, vanta una sollecitazione tattile che non riesce a venire meno. Per dirla con Ettore Sottsass, le ceramiche sono “più vecchie di tutte le poesie che si sono scritte, più vecchie delle capre e dei gatti, più vecchie di tutte le case, più vecchie di tutti i metalli. Le ceramiche sono vecchie come i denti di mammut, come le costole degli orsi, come le corna delle renne”. E non sarà certo la digitalizzazione delle nostre abitudini, o qualche abuso decorativo inopportuno, a svelarcene l’inopportunità dopo millenni di storia.
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Immagine di apertura: Vista della mostra “Art Déco. Il trionfo della modernità” a cura di Valerio Terraroli, 2025, Palazzo Reale, Milano, Italia. Foto © Carlotta Coppo. Courtesy Palazzo Reale