Se non altro la mostra The Fashion World of Jean Paul Gaultier: from the Sidewalk to the Catwalk ("Il mondo della moda di Jean-Paul Gaultier: dal marciapiede alla passerella") – la prima in assoluto dedicata allo stilista francese, aperta al de Young Museum di San Francisco fino al 19 agosto – è un buon argomento da pausa caffè. Dopo una mezz'oretta trascorsa alla mostra ho sentito una visitatrice che diceva a un'altra, non senza un tono di superiorità: "Va guardata come arte, non come vestiti da indossare".
Ovviamente sono qui con taccuino e orecchi spalancati. Certo potrei rispondere alla visitatrice con la stessa prosopopea: "Signora, guardi che non ha capito il gioco". Ma forse non c'è nessun gioco, e sto ridendo a sproposito. Passano due giovanotti. Uno dice all'altro: "In quel corsetto non mi ci entrerebbe nemmeno la testa". E a destra ci sono tre manichini rivestiti da capo a piedi con capi – nientemeno – della collezione Chic Rabbi ("Rabbino elegante"), la linea autunno-inverno dei primi anni Novanta dello stilista, ispirata agli indumenti tradizionali degli ebrei chassidici. Kippah e lustrini? Ebbene sì. Diversamente dai miei compagni di visita io, per quel che mi riguarda, non ho risposte intelligenti con cui ribattere. Mi affido invece alle parole dello stesso Gaultier, generosamente offerte sulle pareti di tutta la grande mostra. Ecco quel che Gaultier ha da offrire:
Dal marciapiede alla passerella
Al de Young Museum, The Fashion World of Jean Paul Gaultier è uno studio antropologico e anche di cultura urbana, fatto tanto di fantasia quanto di serie riflessioni su persone che vivono in un certo tempo e in un certo luogo.
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- Katya Tylevich
- 24 maggio 2012
- San Francisco
"Il catalizzatore della collezione Chic Rabbi fu un viaggio a New York dei primi anni Novanta. Vidi un gruppo di rabbini che uscivano dalla Public Library sulla Quinta Strada. Li trovai molti belli, molto eleganti con i cappelli e gli ampi soprabiti sventolanti. Era una scena stupenda. Avevo paura che la collezione ricevesse una cattiva accoglienza. Sapevo che ci potevano essere reazioni diverse, che qualcuno si poteva sentire offeso e trovare ridicolo il mio punto di vista. Invece le recensioni delle testate specializzate furono entusiastiche. Tuttavia certe immagini furono male accolte dai chassidim e da altri, che pensavano che le modelle stessero 'giocando a travestirsi'. Trovavano offensivo anche che gli abiti dei rabbini fossero indossati da donne […] ma ciò che volevo comunicare con questa collezione era la sensazione che questi abiti tradizionali mi avevano dato, celebrarne la bellezza."
E via di questo passo. Da un'altra parte una citazione di Gaultier afferma: "Il mio primo feticcio è stato il corsetto. Per via di mia nonna". Il cuore della mostra è la provocazione. E l'occhio? Ovviamente tutto una strizzatina. In primo piano c'è un'eccitante e maliziosa aria di vacanza, e magari la voglia di andare in cerca di guai. La mostra, come lo stilista che ne è l'oggetto, non ha paura di dare in pasto al pubblico parole come "ridicolo". Mi chiedo che cosa sia più audace: questo atteggiamento oppure il nero cavallo dei pantaloni decorato di perline che ho visto nella sala precedente? La consapevolezza di sé, e magari anche un po' di autolesionismo, a tratti rendono la mostra straordinaria ma infrequentabile, addirittura priva di riferimenti.
È da sottolineare come The Fashion World non sia una mostra 'anonima', fredda e tranquilla. Perfino i manichini hanno una loro personalità, con volti animati e voci udibili
Sì, con 140 capi esposti, è una mostra di moda, e possiede certi tratti della discutibile seriosità del mondo della moda (e delle sue parodie): da cui la "passerella" che è il punto d'arrivo della faccenda. Ma la mostra vive anche della promessa di prendere qualcosa "dal marciapiede". Nel suo percorso tra stilismo sadomaso e magliette a righe da marinaio firmate, The Fashion World of Jean Paul Gaultier costruisce indubbiamente un discorso sulla società, sui tabu culturali e sulle reazioni collettive, che si tratti di apprezzamento e di plauso oppure di occhi alzati al cielo e commenti sprezzanti sull'ultima battuta corrente. Nei suoi momenti migliori la mostra è uno studio antropologico e anche di cultura urbana, fatto tanto di fantasia quanto di serie riflessioni su persone che vivono in un certo tempo e in un certo luogo.
Organizzata per temi, la mostra comprende sezioni contraddistinte da titoli come "La giungla urbana", "Cancan punk" e "Metropolis". Perché l'opera di Gaultier talvolta può essere profondamente pragmatica (come nel caso della già citata collezione Chic Rabbi oppure, sotto questo aspetto, della sua collezione "costruttivista"), è un invito alla 'lettura' e all'analisi, incoraggia a 'giudicare il monaco dall'abito'… Perché, di preciso, gli abiti di pelle con le cerniere lampo di ispirazione costruttivista, e perché un pullover decorato a caratteri cirillici nel 1986? Perché Londra e i punk negli anni Settanta? Perché Madonna, perché Kurt Cobain e in quale contesto Cindy Sherman? Non è solo una mostra di cuoio e di latex, o di reggiseni a cono (per quanto, se lo fosse, avrebbe giustamente attratto folle di visitatori). No, è una mostra che parla del contesto sociale – in tutto il suo non fittizio atteggiamento antiglamour – in cui queste sfumature visive ci sono, in cui 'si permette' che ci siano, che stuzzichino, che infastidiscano e che diano ansia. È una mostra che presenta il lavoro di Gaultier a partire dagli anni Ottanta con il linguaggio del documentario, del reportage, non con quello del catalogo: in altre parole "tramite ciascuna collezione Gaultier ha investigato l'atmosfera sessuale dell'epoca in cui le forze parallele della rivoluzione sessuale e dell'avvento dell'AIDS enfatizzavano la coscienza della sessualità umana nelle sue varie forme e infrangevano le tradizionali distinzioni di genere".
È da sottolineare come The Fashion World non sia una mostra 'anonima', fredda e tranquilla. Perfino i manichini hanno una loro personalità, con volti animati e voci udibili: a volte si rivolgono ai visitatori, a volte parlano da soli o all'immagine di se stessi in uno specchio; e parlano in inglese e in francese, fanno l'occhiolino, guardano altrove o lanciano occhiate. Si sente anche la forte presenza di film, spettacoli e personaggi pop ben identificabili: tutti parte della variegata collezione di progetti e di persone di Gaultier. Curiosamente questi artefatti ispirano al visitatore un'invincibile sensazione di familiarità. C'è la probabilità che la maggior parte di coloro che visitano questa mostra si rendano conto che l'icona di Madonna fotografata con il corsetto di Gaultier è impressa da lungo tempo nella loro mente (e fin qui nulla di nuovo). Solo che ora il corsetto balza fuori dalla fotografia come se fosse la sintesi finale dello spettacolo tridimensionale degli ultimi trent'anni. Nella cornice di questo contesto ben calibrato il 'senso', il 'significato' e l'importanza' diventano tridimensionali. E così pure il ritratto del creativo. Si prenda per esempio il modo in cui The Fashion World presenta il primo modello di Gaultier: un orsetto di pezza di nome Nana. Nana, signore e signori, indossa "una coppia di finti seni a forma di cono fatti di carta di giornale". È una "toccante testimonianza degli inizi creativi dello stilista".
Fino al 19 agosto 2012
The Fashion World of Jean Paul Gaultier: from the Sidewalk to the Catwalk
de Young Museum
50 Hagiwara Tea Garden Drive, San Francisco