Martí Guixé: immagini di cibo, neologismi e modelli di business

All'Hangar Bicocca, l'ex-designer catalano ha presentato le sue riflessioni sul cibo: da 9.000 foto di pietanze collezionate in quindici anni agli ironici business model, come la cucina solare, l'Alga Bar o il Candy Restaurant.

La prima volta che l'ho incontrato, Martí Guixé stava presentando una teoria del maestro taoista Fuokuoka Masanabu: "La rivoluzione di un filo di paglia". Non ricordo esattamente quale fosse il suo legame con quest'invenzione drammaturgica, a parte quello che suggerisce il titolo stesso – era un inno alla non azione, all'autoregolazione: l'agricoltore deve limitarsi a raccogliere i frutti e lasciare al terreno tutte le rimanenze. Quello che mi colpì allora e che continua a stupirmi di Guixé oggi, è proprio questo anacoluto concettuale, l'inversione con cui da anni questo improvvisatore catalano dalla firma tremula non sfrutta quelli che per qualunque altro progettista sarebbero degli stratagemmi muscolari o dei mezzi per moltiplicare e arricchire il prodotto, ma si limita a raccogliere il prodotto in sé, crudo. Per lui le storie non sono un pretesto o un condimento del progetto, ma sono il progetto; le immagini non sono una pellicola comunicativa o un filtro esibitore, ma il risultato esibito.

Nel venerdì del Salone del Mobile, con Martí si apre al nuovo Hangar Bicocca un ciclo di appuntamenti: HB Public, che mensilmente vedrà alternarsi ospiti e racconti di varie discipline. Ed è un successo: la sala nuova di zecca che lo ospita, e che anticipa l'ingresso sull'installazione di Peter Feldman inaugurata due settimane prima, è gremita di gente. Di là dal tendone lo Shadow Play dell'artista tedesco, in cui alla proiezione magica e impalpabile di una collezione di figuri fa da contraltare lo scheletro ontologico degli oggetti, apparecchiati alla bell'e meglio su un tavolone; di qua un altro schermo bianco, su cui si susseguono le proiezioni di tre collezioni di Martí, in cui gli oggetti, se ci sono, sono solo ospiti casuali. Un dialogo tra arte e design alternativo, antecedente o, se possibile, "ex", come da autodefinizione dell'ex-designer, approdato al design quando il design cominciava a guardare all'arte.

In apertura: Martí Guixé Public Fountain Ice Cube BAR, 2008. Vista dell’installazione alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Photo Inga Knölke Qui sopra: Solar Kitchen, sviluppata da Martí Guixé con lo chef Antto Melasniemi nel 2011

Si tratta di: 9.000 foto di pietanze collezionate in quindici anni di scatti in tutti gli angoli del pianeta; un'infilata di neologismi – nati spesso dalle crasi più insospettabili (Foodball, Flamp, Mealing) o da onomatopee demenziali (Pfic Bar, che allude al tedesco equivalente dell'inglese "fuck", o Spamt per descrivere il redesign di un pane spalmato di pomodoro) – e infine un book di quelli che, con un po' di autoironia, Martí chiama "business models", pur avendo ben poco il sapore di un affare: la cucina solare progettata insieme al cuoco Antto Melasniemi, che funziona ovviamente solo col bel tempo, l'Alga Bar o il Candy Restaurant specializzate in generi merceologici non proprio piatto-unicizzabili, ma anche esperimenti in odore politico sociale, finalizzati per esempio all'utilizzo dell'acqua pubblica fino al suo esito più estremo e provocatorio (trasformata in ghiaccio per una fontana di champagne) o alla funzionalizzazione dei ristoranti, usati come piattaforme distributrici di bevande, in cui il cibo take-away viene prodotto esternamente da fonti multiple e multietniche e fatto confluire poi on demand in un unico locale, Food Facility. Il cibo viene qui inteso come elemento sociale, in grado di spostare su un livello più ampio il rapporto dei cittadini con lo spazio urbano, dei consumatori con la città e – perché no? – suggerisce Guixé, del design col business.

Solar Kitchen, sviluppata da Martí Guixé con lo chef Antto Melasniemi nel 2011

Così come questi concept spesso nascono spontaneamente e solo successivamente, se mai, trovano un acquirente abbastanza folle per assecondarli, anche nel caso delle immagini seriali si tratta di ritualità consumate più per il bisogno del gesto che non per la consultazione successiva. Questo vale dal '95, quando iniziò i primi scatti, fotografando la vita quotidiana di Berlino e approfittando di un fornitore di lì che sviluppava le diapositive gratis. Da lì si sono moltiplicate le immagini prodotte ed è proprio la quantità – tipico escamotage di una certa arte contemporanea – uno dei fattori in cui risiede il fascino stesso della presentazione, piuttosto che nella loro qualità, o dall'uso che forse non se ne farà mai. Come per ogni collezione, anche in questo caso, si pone all'autore il problema della classificazione: assemblare i piatti per tipologia, per forma, per colore o per fascia di prezzo, per pietanza, per ingredienti? La risposta sta nel trattare il cibo come un oggetto nella sua integrità, ragione per cui tutti i piatti sono fotografati appena serviti: non vediamo gli avanzi e la presenza dei commensali è minima, a volte una mano che sbuca, a volte un riflesso nel bicchiere.

Da un designer non ci aspettiamo una rivoluzione culturale legata al mondo del cibo, però quello di Guixé è un contributo intelligente, coraggioso e non scontato.
Foodbank, 2002

Visto che il risultato non disputandum est, allora viene spontaneo guardare dietro, a ciò che precede queste invenzioni e cercarci un senso o una ragione. Parliamo di approccio. Un atteggiamento che appare tanto disincantato e laico, quanto sognante; tanto distaccato quanto verticale e critico. Kuno Prey, che da tempo segue il percorso di Martí e che a sua volta è particolarmente affezionato e dedito alla riflessione sui meccanismi di consumo e produzione del cibo, è tra gli spettatori dell'incontro. Quello che lo avvince e soprattutto lo convince della prassi di Guixé è l'accostamento tra progetti seri o realizzabili e trovate con una ragione sociale esclusivamente provocatoria che insieme però sono in grado di aprire una riflessione: "I nostri comportamenti alimentari sono spesso del tutto sottovalutati, disattenti. Qui il designer ci chiede di prenderne coscienza non attraverso la narrazione, che può mentire, ma con il meccanismo della moltiplicazione della visione su ciò che consumiamo. La nostra abitudine di produzione del cibo il più delle volte trascura la qualità, la salute, l'origine e i processi. Da un designer non ci aspettiamo una rivoluzione culturale legata al mondo del cibo, però quello di Guixé è un contributo intelligente, coraggioso e non scontato". Aggiungerei che probabilmente non si tratta neanche di un apporto "intenzionale", bensì del tutto spontaneo. Ma non vale lo stesso anche per il filo di paglia?

Vaso da fiori Mealing, 2009. Photo Inga Knölke
Bless/Guixé at Lima, doppia installazione dell’ex-designer Martí Guixé e delle fashion designer tedesche Bless (Desiree Heiss e Ines Kaag), allo Spazio Lima di Milano, 2006