Se Steven Holl vuole lavorare sull’accidente – su tutto ciò che ha a che fare con la materia architettonica e che può ‘turbarla’, cambiarne la percezione, senza modificarne l’essenza – lo fa, tanto che si tratti di un edificio gigantesco, quanto del più minuto degli oggetti. In un piccolo mobile sperimenta le proprietà fenomenologiche della luce – naturale e artificiale –, con la stessa convinzione con cui da anni ragiona sulla dissolvenza dei volumi delle sue costruzioni. Si concede in questo caso un grado di libertà in più: la possibilità di posizionare il manufatto sia in verticale che in orizzontale, moltiplicando così le variabili dell’esperienza spaziale dell’osservatore. Nell’aprile del 2005, a Milano, nella mostra “Entrez lentement”, ideata da Pierluigi Nicolin, otto architetti contemporanei erano stati invitati a rendere omaggio ad altrettanti maestri del passato. Steven Holl, in affinità elettiva con Alvar Aalto (in particolare, con villa Mairea), aveva creato un’installazione dal titolo Dalla porosità alla fusione: una serie di alti totem di forma irregolare, con superfici microforate secondo disegni diversi, richiamava il visitatore a perdersi tra proiezioni di ombre, tra luci filtrate attraverso le grate delle sottili membrane, tra lievi aggetti o rientranze dei volumi. Era un laboratorio di prova per riflettere sulla smaterializzazione in un ambiente chiuso, con valenze diverse da un edificio en plein air. Con un ulteriore scarto di scala, Holl miniaturizza nel mobile la sua ricerca. R.C.










Gli infissi si trasformano in cornici che raccontano lo spazio
Una casa piena di pace, costruita con pochi segni e una palette di materiali in armonia con l'intorno. Protagonisti del racconto visivo, gli infissi color antracite di Edilpiù.