LagosPhoto, il festival internazionale di fotografia lanciato in Nigeria nel 2010, cambia pelle: formato, prospettiva e persino curatore. Dalla prossima edizione, infatti, diventerà una Biennale diffusa, con l’obiettivo di portare la fotografia nei luoghi simbolici della città. Dal 25 ottobre al 29 novembre 2025 prigioni dismesse, palazzi dell’indipendenza e architetture radicali si trasformeranno in scenari dove la fotografia interroga il concetto di incarcerazione. A guidare il progetto è l’architetto e curatore Courage Dzidula Kpodo:
"Sono entrato nel team all’inizio di quest’anno come curatore principale", racconta. "Tutto è iniziato con il mio precedente progetto, Postbox Ghana, e l’idea di installare grandi billboard nello spazio pubblico. L’uscita dal white cube è stato il punto di partenza anche del mio lavoro qui".
Scoprire l’Africa che non conosciamo attraverso le foto
Curata dall’architetto Courage Dzidula Kpodo, la nuova edizione di LagosPhoto trasforma ex prigioni, palazzi dell’indipendenza e architetture radicali in spazi dove la fotografia racconta libertà, memoria e identità.
Courtesy l'artista e AAF
Courtesy l'artista AAF e LagosPhoto
Courtesy l'artista e AAF
Courtesy of the artist and AAF
Courtesy dell'artista e AAF
Courtesy of the artist and AAF
Courtesy l'artista e AAF
Courtesy l'artista e AAF
Courtesy l'artista e AAF
View Article details
- Giorgia Aprosio
- 24 ottobre 2025
Se chiedessi a una persona comune: “Cos’è per te la libertà?”, avrebbe sicuramente una risposta. Invece la vera domanda dovrebbe essere: “Credi davvero che quella risposta venga dalla tua volontà?
Courage Dzidula Kpodo
Il tema scelto per questa edizione è Incarceration, inteso non solo come condizione materiale ma anche come dimensione interiore. Kpodo insiste su come le forme di limitazione non siano tutte visibili: alcune riguardano migrazione e confini, altre sono più sottili, interiorizzate nella vita quotidiana. "La migrazione è un grande tema. E quando pensi alla migrazione pensi ai confini: i confini stessi sono una forma di incarcerazione, evoluta attraverso storie diverse. In Europa seguono linee etniche definite, in Africa occidentale invece le attraversano, creando condizioni con cui dobbiamo confrontarci ancora oggi".
Ma non si tratta solo di frontiere. La riflessione si allarga a una critica del falso senso di libertà che caratterizza molte condizioni contemporanee: "si pensi alla routine del lavoro 9-to-5, finalizzata ad avere una casa ma senza godersela davvero. Per lungo tempo abbiamo creduto incarnasse una forma di libertà, ora ci rendiamo conto che forse è, in realtà, una forma di auto-incarcerazione".
Per Kpodo, la fotografia diventa allora strumento per scardinare modelli illusori. Tra gli artisti presenti cita Kanya Zibaya, che affronta la violenza storica in Sudafrica non accusando il colonizzatore, ma rivolgendosi a se stesso. "Partendo da materiali d'archivio si chiede: come abbiamo interiorizzato questa violenza, finendo per perpetuarla anche dopo che, formalmente, quei sistemi sono stati aboliti?".
È facile cadere in un modello mentale, condizionato da te stesso o da fattori esterni. Quindi sì, questa edizione punta alla libertà.
Courage Dzidula Kpodo
Anche il passaggio al formato biennale non è un dettaglio tecnico, ma una scelta metodologica. "Ci permette di rallentare, sperimentare, lavorare con spazi alternativi che hanno già delle storie proprie". Per questo entrano in gioco luoghi come il Freedom Park, ex prigione coloniale britannica oggi trasformata in parco pubblico, o la Nahous Gallery all’interno del Federal Palace, l’edificio in cui fu firmata la Dichiarazione d’Indipendenza e che, rimasto chiuso per decenni, riapre ora come centro culturale. Per la prima volta il festival si sposta anche a Ibadan, nel New Culture Studio di Demas Nwoko, architetto e artista che già negli anni Settanta aveva immaginato un’architettura comunitaria e sperimentale. "La mia speranza è che questa mostra faccia riflettere le persone sul rapporto tra arte e spazio. Non credo debbano essere separati: il modello del white cube neutro non basta più. Penso che l’arte debba confrontarsi con i luoghi, anche abbandonati, e con chi li vive".
Il formato biennale permette di rallentare, sperimentare, lavorare con spazi alternativi che hanno già delle storie proprie.
Courage Dzidula Kpodo
La sensibilità per i luoghi deriva direttamente dal suo percorso: "Io stesso sono un architetto: ho studiato in Ghana e ho appena concluso il master al MIT. Forse per questo nel curare questa Biennale ho prestato molta attenzione non solo alla dimensione strutturale, ma anche al valore simbolico dei luoghi".
E se gli si chiede quale sarà il domani del festival, Kpodo non ha dubbi: occorre continuare a sperimentare. "In Africa occidentale siamo in una posizione unica: la tecnologia è diffusa e in rapida evoluzione, ma ancora fluida, non cristallizzata. Spero che sempre più persone abbiano il coraggio di usarla in modi radicali, portando l’arte e lo spazio verso la gente, invece che costringere la gente ad andare da loro. Questo, credo, è il passo più importante da compiere".
Stampa fotografica intrecciata su tela, 152,4 × 91,4 cm
Dalla serie Eye of the Storm, 2023
Dalla serie Eye of the Storm, 2023
Dalla serie Point of Return
From The Fury series
Da I Keep My Visions To Myself. Stampa su tela ricamata in tessuto di canapa, 114 x 140 cm