La casa secondo Sandra Knecht è un luogo estraneo e spiazzante, a Basilea

Tra musica e cucina, fotografie e animali, la casa è decostruita e abitata da djinn e “archetipi al crepuscolo”: la grande artista svizzera porta un decennio di ricerca sulla Heimat in mostra a Basilea. E il risultato è incredibile.

La parola tedesca Heimat risale all’undicesimo secolo e un senso più largo dell’inglese “home” (e della tedesca “heim”): significa casa, certamente, ma anche patria.

La Heimat che l’artista Sandra Knecht porta negli spazi della Kbh.G di Basilea è fatta di fotografie, una selezione delle oltre 20mila immagini del progetto My land is your land che Knecht pubblica da un decennio sul suo account Facebook; da una tipica casa delle api svizzera, smontata (“era troppo alta per starci qui dentro”, commenta Raphael Suter, direttore della fondazione), il tetto nella sala d’ingresso, la casa nello spazio espositivo più grande. Lì accanto, c’è una grande scultura di bronzo, metamorfosi del tronco di un pero che era l’albero a cui l’artista era da sempre legata, come mostra lei stessa sul suo profilo Instagram; e poi una serie di oggetti a terra, molti corpi di animali morti e mummificati, serpenti, gatti, un corvo che ti fissa.
 


“Qui ci sono occhi che ti guardano”, mi dice Sandra Knecht. La sua idea di casa non è certo quella illuminista dei disegni degli architetti e dei render immacolati e degli interni “instagrammabili” che si susseguono su Domus. È un posto mai fermo, “un luogo straniero, un luogo instabile”, come spiega il foglio di presentazione della mostra. È un luogo che è anche un corpo e che si affolla di spiriti, di “djinn”. Gli “archetipi nel crepuscolo”, sono la cosa che interessa l’artista, il punto d’attrazione di questa sua “Home is a foreign place”.

Sandra Knecht, TSCHINN, 2023. Courtesy l'artista

Che casa è questa?

C’è una collezione di vinili in mostra, dischi soprattutto della sua gioventù. Sono collocati vicino a un giradischi attaccato a due casse. Silenziosi. È lì che incontro Sandra Knecht, con indosso una felpa che dal font deve essere di una band metal, dei pantalonacci di una tuta Nike. Sta cercando di fare funzionare l’impianto, che non va. Intorno a lei uno dei suoi cani, il chihuahua Lupita. Mi chiedo se sia una performance. La musica è importante per lei, spesso fa la dj, mi spiega Suter, il direttore. Tra saggi critici e una selezione di fotografie ci sono anche i QR code per ascoltare le playlist di Knecht, nel volume che accompagna la mostra e che viene consegnato gratuitamente a tutti i visitatori. Lupita il chihuahua si avvicina e mi fissa con i dolcissimi suoi occhi sghembi da cartone animato vivente.

Sandra Knecht non è sempre stata una artista per professione. Per più di vent’anni, ha lavorato come assistente sociale. Si avvicina alle arti visive nel 2011, quando ha superato oramai i trenta. Nel 2017 partecipa alla Biennale di Venezia, nel 2022 riceve lo Swiss Art Award, altissima onorificenza svizzera per le arti.

La mostra Home is a Foreign Place di Sandra Knecht. Courtesy Kbh.G

Gli archetipi al crepuscolo

Con Knecht parliamo di archetipi, come quello del gallo, a cui è molto legata, e che ha ritrovato in Messico, “dove ero a fare una residenza e ho passato molto tempo a cavallo con i gaucho”; di folklore alpino e delle sue maschere, degli Tschäggättä, del Krampus, e degli Yodel; della cucina, da sempre nella sua arte – Dinner Party sono venti ricette dedicate ad altrettante artiste donne che fanno parte della mostra, dalla cantante e poeta Patti Smith alla fotografa Nan Goldin all’attivista Audre Lorde ad Ana Mendieta, l’artista cubano-americana; parliamo di questa sua esposizione in cui ci sono tante foto eppure la casa è quasi una evocazione, una costruzione di linee fluttuanti in una condizione di luce imprecisa, un concetto difficile da fermare e fissare. Una mostra dall’identità queer, come lei, che scavalca definizioni e confini. “La casa è dentro di te”, dice lei. Il suo inglese è semplice e potente, ma lei non ne è soddisfatta, dice che lo parla “come un bambino”, e ricorre a un traduttore, un ragazzo di Basilea che insegna inglese e mi fa notare che sul retro della casa delle api c’è una strana scritta, come un proverbio in caratteri gotici, “Willst du Fleiß & Ordnung Sehen, Musst du zu den Bienen Gehen”: Se vuoi vedere diligenza e ordine, devi andare dalle api.

Lo studio di Sandra Knecht a Berlino. Foto Tina Sturzenegger

Si dice che Cezanne avesse un difetto della vista e che questo abbia avuto un esito nella sua pittura che mostrava “la nascita dell’ordine”, per dirla con Merleau-Ponty. Parlare con Knecht, guardarla mentre si muove negli spazi della mostra che visito quando il sole si avvia al tramonto, quando fuori dalla Fondazione le ombre si allungano e poi tutto viene inghiottito dal buio, mi fa pensare che lei non veda le stesse cose che vedo io, che vediamo noi, è come se la sua percezione avesse dei layer in più, di cose che io sento che ci sono ma non distinguo chiaramente. Lei riesce a catturare tutto questo nei suoi Gesamtkunstwerk. Porre una soluzione di continuità tra l’artista e la persona, l’opera dalla biografia sembra quasi impossibile nel caso di Sandra Knecht. La sua casa, la sua abitazione è in campagna, a Buus, nel cantone di Basilea, dove vive con la sua compagna e vari animali, tra cui le pecore (“ogni tanto, soprattutto se vecchia o malata”, ne macella una e la cucina) e un tacchino, Kurt, di cui il grande curatore svizzero Hans Ulrich Obrist è un grande ammiratore. Animali, natura, folklore, ma anche libri sono parte integrante dell’identità che ha costruito sul suo generosissimo profilo Instagram. Non il solito profilo della solita artista, decisamente.

Per l’apertura di “Home is a foreign place”, una ventina tra giornalisti e influencer sono andati a visitarla a Buus. “Scarpe Balenciaga e pecore”, immagina tu!, dice lei sorridendo. Per l’inaugurazione alla fondazione ha cucinato lei stessa – salsiccia di pecora, mi racconta Suter. Una delle sue pecore.

Sandra Camenisch, Home is where the heart finds its home. Photo Lukas Wassmann

Le conserve e il conservare se stessi

All’ingresso della mostra c’è uno scaffale di conserve, eco del Chnächt, il progetto gastronomico di Sandra Knecht in un fienile ristrutturato di Basilea, attivo fino al 2019, una casa “che sembrava caduta dal cielo”. Sono gli Heimatgläser, i barattoli di Heimat, presentati per la prima volta alla Biennale: sono anche una metafora dell’identità, che per Knecht non può essere conservata, al limite diventa una “conserva”. Un modo di fissarci nel tempo, conservandoci in luoghi oscuri e protetti come cantine, ma sempre con una data di scadenza.

La mostra Home is a Foreign Place di Sandra Knecht. Courtesy Kbh.G

Sulla parete più lontana rispetto alla porta d’ingresso della Fondazione, ma al tempo stesso in una posizione di grande visibilità appena si entra nella sala principale della mostra, c’è un trittico di foto in cui Sandra Knecht indossa un copricapo a forma di testa di gallo. È in realtà un elmo, spiega lei. E in qualche modo in quelle immagini c’è la chiave di lettura di tutta la mostra. “Sono una donna queer cresciuta tra le montagne, in un piccolo paese”, mi spiega – e me lo spiega in tedesco, tornando più volte sulla spiegazione e sui dettagli, segnale che per lei questo è un racconto fondamentale e anche fondativo. In un contesto del genere, “ti vedono come una drag queen”. Il gallo, con cui è ritratta in un’altra grande foto della mostra, animale per lei archetipico, non è semplicemente un travestimento, ma una protezione. “Quella testa di gallo è un elmo che ti protegge”.

Mostra:
Home is a Foreign Place, Sandra Knecht
Dove:
Kulturstiftung Basel H. Geiger
Date:
fino al 27 aprile 2025

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