C'è grande attesa per 30 Blizzards., la performance che dal 22 al 26 ottobre animerà il Palais d'Iéna di Parigi, edificio costruito nel 1939 e oggi sede del Consiglio Economico, Sociale e Ambientale francese. È probabilmente l’evento extra-fiera più atteso di Art Basel Paris 2025, non solo per il fascino del palazzo progettato da Auguste Perret — monumento del modernismo raramente aperto all’arte — ma soprattutto perché segna il debutto nel campo della performance per Helen Marten.
Considerata tra le voci più interessanti della sua generazione, l’artista — vincitrice del Turner Prize e nota per installazioni che combinano materiali eterogenei e riferimenti culturali stratificati — porta per la prima volta il suo lavoro sulla scena teatrale, intrecciando scrittura, scultura, musica e dimensione pubblica.
L’abbiamo incontrata in anteprima esclusiva per ripercorrere le tappe di una pratica in cui il linguaggio diventa materia visiva e scoprire come questo nuovo esperimento allarghi i confini della sua ricerca.
Il linguaggio delle cose
A primo sguardo il lavoro di Marten sembra nascere dagli oggetti: elementi quotidiani, trovati o costruiti in studio. Cotton fioc, monete, vasche da bagno, bucce di lime, gessetti da biliardo, pedine da scacchiera convivono nelle sue opere con forme realizzate ad hoc, generando spaesamento tra ciò che appare reale e ciò che è artificiale. In realtà, questi frammenti sono intesi come parte di un sistema di significazione ben più ampio: “Il linguaggio è un sistema che sappiamo molto bene come sfruttare e avvolgere attorno alle cose”, spiega l'artista.
C’è una sorta di topologia insolita, una contro-mappatura delle nostre aspettative su come testi e oggetti funzionano insieme.
Helen Marten
E se il visivo diventa solo una componente, il vero e proprio nucleo della sua ricerca resta il linguaggio: “Le parole comunicano, ma allo stesso tempo rotolano anche su sé stesse in un caotico groviglio di immagini.”
Testi e titoli allora non solo accompagnano le opere, ma ne diventano parte integrante: “C'è una sorta di topologia insolita, una contro-mappatura delle nostre aspettative su come testi e oggetti funzionino insieme.” Contraddicendola e, talvolta, assecondandola, Marten costruisce sistemi in cui diversi significanti, messi in relazione, dischiudono nuove forme di significato.
Scrivere come metodo
La centralità del linguaggio non si esaurisce nell'opera, ma attraversa l’intera pratica: “Questa idea di un lavoro che mantiene una sintassi produttiva, nel mio caso è sempre molto radicata nel lavoro stesso”.
Lo dimostra il ruolo centrale della scrittura, che l’artista intende come parte integrante del processo creativo e, al tempo stesso, come percorso parallelo e complementare. “Il mio lavoro ha sempre coinvolto la scrittura in una certa misura”, racconta, riferendosi a quell’attitudine che col tempo l’ha portata naturalmente a confrontarsi anche con il medium della pagina stampata.
Con il suo primo romanzo, The Boiled in Between (2020), Marten ha messo in scena un mondo di relazioni fluide e instabili. Oggi sta lavorando a Broken Villas, che definisce “un libro di non-fiction indisciplinata”, costruito intorno a un archivio di fotografie in bianco e nero tratte da giornali e riviste ormai scomparsi. “Ne ho centinaia, le ho comprate online o alle aste. Qualche anno fa ho iniziato a setacciarle per individuare pattern topologici. Uno dei più evidenti era il motivo del contenitore, che fosse letterale, metaforico o concettuale. Per esempio, un masso può essere un contenitore, un cuscino può essere pensato come tale, una piscina è un contenitore.”
Il risultato è un insieme di saggi che, spiega, “prendono una singola immagine come punto di partenza per un viaggio dialettico e ipotetico attraverso miti, lingue e narrazioni.”
Un debutto condiviso
La condivisione è un altro elemento che caratterizza la sua eterogenea pratica artistica.
Se la sua carriera internazionale si è aperta con la personale alla Chisenhale Gallery di Londra nel 2012, il nome di Helen Marten si è imposto nel 2016, quando, di fronte a due riconoscimenti fondamentali — l’Hepworth Prize for Sculpture e il Turner Prize — decise di condividere i premi con gli altri finalisti. “Alla luce dell'ombra politica che si allunga sempre di più sul mondo, l'arte ha la responsabilità di mostrare come dovrebbe funzionare la democrazia... Ecco quindi un invito a rafforzare la comunanza e a creare una piattaforma per tutti”, dichiarava allora.
Questa attitudine è rimasta un elemento cardine del suo lavoro: dalla produzione fisica delle opere installative fino alla preparazione di 30 Blizzards, che ha coinvolto numerosi contributi. “È stato incredibilmente emozionante lavorare al libretto con Fabio Cherstich e Beatrice Dillon e creare brani e movimenti per diverse tipologie di voci, che fossero posizioni liriche, a cappella, cori di gruppo o parti testuali recitate. E poi c’è la cornice del palazzo...”
La messa in scena e la drammaturgia dello spazio sono state progettate deliberatamente per l’architettura del Palais.
Helen Marten
“Il Palais d’Iéna è uno splendido edificio, innanzitutto perché occupa questa soglia singolare tra qualcosa di estremamente brutale e qualcosa di straordinariamente civettuolo.” Carico del peso politico delle funzioni che ha ricoperto in passato, l’interno del palazzo si sviluppa come uno spazio lineare e molto lungo, con finestre a tutta altezza su entrambi i lati che hanno influenzato la performance, dalla concezione dei movimenti fino alla messa in scena: “C’è qualcosa di cinematografico nel modo in cui lo si attraversa, con la percezione progressiva di spostarsi da un ambiente all’altro per poi tornare indietro.”
E poi c'è la collaborazione con Miu Miu, sostenitrice del progetto, che Marten definisce “un marchio che propone un'idea di pluralità espansiva.”
Cosa aspettarsi dalla tempesta
Da 30 Blizzards. ci si può aspettare una vera e propria tempesta creativa: un’opera nata dall’incontro di eccellenze in diversi campi e concepita come esperienza effimera e site-specific. Al tempo stesso, questo debutto diventa anche una chiave di lettura della pratica di Marten. Guardando al suo percorso, l’approdo alla performance appare come uno sbocco naturale — dopo il romanzo — più che il semplice risultato di una commissione.
Lo conferma il metodo di scrittura del libretto, che ha ampliato la sua ricerca sul linguaggio: “Per prima cosa ho iniziato a scrivere i cinque monologhi per i video. E da quelle posizioni di cinque voci ho poi cominciato a scrivere verso l’esterno, fino a sceneggiare l’intero libretto per il cast di 30 personaggi.”
Per prima cosa ho iniziato a scrivere i cinque monologhi per i video. E da quelle posizioni di cinque voci ho poi cominciato a scrivere verso l’esterno, fino a sceneggiare l’intero libretto per il cast di 30 personaggi.
Helen Marten
“L’idea di attivare la parola attraverso il canto, la coreografia e il gesto, all’interno di una dimensione performativa o teatrale, è stata per me una sfida del tutto nuova. È stato incredibilmente stimolante.”
Anche il titolo si presta a diversi registri di lettura. “In senso letterale, le 30 Blizzards. sono le 30 versioni della storia, così come i 30 personaggi che compongono il cosmo della compagnia chiamata a realizzare la performance.”
Il secondo registro è grafico: “Adoro questa ripetizione di zed, zed, zed… quando la si pronuncia: rende la parola onomatopeica, bellissima ed elettrizzante, capace di evocare tanto la densità del sonno quanto il brivido dell’elettrocuzione.”
Il terzo riguarda la forza visiva del termine: “Pensiamo alla neve. Ciò che accade con la neve è che produce un nuovo rivestimento architettonico che rende tutto morbido, creando una superficie inedita su cui scrivere o sceneggiare una nuova grammatica teatrale, un nuovo senso di possibilità.”
Infine, il quarto è metaforico: “Blizzards diventa un’analogia delle emozioni umane: ciascuno di noi ha un proprio barometro interiore, una sorta di clima personale. Felicità, tristezza, vergogna, desiderio, dolore, piacere… ognuna di queste condizioni riflette un meteo emotivo.”
Un teatro espanso
Enormi pareti serigrafate in grafite che si appoggiano alle colonne. Quattro palchi alti progettati per rispecchiare la simmetria dell’edificio. Un grande binario circolare industriale che gira attorno al perimetro, con cui gli interpreti interagiranno recuperando oggetti di scena.
30 Blizzards. è una metafora o analogia delle emozioni umane
Helen Marten
“C’è anche un palco centrale, il 'nocciolo' della performance-esposizione, che diventa uno spazio espanso, come una piazza civica o un luogo di congregazione collettiva, ma che rimanda anche al palcoscenico classico dell’opera o del teatro.”
All’interno dell’allestimento ci sono anche molte finestre che permettono di inquadrare o occultare i vari momenti della performance: "Questo motivo del 'framing' è arrivato naturalmente, come un invito dall’architettura stessa.”
Immagine di apertura: MIU MIU PRESENTS 30 BLIZZARDS. by Helen Marten. Video still, Patient, Patient monologue by: Eve Esfandiari-Denney Courtesy by Helen Marten
