Leandro Erlich mostra cosa siamo diventati, che ci piaccia o no

”Oltre la soglia”, la mostra dell’artista argentino al Palazzo Reale di Milano, è un luna park che dilaga su Instagram. Ma soprattutto è lo specchio della nostra epoca.

Bâtiment è l’opera che Leandro Erlich ha creato per la notte bianca di Parigi quasi vent’anni fa. Consiste nella parete di un bâtiment appunto, di un palazzo parigino, sdraiata a terra. Da allora l’artista argentino la ripropone in spazi urbani e museali in giro per il mondo, in Europa, in Asia, in America. Ogni volta viene adattata al contesto, incorporando elementi architettonici locali: la forgia delle finestre, dei cornicioni, dei balconi e dei fregi varia a seconda della città in cui viene ospitata, in un gioco rappresentativo a cavallo tra la tipologia e lo stereotipo. A Milano, con il nome di Palazzo, è il punto forte della grande mostra monografica che il centralissimo Palazzo Reale dedica all’artista. Posizionata all’aperto nel cortile del Palazzo (il luogo), fuori dal dedalo espositivo della mostra, Palazzo (l’opera) ne costituisce l’affaccio pubblico sulla città. Un cordone rosso ne delimita l’accesso e fa subito capire che è spessissimo molto affollata.

Palazzo è la macchina teatrale che rende lo spettacolo possibile.

Quello che rende speciale Bâtiment/Palazzo in tutte le sue diverse incarnazioni è la presenza di un gigantesco specchio inclinato a quarantacinque gradi, che crea l’illusione che ciò che accade a terra, in orizzontale, stia in realtà avvenendo sul muro di un vero palazzo. Erlich crea opere d’arte che acquistano senso solo quando abitate dai visitatori e questa è il suo magnum opus. Palazzo fa da scenografia, da sfondo, è la macchina teatrale che rende lo spettacolo possibile; il vero protagonista, la vera opera d’arte, è lo strenuo sforzo del pubblico pagante di creare la figura più strana, più commovente, più acchiapparisate, da soli o in coppia o in gruppo, saltellando tra persiane e terrazzìni, incastrati sotto una ringhiera o sdraiandosi in maniera tale che sembrerà, a chi guarda lo specchio, che ci sia qualcuno che fa la verticale sulla testa in bilico su un parapetto. “Cos’è, hanno delle scarpe magnetiche”, domanda passando dal cortile un uomo sulla sessantina che evidentemente non conosce l’opera ed è caduto nella sua illusione.

Palazzo di Leandro Erlich nel cortile di Palazzo Reale

A questa performance collettiva all’aperto partecipano tutti: gli ovvi bambini, la ragazza goth, il belloccio che in coda in biglietteria dichiara baldanzoso al suo Tinder-date pomeridiano che lui “non legge le spiegazioni nei musei” , il broker giacca e cravatta che si è preso un-break-dal-desk perché tanto i mercati oggi non si muovevano granché, le tre ragazzette venute apposta da Pavia, la coppia di pensionati in gita a Milano e quella hyper-hippie con i capelli multicolor, le birkenstock, abiti indianeggianti e maglietta di Rosalía.

Tutti quanti con in mano sempre il cellulare, tenuto in verticale, in posa d’ordinanza da Instagram story. Perché questa mostra non vivrebbe senza venire aumentata dal suo riflesso su Instagram. Perché questa è l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità su Instagram.

Si fa presto a dire che i social come li conosciamo sono finiti, che il modello Tiktok in cui sono pochi creator a forgiare contenuti travolgerà Instagram e le altre piattaforme. “Instagrammabile”, o “instagenico”, sono due modi per definire un concetto che abbiamo incorporato nello scorso decennio e ci porteremo dietro a lungo. Da anni la shortlist di Domus con le installazioni più instagrammabili è uno dei contenuti più amati durante il Fuorisalone. Il grid del profilo si è trasformato in un biglietto da visita che va tenuto costantemente aggiornato e gli organizzatori di mostre hanno trovato in chi instagramma un utile alleato per staccare biglietti. Le mostre sono diventate una realtà aumentata, che vive in equilibrio tra l’esposizione fisica e il suo riflesso digitale, le foto e i video sui social creati dai visitatori, un’enorme cassa di risonanza che tra l’altro paga. All’ingresso della mostra di Erlich e poi lungo il percorso, in angoli strategici, sono indicati l’hashtag da usare e i profili da menzionare.

Lo spettro delle reazioni che possiamo provare davanti alle oltre 60mila immagini con tag #leandroerlich può variare ampiamente: curiosità, desiderio di farne parte, FOMO, disinteresse, noia, disgusto per quella che magari riteniamo una manifestazione popolare degradata che conferma la nostra presunzione di appartenere a una classe culturale/sociale più elevata. La verità è che quelle immagini siamo noi, tutti noi. Sono quello che lasciamo a chi verrà e di cui ci ricorderemo di questi anni. Lo specchio è uno strumento caro all’artista argentino e lo specchio di cui la sua popolarità non potrebbe fare a meno è quello delle sue opere riflesse su Instagram.

Palazzo rappresenta l’alfa e l’omega (e la soglia, ovviamente) di “Oltre la soglia”, la prima grande monografica europea dedicata a Erlich, presentato in pompa magna da Palazzo Reale come “l’artista contemporaneo che ha coinvolto numeri record di visitatori”, milioni in tutto il mondo, 300mila in patria a Buenos Aires, il doppio a Tokyo. La mostra presenta altre 18 opere, che si snodano tra le sale e i corridoi del piano terra di Palazzo Reale. C’è spazio per un selfie davanti a Night Flight (2015) o affacciandosi alle finestre specchianti di Lost Garden (2013). Un gruppo di ragazze critica Changing Rooms (2008) , un complesso di 30 camerini in cui specchi e passaggi si confondono: “Non rende nella foto”, si lamentano. Il gioco di specchi si ripete nella riproduzione di un salone di parrucchiere in Hair Salon (2008). Una donna con i capelli bianchi e parecchi tatuaggi sulle braccia si spazientisce dopo tanti tentativi di catturare lo scatto perfetto tra le scale di Infinite Staircase (2014), una delle opere più celebri di Erlich e tra le più instagrammate.

Questa è l’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità su Instagram.

“Per me la realtà e la percezione sono inseparabili” è l’inizio di una più lunga citazione di Erlich trascritta su una parete. Nel percorso ci si può trovare alle volte spaesati. Per esempio non capendo se si è di fronte a una immagine riflessa o a persone e cose reali. Poi opere dai toni cupi come Classroom (2017) e Traffic Jam (2018) trascinano l’ingenuo instagrammer in un vortice di disillusione, frantumando l’aspettativa che nel palazzo degli specchi d’artista di Leandro Erlich tutto sia una favola. Senza questi inserti “Oltre la soglia” sarebbe probabilmente poco più di una versione d’autore di pecionate come il Museo delle Illusioni e altre operazioni furbissime, costruite per provvedere scenografia per selfie acchiappalike a chi è pronto a sborsare una quindicina di euro per accedervi.

Invece in “Oltre la soglia”, dietro alla facilità di tante immagini e allo scivolamento superficiale di chi è solo a caccia di selfie, serpeggiano inquietudini dei nostri giorni. Leandro Erlich è un artista di razza, che ha rappresentato l’Argentina con la splendida Swimming Pool alla Biennale della Venezia del 2001, ripresentata poi nel 2008 al PS1, due anni prima della nascita di Instagram. Già allora, le sue opere vivevano dell’interazione delle persone che le visitavano, in quel caso camminando sott’acqua o nuotando in un’acqua che non c’è. Come un’illusione, tema centrale della sua opera, Leandro Erlich era già pronto per un mondo che non c’era. Ma che poi è arrivato, trasformandolo nel prototipo perfetto dell’artista instagrammabile. Con una tale prepotenza da sommergere qualsiasi altra lettura della sua opera. Resta ai visitatori decidere se usarla come sfondo per un selfie o cercarci dentro noi stessi.

Immagine di apertura:  Palazzo di Leandro Elrich, foto di Fabrizio Specces per Artemisia

Leandro Erlich. Oltre la soglia
a cura di Francesco Stocchi
Fino al 4 ottobre 2023
Palazzo Reale di Milano
 

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