God save the QueenKing

L’Inghilterra in festa per l’incoronazione di Re Carlo III. Il Re visionario, così qualcuno lo descrive. Ma dopo un regno così lungo e tempestoso come quello di Elisabetta II, sarà il Re in grado di scrivere anch’esso la storia? Nell’attesa scopriamo i volti di due Regine: Elisabetta I e II.

Dopo settant’anni l’Inghilterra ha un nuovo Re. “God save the King”, urlava a squarciagola l’intero popolo britannico lo scorso 6 Maggio durante l’incoronazione di Re Carlo III. Scandali, divorzi, liti, divisioni, lutti, un regno, quello di Elisabetta II, che ha attraversato anche guerre, depressioni economiche, ha visto susseguirsi innumerevoli primi ministri divenendo poi il regno più longevo della storia mondiale. Il trono di Carlo III è ancora tutto da scrivere, mentre conosciamo bene la storia dei suoi predecessori, le differenze e le analogie tra le due regine: Elisabetta I ed Elisabetta II.

Appartengo al mio popolo, ma non come intendeva Elisabetta I. Non ho scelto io di essere regina, so ciò che si attendono da me, manterrò i miei impegni.

Elizabeth Alexandra Mary, Elisabetta II d’Inghilterra

Nacquero entrambe come principesse, non destinate ad essere regine. La prima Elisabetta, era figlia di Enrico VIII e della sua seconda moglie Anna Bolena, la seconda, era figlia del Duca di York che divenne poi Re nel 1935, dopo l’abdicazione del fratello Re Edoardo VIII, sotto il nome di Giorgio VI.

Due regine, le più longeve della storia.  Due regine con lo stesso nome ma con storie, famiglie e idee politiche molto diverse.

Sui ritratti della regina Elisabetta I tanto è stato scritto, detto, esposto. Una figura femminile straordinaria con una storia personale incredibile. Chiamata la Regina Vergine, Elisabetta era sempre ritratta in abiti sfarzosissimi e con l’incarnato completamente bianco. Nel dipinto di Marcus Gheeraerts il giovane, The Ditchley potrait, esposto alla National Gallery di Londra, la sovrana appare maestosa e forte, padrona del suo regno.

L’opera è colma di simbologie, come la sfera celeste al di sotto dei suoi piedi che sta a rappresentare potere e saggezza, nell’opera la regina posa il piede proprio su Ditchley nell’Oxfordshire, il luogo dove probabilmente è stata dipinta l’opera. 

The Ditchley potrait, Marcus Gheeraerts il giovane, 1592 circa, National Gallery of London. Immagine da wikipedia

L’abito da lei indossato altera le proporzioni della donna: rigido, ampio, quasi colossale, di colore bianco, a sottolineare la sua purezza, la sua verginità. Le perle, che numerose decorano il collo, il petto, l’abito e la sua acconciatura, si trasformano in simboli mariani. Una figura quasi ultraterrena, una dea oltre che una vergine, non dimentichiamoci infatti che secondo diversi miti e leggende Elisabetta I era discendente dai Duchi di Borgogna, una stirpe alla quale si attribuivano doni soprannaturali avuti in eredità dalla loro capostipite, la divinità acquatica Melusina. 

Alle sue spalle una luce squarcia il cielo plumbeo, un altro simbolo che rimanda alla divinità della regina. Un sonetto sul cartiglio, che rintracciamo al lato destro dell’opera, sottolinea e conferma la sua divinità mentre le scritte in latino, dietro di lei, alla sua destra e alla sua sinistra, dicono: “Lei dà e non si aspetta”; “Può ma non si vendica e nel restituire accresce”. Simbolo di magnificenza, di maestà imperiale, sempre giovane, sempre potente, così era raffigurata Elisabetta I. Furono ben presto introdotti controlli e complicati requisiti per i ritratti dedicati alla regina, un proclama dettava regole precise: gli artisti potevano copiare soltanto i ritratti della regina approvati ufficialmente.

“Io dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale a cui tutti apparteniamo”.
Il 21 aprile del 1947, a 21 anni, Elisabetta, quando non era ancora regina, ha pronunciato dal Sudafrica alla radio uno dei suoi discorsi più importanti, nel quale afferma di voler servire il suo Paese, il primo da Elisabetta II.

Una giovane donna, così potente, così nota, aveva affascinato uno dei più grandi esponenti della pop art: Andy Warhol. L’artista statunitense ha celebrato l’occidente utilizzando in modo nuovo la fotografia, fondendola con l’immagine pubblicitaria per poterla trasformare poi in arte. Attori, stilisti, celebrità di vario genere e titolo sono stati ritratti da Warhol e la regina Elisabetta non poteva di certo mancare per il fine della sua missione artistica. Nel 1985, l’artista pop iniziò il suo più ampio e ambizioso portfolio di serigrafie intitolato “Regine regnanti”. Quattro monarche: Elisabetta II, la regina Margrethe di Danimarca, Beatrice dei Paesi Bassi e la regina Ntombi dello stato africano dello Swaziland. Per la Regina d’Inghilterra basò le sue stampe sulla fotografia ufficiale scattata da Peter Grugeon al Castello di Windsor il 2 aprile 1975 e pubblicata per il Giubileo d’argento nel 1977. Warhol la esplicita, la rende colorata, lontana e irreale, ma allo stesso tempo semplice poiché trasformata quasi in fumetto, in un’eroina contemporanea. Lo stesso artista aveva pronunciato: “Voglio essere famoso come la Regina d’Inghilterra”.

Queen Elizabeth II, Lucian Freud, 2000 - 2001, Royal Collection (Buckingham Palace), London, UK. Immagine da wikiart

“Nessun ritratto di The Queen ha diviso l’opinione così fortemente come questo piccolo, espressivo dipinto ad olio” suggerisce il sito della Royal Collection dove è custodito ed esposto uno dei ritratti più controversi di Elisabetta II, un’opera firmata Lucian Freud.

Il ritratto ha una forza espressiva ed introspettiva senza uguali, una psicoanalisi pittorica di forte impatto. Viene rappresentato solo il viso, ma grande spazio viene dato alla sua corona, che pare quasi un prolungamento fisico del personaggio. Il colore, la materia, e l’uso del pennello danno all’opera una connotazione fortemente provocatoria, quasi coraggiosa, trasformando il dolore in una posa imperturbabile e longeva. Fu la regina stessa a commissionare il ritratto a Freud, accettando di posare con la corona di diamanti, conosceva già in qualche modo quale sarebbe stato il suo ritratto e ciò fa pensare che sia stato voluto, cercato, potremmo dire quasi desiderato.

Le due regine hanno interpretato la monarchia come una missione, un’impresa non solo politica, ma culturale e sociale. Entrambe sono narrate come simboli di continuità e rassicurazione, due periodi “elisabettiani” dir poco lungimiranti, empatici, ma soprattutto potenti.

Due donne celeberrime, imprenditrici, a loro modo, che hanno segnato la storia tra imprese internazionali e storie personali oltre gli stereotipi degli altri regnanti.

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram