Antonia Carver

Jameel Arts Centre: L’internazionalità di Dubai è anche il principio sui cui è concepito il nostro programma

Intervista ad Antonia Carver, direttrice del Jameel Arts Centre progettato da Christopher Lee di Serie Architects e da poco inaugurato a Dubai.

Jameel Arts Center, 2018

Lavorare nella direzione di incrementare l’offerta culturale è una prospettiva che gli Emirati Arabi Uniti si sono dati da oltre un decennio. L’assenza di musei in grado di rappresentare la storia e la cultura della regione richiedeva una risposta immediata.

Lo slancio verso la ricerca di un modello culturale capace di aprire un dialogo con la contemporaneità guardando alla propria storia, ha prodotto risposte differenti a seconda del modello di città. Sharjah, la città storica (the heritage town), con Sharjah Art Foundation ha dato vita a un fitto programma, dove le iniziative dedicate alla cultura araba moderna e contemporanea si alternano a quelle dedicate alla cultura contemporanea internazionale. Abu Dhabi è stata scelta come la sede dei grandi musei a partire da Louvre Abu Dhabi.

Dubai è la città in cui hanno sede le gallerie internazionali, la casa d’aste Christie’s e dove hanno scelto di vivere molti artisti medio orientali. Dubai è la città in cui affluisce il turismo internazionale e nel 2020 ospiterà il World Expo. L’impressione per chi la conosce è che stia cambiando e a questo cambiamento hanno contribuito le numerose iniziative culturali che vengono organizzate in città.

L’ultimo grande progetto? Jameel Art Centre, un centro culturale che si estende su una superficie di 10.000 mq progettato Christopher Lee di Serie Architects. Il Centro è stato pensato come uno spazio di comunicazione e scambio con la cultura, dotato di vasti spazi espositivi, biblioteca, centro di ricerca o come lo ha definito Antonia Carver direttore di Jameel Arts Centre “un luogo di dialogo, dove l’arte diventa esperienza”.

Shaikha Al Mazrou
Vista dell’installazione Green house: Interior yet Exterior, Manmade yet Natural, 2018, Artist’s Garden, commissionato dalla Shaikha Al Mazrou Art Jameel Commission per Jameel Arts Centre, Dubai. Courtesy Art Jameel

L’11 novembre si è aperto a Dubai il Jameel Arts Centre. È un grande centro d’arte, non commerciale e non statale, con dieci sale d’esposizione, una biblioteca dedicata alla ricerca e spazi dedicati alla progettazione. Negli Emirati Arabi Uniti convivono oltre settanta nazionalità differenti, con un’alta percentuale di residenti non nativi. Avete tenuto conto dell’impatto che questa quota di cultura produrrà, dell’incredibile flusso di informazioni culturali rivolto alle persone? Comunicare con un pubblico così internazionale è certamente un motivo di riflessione profonda per tutti. Qual è il vostro punto di vista?

È una questione importante, di fatto l’abbiamo ben chiara in mente. L’idea di un centro d’arte davvero in grado di ampliarsi nel suo discorso, al di là dei soliti soggetti, al pubblico più vasto, è un punto cui la stessa famiglia Jameel tiene molto.

L’idea dell’internazionalità di Dubai è anche il principio sui cui è concepito il nostro programma. Il centro si affaccia sul Canale di Dubai e siamo vicinissimi al cantiere navale di Jaddaf, dove sono state costruite – e ancora lo sono – tutte le imbarcazioni che hanno permesso a Dubai di diventare una città commerciale. Perciò consideriamo le acque del canale e il fatto che quest’ultimo è stato il polo principale del commercio e del collegamento tra Dubai e altre località come la base del nostro programma.

Abbiamo lavorato con artisti di tutta l’area e abbiamo concretamente esplorato questi collegamenti tra il Golfo e l’Asia meridionale, tra il Golfo e l’Iran, tra il Golfo e l’Africa settentrionale e orientale: consideriamo Dubai come una grande rete di collegamenti con il resto del mondo.

Si può affermare che gli Emirati Arabi Uniti siano profondamente impegnati nella realizzazione di progetti culturali differenti per creare una nuova forma di comunicazione con il resto del mondo? E mi viene anche in mente che il titolo di Expo 2020 Dubai è Connecting Minds, Creating the Future, “Collegare le menti, creare il futuro”: l’idea, in certo qual modo, è guardare al futuro con molta fiducia…

A Dubai e in tutto gli Emirati Arabi Uniti la guida dello Stato e la prospettiva della popolazione sono totalmente orientate al futuro. Ogni discorso riguarda l’essere pronti al futuro, discutere del tipo di società o di comunità che vogliamo essere. Si può dire che la cultura e l’arte sono assolutamente al centro del dibattito attualmente in corso negli Emirati Arabi Uniti. Le istituzioni culturali sono direttamente coinvolte in questo dialogo e lo portano avanti.

Continuando a riflettere sul rapporto tra passato, futuro e identità: la mostra Crude è una riflessione sul petrolio, un fattore che nell’ultimo secolo ha contribuito a forgiare l’immagine (e la percezione) dei paesi arabi. Un tema che non è mai stato affrontato dal punto di vista culturale…

Hai assolutamente ragione, è stata un’analisi di grandissima importanza. Abbiamo realizzato una mostra per analizzare l’idea di petrolio in senso lato. Crude prende in esame alcune delle complesse storie del petrolio come catalizzatore della modernità in tutto il Medio Oriente, rintracciandone le conseguenze negli archivi, nelle infrastrutture e nelle tecnologie che ha generato. Quindi, per così dire, la mostra rappresenta bene la direzione in cui vogliamo andare, perché è un dibattito profondamente ispirato al dialogo, e considera anche il tipo di influsso che il petrolio ha avuto su di noi come popolo, dovunque ci troviamo nel mondo.

Il petrolio è ovunque, il petrolio è il motore di molto di ciò che facciamo – in quanto persone che vivono nel mondo contemporaneo – e tuttavia non ce ne rendiamo effettivamente conto e non ne parliamo. E contemporaneamente siamo diretti a una situazione futura che è assolutamente ben presente alla consapevolezza di chi governa gli Emirati Arabi uniti: che cosa faremo quando il petrolio sarà finito? Di che cosa vivremo? In certo qual modo è un ritorno all’idea che hai citato dello sguardo volto al futuro, ma guardando al futuro dobbiamo necessariamente anche comprendere il passato. Crude è il genere di mostra in cui anche chi non frequenta regolarmente i musei o non ha la passione dell’arte contemporanea può trovare tutto: storia, politica, società.

Jameel Arts Center, biblioteca
Christopher Lee di Serie Architects, Jameel Arts Center, vista della biblioteca, 2018

Avete allestito quattro mostre personali dedicate all’opera di donne artiste: Lala Rukh (Lahore, 1948-2017), Maha Malluh (Riad, Arabia Saudita, 1959), Chiharu Shiota (Osaka, Giappone, 1972) e Mounira Al Solh (Beirut, Libano, 1978). Maha Malluh è un’artista araba saudita nata nel 1959. Rukh è stata una militante politica, tra le fondatrici del WAF (Women Action Forum), una delle più significative piattaforme del Sud del Mondo per i diritti delle donne e il femminismo…

A Dubai interessa avere punti di vista molteplici. Queste quattro artiste hanno tutte compiuto dei gesti di incredibile portata e due di loro – Lala Rukh e Maha Malluh – sono in assoluto delle personalità anticipatrici, che solo di recente hanno ricevuto un più vasto apprezzamento. Hanno aperto una strada e influenzato moltissimi altri artisti. Lo stesso vale per Mounira al Solh e Chiharu Shiota, che entrambe meritano un’attenzione anche maggiore.

Shiota è una notissima artista giapponese. Questo è il suo primo progetto qui in Medio Oriente. Ha lavorato sul concetto di connettività della storia e del viaggio, e sul modo in cui, come popolo, siamo tutti collegati reciprocamente, attraverso un’installazione davvero di grande forza.

In certo qual modo stai ritornando al concetto precedente, nel senso che, anche se viviamo a latitudini diverse, con origini e culture differenti, mentalmente e spiritualmente siamo collegati…

Il tema del collegamento e della confluenza per noi è fondamentale. Si può essere un’artista giapponese ma coltivare idee simili a quelle degli artisti di qui. Anche tra Giappone e Golfo, in quanto individui, siamo assolutamente collegati. È un tema suggestivo ed è davvero la sintesi di quel che significa gestire un’istituzione a Dubai.

Insomma, per concludere: la direzione che state prendendo come istituzione è, come dici, quella di “unire le comunità”?

Sì. Per il Jameel Arts Centre ciò vale su due piani. Uno tematico: l’idea della confluenza è uno degli interessi tematici centrali dei programmi, delle mostre e delle acquisizioni della Collezione Jameel del Centro. L’altro, in termini di pubblico, è che vogliamo pensare in generale di abbracciare tutte le comunità che vivono negli Emirati Arabi Uniti, oltre che continuare a prendere parte al dialogo mondiale.

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