Arles. Il foto festival propone un ritorno al futuro e invade la città

Nuovi spazi espositivi e un focus sul maggio francese del ’68 sono alcune delle novità dell’edizione 2018 dei “Rencontres”, variegata gamma di occhi per guardare il mondo.

Marcelo Brodsky, Paris, 1968

“Essere un festival significa essere qualsiasi cosa accada in una città quando l’arte la invade”. Sam Stourdzé, il direttore di una delle rassegne di fotografie più importanti in Europa, si prepara alla 49ma edizione dei “Rencontres d’Arles”. I numeri sono dalla parte dello storico festival francese nato nel 1970: 36 mostre nel programma ufficiale, comprese le esposizioni poco lontano – come Marsiglia, Avignone e Nîmes – dove ci sono l’artista tedesco Wolfgang Tillmans – il primo a vincere il prestigioso Turner Prize con la fotografia – con “What is different?”, e “Portraits of spaces” di Candida Höfer, esponente della Scuola di Düsseldorf. Poi 129 eventi pubblici fra tour con curatori e fotografi, presentazioni di libri, opening, premiazioni e concerti; 18.500 visitatori; 151 artisti. E poi i 36 luoghi dove la fotografia si anima, compresi cinque spazi inaugurati con questa edizione. 

“Ciò che è totalmente nuovo rispetto agli altri anni, è che abbiamo ampliato la nostra rete di location, costruendone di nuove. Per la prima volta, in quasi 50 edizioni, non siamo andati a recuperare solo luoghi dismessi – chiese sconsacrate, terrazze abbandonati o spazi industriali. Abbiamo invece costruito un padiglione in bambù, un tempio consacrato alla fotografia davvero imperdibile, di oltre 1.200 metri quadrati disegnato e realizzato dall’architetto colombiano Simón Veléz
 e da Stefana Simic. Al suo interno ‘Contemplation’, iniziativa poetica di fotografia, architettura e musica con opere esclusive in bianco e nero e in grande formato, stampate su una speciale carta giapponese, che rappresentano la testimonianza spirituale del fotografo Matthieu Ricard nell’Himalaya”. Non solo, fra gli altri spazi anche la Maison Centrale d’Arles, un vecchio deposito della catena Monoprix, la Maison des Lices e la Cappella della Maddalena.

Essere un festival significa essere qualsiasi cosa accada in una città quando l’arte la invade

Un’identità precisa, quella della rassegna che si rinnova ogni estate da 50 anni (e che termina il 23 settembre), ma in continua trasformazione e in simbiosi con la sua stessa città. “Siamo ancora un foto festival”, spiega Stourdzé “con gli anni siamo cresciuti diventando uno dei più grandi punti di riferimento e vivaio di talenti. Quest’anno il Prix de la photo Madame Figaro è stato vinto da Wiktoria Wojciechowska. Certamente guardiamo a iniziative che sono simili alla nostra e che si occupano di fotografia, comprese le realtà più di nicchia, ma ci confrontiamo anche con quelle rassegne che si occupano di altre arti, come ad esempio il cinema”. 

William Wegman, Tamino con il flauto magico,  1996. Courtesy l'artista e Sperone Westwater Gallery
La fotografia di William Wegman è stata utilizzata come immagine di lancio del festival

Arles diventa una destinazione unica. Venire qui, durante i tre mesi di durata del Festival, si trasforma in una esperienza globale: oltre alle mostre da visitare e alle presentazioni di libri di fotografie, ci sono le atmosfere nella piazzetta cara a Van Gogh e le feste di inaugurazione nelle serate estive. Arles ha, del resto, una lunga liaison con la fotografia: è stata la prima città francese ad aprire – nel 1965 – un dipartimento di fotografia nel suo museo municipale – Musée Réattu – che oggi vanta una collezione di oltre 5.000 pezzi. “Quello che cerchiamo di fare in ogni modo è essere sicuri che le nostre esposizioni abbiano una curatela scientifica di un certo livello e che conservino una qualità da museo” puntualizza il direttore. Ritorno verso il futuro è il fil rouge che collega le varie sezioni di quest’anno. “Abbiamo cercato di abolire le categorie di passato, presente e futuro, di renderle fluide e permeabili. Assolutamente interconnesse”, continua il direttore del festival. 

Compresa, in primis, la celebrazione di anniversari importanti: come il maggio francese del 1968 che ha dato il via a un cambiamento radicale attraverso rivolte, utopie e inclinazioni. Gli scatti inediti provenienti dagli archivi della prefettura di Parigi, della testata Paris Match e di Gamma-Rapho-Keystone tentano di restituire, nella mostra “1968, Che storia!”, punti di vista differenti attraverso il confronto d’immagini storiche dal grande valore documentale. Grande protagonista l’universo americano – con una sezione che porta il titolo profetico “America great again” e un tempismo impeccabile vista l’era trumpiana. Per esempio, le immagini a colori del fotografo americano Paul Fusco nella mostra “The Train, l’ultimo viaggio di Robert Kennedy”, ovvero una documentazione fotografica del viaggio in treno del feretro, a tre giorni dall’assassinio il 6 giugno del 1968, da New York a Washington. Ma anche il ritratto della spaccatura socio-economica, delle grandi contraddizioni e dei sogni infranti “Made in US”, come indaga la mostra “Sidelines”, con gli scatti del grande narratore svizzero Robert Frank, oppure l’esibizione “La Blancheur de la baleine” che, attraverso la combinazione d’immagini sovraesposte e fotografie a colori, narra l’America di tutti i giorni attraverso lo sguardo dell’inglese Paul Graham.

 Il confronto è intergenerazionale, come da tradizione per “Les Rencontres d’Arles” che offre una variegata gamma di occhi attraverso cui guardare il mondo: Laura Henno, da Parigi, vincitrice nel 2007 del Prix Découverte, osserva i personaggi di un American Dream distopico contemporaneo, studiati e immortalati in due mesi di lavoro nell’accampamento di Slab City, nel deserto californiano. “La fotografia è spesso il mezzo migliore per documentare quanto il mondo cambi sotto i nostri occhi”. Oltre a passato e presente, una riflessione e un caleidoscopio di fotografie mondo che verrà: intelligenza artificiale, realtà aumentata e transumanismo come nel progetto H+ di Matthieu Gafsou che nei suoi ritratti mostra come l’avanguardia in termini tecnologici possa aiutare a potenziare difetti fisici e psichici.

“La nostra epoca”, conclude Sam Stourdzé, “ispira i fotografi perché ci costringe a progettare in un mondo mai troppo lontano, attraversato dal reale e dalla fantasia, dall’immaginario e dal progresso, dal futuro e dalla finzione”.

In apertura: Marcelo Brodsky, Paris, 1968. Serie sul 1968: The Fire of Ideas nell’ambito della mostra “1968, What a Story! ”. Courtesy l’artista, Henrique Faria Fine Art, New York & Rolf Art Gallery, Buenos Aires

Titolo:
Les Rencontres d’Arles
Date di apertura:
2 luglio – 23 settembre 2018
Luogo:
Varie location, Arles, Francia

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