The Shape of Water: nell’immaginario di Guillermo del Toro

Interni claustrofobici e colori saturi rappresentano solitudini che s'incontrano nella fiaba per adulti vincitrice di quattro Oscar.

The Shape of Water

The Shape of Water è uno dei film dell’anno. Guillermo del Toro, regista appena premiato con l’Oscar e sceneggiatore, insieme ad Alfonso Cuaròn e Alejandro González Iñárritu, fa parte della triade di autori messicani che hanno saputo piantare solide radici a Hollywood, abili nel maneggiare mondi immaginari e altri, restituiti con estrema sapienza tecnica. Di Iñárritu colpiscono i piani sequenza di Birdman e Revenant, eredi di Amores Perros, la pellicola che l’ha lanciato. Per girare Gravity di Cuarón è stata inventata una tecnologia apposita che ne ha reso possibile la realizzazione. Sempre Cuarón si è cimentato con il mondo fantasy di Harry Potter dirigendo il terzo capitolo della saga e questo ci riporta a Guillermo del Toro, che utilizza gli effetti speciali e una cura estrema per il set design nel dare corpo a una poetica di mostri e creature mitologiche.

The Shape of Water segue un concept improbabile: una ragazza muta s’innamora di un mostro acquatico sullo sfondo della Guerra Fredda e, forse, vivranno felici e contenti. Eppure, Del Toro ci ha già abituati con Il Labirinto del Fauno al mix di storia e immaginazione attraverso la vicenda di Ofelia, bambina che per sfuggire alle tristezze della guerra civile spagnola sviluppa con fervida immaginazione una realtà parallela, sotterranea, fantastica. In The Shape of Water invece, Elisa Esposito (Sally Hawkings, candidata all’Oscar come miglior attrice protagonista) è una donna delle pulizie che non può più parlare a causa della rescissione delle corde vocali. Siamo nel 1962, a Baltimora. Elisa lavora nel laboratorio governativo americano dove è custodito un mostro anfibio catturato in Amazzonia, lì adorato come un dio, su cui il colonnello Strickland (Michael Shannon) conduce sadici esperimenti ritendendo di poterne ottenere informazioni preziose per la corsa allo spazio contro la Russia. Elisa rimane affascinata dalla creatura, se ne innamora e, con l’aiuto dei suoi unici amici, il vicino di casa Giles e la collega Zelda, la libera. Questo, che sembrerebbe l’apice del secondo atto, è solo la pinza di metà film, cui segue lo sviluppo della relazione tra la protagonista e la creatura misteriosa.


Fondandosi sugli archetipi narrativi delle fiabe, il parallelo con La Bella e la Bestia è lampante. Ma The Shape of Water è una fiaba per adulti e dunque se i cattivi rimangono cattivi e i buoni alla fine sono ancora più buoni, come nella migliore scuola dei Grimm non si lesina su violenza, sangue, sesso e simboli. Su tutti l’acqua, che in questo film è ovunque. È nel titolo, ispirato alla teoria platoniana secondo cui, nella sua forma più pura, ha la struttura dell’icosaedro, suggerendo così che la bellezza abbia molte facce. È nel passato della protagonista, orfana trovata in un cesto sul fiume. È nei secchi di Elisa e Zelda, sui pavimenti del laboratorio che le due lavano, bagnano e asciugano. È nell’aria perché piove, piove sempre. È sulla parete del soggiorno di Elisa dove è rappresentata la Grande Onda di Hokusai. Una grande onda che investirà la casa e la sua vita tutta quando tenterà di trasformare il bagno in una piscina dove unirsi, finalmente, con la creatura misteriosa. Viene alla mente un’altra scena di allagamento in un film recente: The Hours, con l’acqua che irrompe nella stanza da letto, vista in pianta dall’alto, di Julianne Moore. Lì l’acqua è carica di morte, portatrice d’incubo. In The Shape of Water, invece, porta vita, un’esistenza alternativa alla norma, in cui le solitudini s’incontrano. L’acqua sommerge tutto e investe noi coi suoi mille significati: purificazione, potere battesimale, unione amniotica, intimità tra outsider che trovano in quell’elemento una possibilità di comunicazione.

I personaggi, pur vivificati da una spigliata logorrea (Zelda – Octavia Spencer), da un’espressività che vince il silenzio (Elisa – Sally Hawkings), da battute godibilissime (Giles – Richard Jenkins), sono monadi delineate da profili che sanno di solitudine. Elisa è chiusa nel proprio mutismo, nella difficoltà di sviluppare relazioni piene con gli altri. Il vicino Giles è uno struggente, divertente illustratore omosessuale di età avanzata per cui Elisa è tutto quel che resta. Zelda parla, parla per colmare i silenzi della collega e il vuoto di un matrimonio con un uomo zitto per una vita salvo aprire bocca una sola volta per dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.


Gli spazi del film sono perfetti portavoce di questo stato dell’essere. Chiusura, claustrofobia, interni bui di laboratori e sotterranei, interni casa pieni di oggetti, vetrate che si aprono su esterni notturni, piovosi. Gabbie, cisterne, catene. L’atmosfera noir è aiutata dalla palette colori scelta dal regista e dal set designer Paul Austerberry premio Oscar per la miglior scenografia: colori saturi, nuance che richiamano le varie sfumature dell’acqua, dal ciano al verde smeraldo, ma anche neri chiusi, legno e grigio. Sembra non esserci spazio per uno spiraglio di luce e invece, alla fine, i tre personaggi sono lì, in una prima lunga sequenza in esterni, a bordo fiume, di notte sulla banchina, e questa apertura finale dello spazio scenico è l’apertura a una nuova possibilità di vita. Ed Elisa, che nell’acqua ha iniziato il suo cammino su questa Terra, in un finale che sembra chiuso ma è aperto anch’esso, nell’acqua lo porta a compimento.

Titolo film:
La forma dell’acqua – The Shape of Water
Regia:
Guillermo Del Toro
Soggetto:
Guillermo del Toro
Scenografia:
Guillermo del Toro, Vanessa Taylor
Musiche:
Alexandre Desplat
Fotografia:
Dan Laustsen
Casa di produzione:
Bull Productions, Fox Searchlight Pictures, TSG Entertainment, Double Dare You Productions
Distribuzione:
20th Century Fox
Durata:
119 minuti

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