Jimmie Durham e i mammiferi di maggior ingegno

In mostra a Zurigo Jimmie Durham, artista americano di origini Cherokee, ci costringe a confrontarci con gli animali che in Europa abbiamo piegato e quasi sterminato quando abbiamo dimenticato di essere anche noi parte della stessa natura.

Jimmie Durham, Musk Ox, 2017. Courtesy of the artist and kurimanzutto, Mexico. Foto: Nick Ash

Le primissime opere di Jimmie Durham risalgono al 1963 e furono esposte all’interno di una prima mostra a Huston, in Texas. Ciononostante il primo approccio con la sua figura passa inevitabilmente per il suo attivismo politico. A partire dall’inizio degli anni Settanta e fino al 1980, infatti, Durham ha militato nell’American Indian Movement, fino a diventarne rappresentante presso le Nazioni Unite.

È inoltre impossibile non ricordare, per quanto questo sia complice di un atteggiamento occidentale, che Jimmie Durham è un uomo di origine Cherokee, ancor prima di essere artista e attivista, motivo per cui ha combattuto le sue battaglie a favore del riconoscimento dei diritti dei nativi americani. D’altro canto lui stesso non ha mai tentato di fare mistero né del suo impegno né del suo retaggio, che sono anzi entrati a far parte del suo stile e del suo discorso sull’arte. Il suo lavoro rievoca un’estetica ben precisa, che è inconfondibilmente quella dei manufatti artistici della sua cultura di provenienza: legno, motivi decorativi, colori, piume e pellicce fanno parte di una sintassi, spesso intrisa d’ironia, che preleva questi elementi dal loro contesto originario (quello dell’arte tradizionale) immettendoli in un sistema di significati ad esso estraneo, come appunto è quello dell’arte contemporanea.
La sua ricerca attraversa la questione identitaria, mettendo in campo anche una serie d’inevitabili riflessioni sulle teorie postcoloniali. Che la storia sia scritta dai vincitori è un concetto che ormai conosciamo e allo stesso modo in cui gli Stati Uniti hanno scritto la storia dei nativi americani, se indietreggiassimo, allargando le nostre macro-categorie, e adottassimo un punto di vista più ampio vedremmo chiaramente che nell’era dell’Antropocene è l’essere umano ad aver scritto e modellato la storia del mondo.

Img.5 "Jimmie Durham: God’s Children. God’s Poems", veduta della mostra, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo, 2017. Courtesy l'artista e kurimanzutto, Messico
Img.5 "Jimmie Durham: God’s Children. God’s Poems", veduta della mostra, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo, 2017. Courtesy l'artista e kurimanzutto, Messico

Come scrive lo stesso Durham: “Noi siamo mammiferi e primati, figli di altri primati rispetto ai quali ci siamo evoluti solo pochissimo tempo fa. […] Come specie, siamo divenuti più intelligenti. Non è senz’altro facile accorgersene, se si guardano le cose solo attraverso la lente della storia. Tuttavia è qualcosa di rilevabile anche dal punto di vista storico, se si prende in considerazione quel tipo d’intelligenza che viene definito ingegno”. Proprio qui sta il punto: nella separazione tra cultura e natura. Attraverso l’ingegno l’uomo ha dato forma al linguaggio e in molti casi è stato capace di piegare la natura ai propri scopi. Lo stesso è accaduto nei confronti delle specie animali che sono state addomesticate, cacciate, addirittura si sono estinte o, nel migliore dei casi, hanno dovuto adattarsi a vivere in un habitat profondamente modificato e antropizzato.

Fig.6 Jimmie Durham, Wild Boar, 2017, 151 x 65 x 111 cm, teschio di cinghiale, vetro di murano, acciaio inossidabile, legno, plastica, vernice per auto (camaleonte). Courtesy l'artista e kurimanzutto, Messico. Foto Nick Ash
Fig.6 Jimmie Durham, Wild Boar, 2017, 151 x 65 x 111 cm, teschio di cinghiale, vetro di murano, acciaio inossidabile, legno, plastica, vernice per auto (camaleonte). Courtesy l'artista e kurimanzutto, Messico. Foto Nick Ash

Il primo piano del Migros Museum für Gegenwartskunst di Zurigo ospita ora “God’s Children. God’s Poems” l’ultimo progetto espositivo di Jimmie Durham, realizzato per il museo. Sin dagli anni Sessanta Durham ha coltivato un legame con l’Europa, trasferendosi prima da studente a Ginevra, per poi tornare a viverci stabilmente a partire dal 1994. Da questo momento l’artista ha iniziato a indagare il contesto in cui si trovava e prosegue in questa direzione anche in questa occasione.
Entrando nella sala ci si ritrova ad attraversare una congregazione di quattordici simil-animali europei di grandi dimensioni. L’artista, non nuovo all’utilizzo di teschi animali nelle sue opere, ha dipinto queste carcasse per poi montarle su corpi-strutture a tratti un po’ rabberciati e fatti di tessuti, acciaio, pezzi di mobili (o addirittura interi armadi), tubi idraulici ecc. all’interno di un perpetuo rimando tra natura e cultura, inarrestabile anche quando guardiamo all’accostamento dei materiali.
Tra questi animali troviamo: il lupo, che in Europa centrale ha subito le conseguenze di una sistematica persecuzione a partire dal XV secolo; lo stambecco, la cui popolazione si era ridotta a 100 esemplari all’inizio del XIX secolo a causa della caccia; l’alce, anch’esso da sempre cacciato dall’uomo; l’orso bruno, decimato in molte aree; la lince, la cui specie è stata afflitta da decenni di tentativi di estirpazione; il toro maremmano, allevato per via della sua carne; il cinghiale, per molto tempo oggetto di giochi popolari; l’alano, utilizzato per la caccia; la renna, addomesticata e tutt’ora utilizzata da alcune popolazioni e il cavallo, a cui è toccata una sorte decisamente simile.

Img.7 "Jimmie Durham: God’s Children. God’s Poems", veduta della mostra, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo, 2017. Courtesy l'artista e kurimanzutto, Messico
Img.7 "Jimmie Durham: God’s Children. God’s Poems", veduta della mostra, Migros Museum für Gegenwartskunst, Zurigo, 2017. Courtesy l'artista e kurimanzutto, Messico

Girare tra questi esseri immobili suscita un senso d’inquietudine, generato dagli sguardi inebetiti dei teschi con le fauci spalancate e gli occhi (qua è là ricostruiti) persi nel vuoto, come se questi animali non fossero in grado di guardarci. Un’osservazione a senso unico: è l’essere umano che guarda l’animale e non viceversa. Un atteggiamento implicitamente presente in tutto il pensiero occidentale e che Derrida tenta di confutare nel suo The Animal that Therefore I Am. Animali che non hanno la capacità di osservarci quindi, ma allo stesso tempo animali a cui da sempre l’uomo guarda, anche nelle proprie rappresentazioni sia figurative (a partire dai dipinti rupestri), sia letterarie, basti pensare allo sterminato numero di miti, leggende e scritture sacre di qualsivoglia cultura all’interno delle quali gli animali hanno avuto un ruolo, come il cervo presente in mostra. Ma per Durham gli animali non sono solo i protagonisti delle narrazioni umane, bensì personaggi chiave del poema divino (“God’s Poem”) e ancor più di questo, perché in un’Europa intrisa di cristianesimo l’artista dota questi esseri di un’anima, arrivando ad affermare che si tratta di figli di Dio (“God’s Children”). L’artista ci ricorda ironicamente e forse cinicamente, anche attraverso le nostre azioni nei confronti di queste specie (che sono elencate nelle informazioni fornite al visitatore), che siamo anche noi come loro: nient’altro che primati capaci di riconoscere sé stessi (ricordando le teorie di Carolus Linnaeus, di cui parla Agamben nel suo “Taxonomies”) o, per tentare di dirla alla Durham, mammiferi semplicemente dotati di maggior ingegno.

Date di apertura:
fino al 5 novembre 2017
Mostra:
Jimmie Durham: God’s Children. God’s Poems
Luogo:
Migros Museum für Gegenwartskunst
Indirizzo:
Limmatstrasse 270, Zurigo

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