Il percorso artistico di Jimmie Durham è segnato da una densità concettuale e operativa espressa in molteplici declinazioni che ruotano attorno alla demolizione dell’immaginario comune e alla costruzione di una “normalità” alternativa.
Sound and Silliness
“Sound and Silliness”, il nuovo progetto espositivo dell’artista nativo americano Jimmie Durham al MAXXI di Roma combina suoni, immagini e testi rimodulando la percezione spaziale del museo.

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- Marco Petroni
- 21 marzo 2016
- Roma
Educare a uno sguardo altro che va oltre le convenzioni più diffuse e passive è il suo più grande insegnamento che in cinquanta anni di attività ha preso varie forme e ruoli. Attivista politico, scultore, performer, poeta, saggista, scrittore e insegnante, Durham ha sempre affermato il potere trasformativo dell’arte.
L’artista cherokee, che da qualche tempo ha scelto Napoli come città dove vivere e lavorare, ci ha abituati a operazioni spiazzanti che spingono il fruitore a riconsiderare i codici e le possibilità di lettura mettendoci di fronte a un linguaggio aperto, mobile che stimola il sospetto che l’organizzazione e l’impostazione del mondo cui siamo abituati non siano definitivi. Si tratta di definire come uno dei compiti possibili dell’arte quello di farci pensare al mondo da prospettive diverse, abolendo le barriere tra natura e cultura, pensiero visivo e scientifico. Si attiva così un processo di significazione dell’opera che dà forma a una personale grammatica che muta continuamente dando vita a una produzione artistica che sfrutta una varietà di media che vanno dal disegno al modello architettonico, dal ready made al video all’installazione sonora. Una testimonianza di attivismo che tende a svelare da una parte i paradossi della cultura occidentale, e dall’altra i legami tra potere politico e religioso.

L’attività artistica è sempre accompagnata da un impegno diretto in difesa dei diritti civili delle minoranze etniche che lo vede occupato dal 1973 come leader dell’American Indian Movement. Quella di Durham è un’esperienza di resistenza culturale e politica che promuove una conoscenza nomade, meticcia che sceglie forme e linguaggi mai omologati riaffermando il diritto all’opposizione e a una vitalità antagonista. “Sound and Silliness” (Suono e Sciocchezze), a cura di Hou Hanru e Giulia Ferracci, è una conferma di questa energia esistenziale e artistica. Il titolo del progetto espositivo nasce come riflessione sul senso delle nostre azioni e sulla dimensione immateriale che queste producono. “A volte la frivolezza – afferma l’artista – nel suo essere seria in modo divertente, fornisce degli stimoli, una sorta di coraggio scanzonato per guardare ai grandi temi della vita. Il titolo è quindi un invito a non prendersi troppo sul serio ma a trattare i temi dell’umanità con più consapevolezza”. Per dare forma a questa dimensione evocativa, Durham ha scelto di scrivere una sorta di componimento poetico declinato attraverso la potenza immateriale di quattro opere che risuonano e punteggiano lo spazio della Galleria 5 del museo.
Sono lavori video e sonori pensati e realizzati in Italia tra il 2005 e il 2013 installati come un’opera unica che si apre al coinvolgimento del pubblico e ridisegna lo spazio museale in maniera semplice e piacevole. I rondoni di Porta Capuana (2013) è un’opera sonora realizzata in collaborazione con Maria Thereza Alves e registrata presso l’antica porta di Napoli, importante crocevia, snodo commerciale e cuore di aggregazione culturale sin dagli inizi del Novecento, ora la piazza vicina è uno degli spazi a più alta densità multietnica del capoluogo campano. A sottolineare questa convivenza nello spazio urbano, con un effetto straniante, l’artista ha registrato il canto dei piccoli uccelli migratori che popolano l’arco di marmo del monumento creando un cinguettio simile a un concerto che si confonde con i rumori della città e le mille lingue che animano la piazza. Il suono dell’opera sconfina negli altri spazi museali creando un ulteriore elemento di contaminazione con la vita della comunità che anima il museo nella sua quotidianità.
Il dialogo tra sonoro e visivo si infittisce nella relazione con Fleur de pas mal (2005). L’opera, anche nota come Kinetic Sculpture, fa parte della riflessione che Durham compie, al suo arrivo in Europa a metà degli anni Novanta, attorno ai diversi usi che si possono fare delle pietre come oggetto cinematografico, strumento e arnese per trasformare la materia e renderla dinamica. Una scena statica è improvvisamente interrotta da un sasso che entra nel campo visivo e ferma la sua corsa in un secchio di vernice colorata. La ripresa al rallentatore enfatizza l’esplosione di colore, dimostrando come un semplice gesto sia capace di creare una pittura dinamica e aerea riempiendo lo spazio di un nuovo elemento. L’artista pone l’accento sulla dimensione processuale dell’opera e sposta l’attenzione sulla capacità dell’opera di creare nuovi campi di forza e tensioni nello spazio che trascendono la dimensione fisica e formale dell’oggetto.
Anche Domestic Glass (2006), trascrizione sonora di una performance di Durham è un’elaborazione sul concetto di trasformazione della forma e della funzione della materia. Attraverso la riproduzione del sonoro della performance dell’artista in cui rompe 300 bicchieri da vino con una pietra di ossidiana nera, l’opera costituisce un’ulteriore sottrazione all’inerzia del quotidiano producendo, con echi duchampiani un “antimonumento” allo spreco di beni che accompagna la civiltà occidentale. Conclude l’impaginazione di questa stringata selezione di lavori, A proposal for a new international genuflexion in promotion of world peace (2007). Si tratta di un video in cui Durham è l’attore protagonista di un film muto. Attraverso un’azione reverenziale, una genuflessione mimata con un bacio e un inchino, l’artista ci invita a immaginare un nuovo gesto per la promozione della pace nel mondo al di là di tutte le geografie etniche. Il display espositivo è completato da alcuni espositori con testi, riflessioni, poesie dell’artista che costituiscono ulteriori fili di risonanza di una mostra che va vissuta come un unico ambiente immersivo e coinvolgente, aperto a molteplici chiavi di lettura e a possibili narrazioni.
La continua sperimentazione sui linguaggi, la manipolazione del quotidiano e lo svelamento dei paradossi della civiltà occidentale sono alcune delle più evidenti chiavi di lettura di un’opera complessa che Jimmie Durham è capace di suggerire attraverso la costruzione di un campo allargato di significazione aperto al coinvolgimento del pubblico. La sua straordinaria esperienza artistica e la ricchezza delle sue modalità espressive ne fanno un campione della costruzione d’immaginari e di racconti in maniera sempre originale e puntuale.
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